L’Islam in Zambia: piccolo ma visibile

Intervista a padre Félix Phili, docente del Pontificio Istituto di studi arabi e d’islamistica

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ROMA, lunedì, 18 aprile 2011 (ZENIT.org).- La comunità musulmana in Zambia è piccola, ma la sua presenza si è fatta sentire sempre di più negli ultimi decenni, secondo un professore del Pontificio Istituto di studi arabi e d’islamistica, che ha scritto un libro sull’argomento.

Padre Félix Phili, missionario in Africa, è l’autore di “Muslim Associations and the Resurgence of Islam in Zambia.”

Sul suo lavoro e sull’Islam in Zambia il religioso ha parlato con il programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre.

Padre Félix, cosa l’ha indotta a scrivere questo libro?

Padre Phili: In realtà questo libro rappresenta un’evoluzione della ricerca che avevo svolto per la mia tesi dottorale presso la School of Oriental African Studies [dell’Università di Londra]. Ho lavorato molto con la comunità musulmana in Zambia per ottenere le informazioni e, poiché questo lavoro riguardava loro, ho promesso che gli avrei dato qualcosa in cambio. Così, per onestà intellettuale, dopo averlo scritto ho dato loro la possibilità di vedere quello che mi avevano dato.

Perché proprio questo libro? Qual è stata la sua ispirazione?

Padre Phili: È stato principalmente per portare alla luce l’energia presente nella comunità musulmana del nostro Paese. Poco prima di iniziare questa ricerca c’era grande preoccupazione e timore per la comunità musulmana, che in gran parte non era fondato su informazioni oggettive. La gente speculava in base a ciò che vedeva. Per questo ho ritenuto che fosse un tema interessante da trattare per la mia ricerca, ma che fosse anche un modo per contribuire a chiarire le idee su quale sia la realtà della questione nel Paese.

Vi è stata una persona o forse un evento che ha innescato tutto ciò?

Padre Phili: Non proprio. Come parte della mia formazione, avevo studiato l’Islam con l’intenzione di lavorare tra i musulmani nel Nord Africa e avevo già svolto quattro anni di lavoro missionario in Tunisia. Quando mi è stata offerta l’opportunità di fare un dottorato, ho iniziato a pensare all’eventuale oggetto da trattare. Così, parlando con alcuni amici, qualcuno ha detto: “Perché nono scrivi sull’Islam in Zambia?”. Ad essere onesti, sono rimasto perplesso: in Zambia non ci sono musulmani, salvo qualcuno qua e là. Ma loro hanno insistito: “Dei pochi che ci sono conosciamo poco della loro situazione e quindi sarebbe interessante svolgervi una ricerca”.

Il suo libro si intitola “The Resurgence of Islam” [La rinascita dell’Islam], eppure l’Islam rappresenta solo lo 0,5% della popolazione. Di che rinascita si tratta quindi?

Padre Phili: Il termine è stato scelto volutamente e si riferisce sostanzialmente alla storia di questa comunità di fede. I musulmani erano presenti nel Paese da prima dei cristiani, ma la loro presenza si è risvegliata pienamente solo negli ultimi decenni. Quindi è una rinascita nel senso di una comunità già esistente, che diventa effettivamente presente; una comunità in cui si sviluppa un nuovo dinamismo. Questo è ciò che ho inteso dire con rinascita.

Lei dice che l’Islam è arrivato in Zambia prima del Cristianesimo. Da dove è venuto?

Padre Phili: I primi musulmani erano commercianti arabi che dopo una lunga presenza nella costa orientale dell’Africa, lentamente si sono avventurati più in profondità nel continente. In gran parte sono arrivati come commercianti. Nei loro primi insediamenti nel continente non si sono dedicati alla diffusione dell’Islam perché erano lì solo in via temporanea. Ma poi, con il passare del tempo, alcuni insediamenti sono diventati permanenti e nel trattare con la gente locale – vi erano alcune tribù che collaboravano strettamente con loro – alcune di queste tribù si sono convertite in massa all’Islam. Tale è stato il caso, per esempio, di buona parte dell’etnia yao del Malawi, che ha contribuito alla presenza dell’Islam in Zambia. Quindi queste sono le prime due comunità a cui possiamo attribuire l’arrivo dell’Islam in Zambia.

Ii finanziamenti, per esempio, per la costruzione delle moschee, degli ospedali e delle scuole, provengono da fonti locali o da altri Paesi arabi o musulmani?

Padre Phili: Non abbiamo elementi che ci possano far pensare a qualche Stato musulmano o arabo che stia sponsorizzando direttamente la diffusione dell’Islam nel Paese, salvo la African Muslim Agency in modo indiretto. Si tratta di una ONG che in qualche modo facilita, tra le altre cose, la costruzione delle moschee. Ma lo fa più attraverso un’attività di coordinamento per la costruzione degli edifici religiosi, piuttosto che con un diretto finanziamento della diffusione dell’Islam.

Nell’ambito della comunità asiatica in Zambia – che è impegnata soprattutto nel commercio, da cui trae le risorse locali e le elevate capacità organizzative – sono state edificate alcune strutture semplici, soprattutto nelle zone rurali, che sono state finanziate localmente. Esistono anche delle forme di finanziamento che provengono dall’estero, da parte di soggetti privati musulmani che fanno donazioni in Africa e che vengono a finanziare la costruzione opere come orfanotrofi o pozzi. Quindi esistono risorse che vengono dal di fuori del Paese – è vero – non tanto in modo coordinato, quanto piuttosto in modo spontaneo.

Le opere caritative formano parte integrante dell’Islam o sono un fenomeno di emulazione dal mondo cristiano? Lo chiedo perché sembra essere un fenomeno relativamente recente?

Padre Phili: Credo che siano vere entrambe le cose. Da un lato abbiamo il modello cristiano. […] La comunità musulmana in qualche modo si rifà a questo modello, ma la motivazione più profonda proviene da qualcosa che esiste nello stesso Islam, in quello che chiamiamo zacat, ovvero una quota della propria ricchezza che ogni musulmano è tenuto a pagare.

Come la nostra “decima” cristiana?

Padre Phili: In un certo senso si può paragonare alla decima. E questo consente di raccogliere un buon quantitativo di risorse che sono destinate ad aiutare le parti più povere della comunità. Tradizionalmente servivano per affrontare i bisogni più immediati della gente, ma con la diffusione dello sviluppo nella società zambese, questo si è applicato anche al pagamento delle spese di istruzione, sanitarie e di sviluppo economico.

Quindi, in un certo senso non si sono limitati a copiare il nostro modello. Nel loro sistema religioso esiste l’uso di mettere in comune le risorse e di usarle in modo simile a come facevano, prima di loro, i cristiani.

In che modo i cristiani rispondo a questa realtà? Sono preoccupati?

Padre Phili: La reazione dei cristiani è stata principalmente di dimenticare la recente storia dei missionari cristiani in Zambia. I missionari cristiani hanno fatto ciò che i musulmani stanno facendo ora. I tempi sono cambiati. Ma vi sono state molte accuse contro la comunità musulmana che avrebbe comprato conversioni con incentivi materiali.

Si tratta di un’argomentazione valida?

Padre Phili: Per certi versi è un’argomentazione valida, ma – come ho detto – i tempi sono cambiati. La comunità musulmana fornisce gli stessi servizi che fornivano prima i missionari cristiani, guadagnando molti fedeli, e i musulmani stanno facendo ora esattamente la stessa cosa. […] La critica principale è che in questo approccio ci si approfitta dei poveri e dei bisognosi della società. Così, anziché donare liberamente ciò di cui hanno bisogno, lasciandoli liberi di decidere, in qualche modo, indirettamente, per la forma con cui si forniscono i servizi, le persone si sentono che ce lo si aspetta da loro. Questa è stata una delle critiche formu
late nei confronti della comunità musulmana: che ci si approfitta dei poveri della società, fornendo questi servizi per ottenere nuove conversioni.

Questo pone la questione della bontà di quella scelta di vita. Se viene fatta in un contesto di convenienza o di bisogno, quanto può essere profonda, in realtà, quella scelta religiosa?

Padre Phili: In un certo senso ciò dipende dai singoli individui, perché generalmente nell’Islam non si fa la catechesi. Quando si ha la possibilità, si può imparare cosa sia l’Islam prima della conversione, ma nella maggior parte dei casi la conversione è un processo immediato. Si può imparare ad essere musulmano solo dopo la conversione. Quindi un buon numero di queste persone scopre solo successivamente di essere diventato musulmano. Scopre anche che il sostegno che gli viene offerto è minimo. Talvolta si riduce a una coperta, per esempio – anche se ciò può significare molto per chi vive nelle aree rurali, soprattutto nella stagione fredda – ma poi interviene la speranza che nel frequentare continuativamente gli incontri e nel mostrarsi come musulmani si possa poi ricevere ulteriori aiuti. Così si inizia a imparare come si diventa musulmani e si inizia a imparare la preghiera.

Quando le altre persone, che non sono cadute in questo tipo di adescamento materiale, gli chiedono perché si lascino portare verso un’altra religione per questo motivo, allora per difendere la loro dignità dicono che non è solo per vantaggio materiale, ma per convinzione personale. Questo per convincere chi li critica e chi solleva il dubbio che siano musulmani sinceri. Quindi alla fine l’intero processo può effettivamente portare a una conversione più profonda, a una fede più profonda. D’altra parte, per alcune persone che sono attratte solo per interesse materiale, quando vedono che non ne traggono profitto, abbandonano. Quindi è un modo per mettere alla prova.

Qual è la risposta dei cristiani in Zambia? Alcuni Paesi africani hanno visto contrasti tra musulmani e cristiani. Loro sono preoccupati?

Padre Phili: Ciò che sta avvenendo finora è soprattutto che una comunità già esistente si sta rendendo maggiormente visibile. Vi è stata una lunga storia di convivenza. Quei timori possono riguardare piuttosto altri contesti e meno quello dello Zambia, perché i musulmani che si conoscono personalmente sono tutti parenti alla lontana […] quindi non esiste un timore immediato nei confronti dei musulmani nel Paese e della loro diffusione.

Esiste invece un certo timore per il rischio di un collegamento con le forme di estremismo che esistono altrove. In un certo senso, la comunità cristiana, e la Chiesa cattolica in particolare, ha espresso cautela dicendo che l’Islam è una realtà in fermento e in crescita. Ciò che colpisce, tuttavia, e credo che buona parte si fondi su una sorta di… non saprei se chiamarlo pregiudizio… è che mentre alcune moschee sono state costruite nel Paese, i Testimoni di Geova hanno costruito il quadruplo di Sale del Regno e che questo non sembra preoccupare nessuno, in parte perché a mio avviso essi sono percepiti come persone dalla parte dei cristiani.

In che modo la Chiesa cattolica cerca di lavorare con i musulmani?

Padre Phili: Vi sono stati diversi tentativi fatti qua e là per entrare in dialogo con la comunità musulmana. Alcune realtà musulmane locali sono molto aperte al dialogo con i cristiani e con la Chiesa cattolica in particolare, ma al momento non esistono strutture o mezzi di coordinamento per una più stretta collaborazione tra le due comunità.

Le difficoltà derivano dal fatto che entrambe sono comunità missionarie. Come è possibile lavorare insieme per evitare una potenziale crisi?

Padre Phili: A mio avviso ancora oggi sono in atto dei cambiamenti nella comunità musulmana, soprattutto nel contesto dello Zambia dove i cristiani convertiti mantengono legami con i cristiani, cosa che aiuta ad avere un atteggiamento più moderato verso i cristiani. E sono proprio quei convertiti che aiutano molto a costruire questi collegamenti.

Che effetti ha avuto il discorso del Papa a Ratisbona su questa questione? Il Santo Padre è stato criticato, ma alla fine alcuni accademici musulmani hanno scritto una lettera comune chiedendo il dialogo. Che importanza ha avuto?

Padre Phili: Il dialogo è arrivato dopo la reazione musulmana, e l’iniziativa era stata presa da 38, poi 138, accademici ed esponenti religiosi musulmani. Con quell’iniziativa si è tentato di prendere le distanze dalla generale reazione al discorso del Papa. Quindi, in un certo senso, ha dato grande speranza alla comunità musulmana, a quelle persone che erano disposte ad adottare un approccio diverso da quello dei gruppi estremisti. Credo che queste siano le persone che hanno bisogno dell’incoraggiamento da parte dei non musulmani, perché sono quelle che si mettono in prima linea, esponendosi alle critiche di chi li accusa di rispondere positivamente all’invito di non musulmani al dialogo o alla revisione di un certo modo di essere nel mondo odierno sopratutto da parte dell’Islam.

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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per “Where God Weeps”, un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.

Where God Weeps: www.WhereGodWeeps.org

Aiuto alla Chiesa che soffre: www.acn-intl.org

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ZENIT Staff

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