Una missionaria in Sudan e la sua santa

Intervista alla suora canossiana Severina Motta

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ROMA, lunedì, 4 aprile 2011 (ZENIT.org).- Suor Severina Motta è una missionaria canossiana che ha trascorso più di 40 anni in Africa. Per più di una dozzina d’anni è stata in Sudan dove ha conosciuto “la sua santa”, Santa Bakhita.

Bakhita è la principale santa del Sudan ed è divenuta famosa in tutto il mondo soprattutto da quando Benedetto XVI l’ha citata nella sua enciclica Spe salvi.

La sua figura ha anche ispirato la conversione di un condannato a morte, nello Stato dell’Oregon, il quale ha avviato un progetto di sostegno per le suore canossiane.

In questa intervista rilasciata al programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, suor Severina parla della sua vocazione missionaria e della santa che ha insegnato ai sudanesi come prevalere sui loro nemici.

Ha sempre avuto il desiderio di essere una suora missionaria?

Suor Severina: Ho sempre desiderato essere una suora, ma non una missionaria.

Voleva fare la suora qui?

Suor Severina: Volevo fare la suora in Italia. Ho avuto dei conflitti interiori, ma mi sono arresa quando ho realizzato che era veramente Gesù che mi chiedeva di andare tra i giovani che non hanno nessuno che si prenda cura di loro.

Quand’è che ha detto “Sì, Signore, andrò”?

Suor Severina: È stato durante un momento speciale di preghiera nel noviziato. Nella cappella c’è un grande crocifisso rivolto verso la rappresentazione di alcune pecore, con sotto la frase: “Euntes in Universum Mundum” – andate in tutto il mondo. Il dito sembrava puntare verso di me, era arrivato il mio turno di andare e unirmi alle missionarie. In quel momento mi sono abbandonata. È stata un’esperienza molto difficile, ma devo dire che è stata molto gratificante.

Quando si guarda indietro, cambierebbe qualcosa della sua vita?

Suor Severina: No, rifarei tutto di nuovo.

Perché ha scelto l’Africa?

Suor Severina: Effettivamente l’Africa non l’ho scelta io. Noi andiamo dove veniamo inviate, ma dopo aver detto sì al Signore, il mio più grande desiderio era di stare tra i più poveri, di condividere la loro vita e di lavorare con loro per trovare i mezzi e i modi per migliorarla. Devo dire che sono stata veramente gratificata perché di tutti i luoghi in cui sono stata, lì mancavano tutti gli elementi essenziali della vita. Nessun mezzo di comunicazione, senza strade adeguate, senza acqua potabile o elettricità, ma con la sola ricchezza delle persone.

Vorrei parlare un po’ di suor Bakhita, santa Bakhita ora, che nella comunità è chiamata “Madre Moréta”.

Suor Severina: Sì, Bakhita era una ragazza del Darfur, in Sudan, che all’età di 7 anni è stata rapita e venduta come schiava. Non accettando la situazione, è poi fuggita insieme a un’altra ragazza, per essere quindi ricatturata e rivenduta. Questa situazione si è ripetuta cinque volte. È passata da un padrone cattivo a uno peggiore, finché è caduta nelle mani di un ufficiale turco molto crudele. Quest’uomo le ha inflitto 114 tagli profondi sul corpo, strofinandovi sopra il sale e lasciandola in agonia per settimane. Poi è stata comprata dal Console italiano a Khartoum e portata in Italia, dove ha lavorato come tata per l’amica di sua moglie.

In Italia, Bakhita non solo ha trovato la libertà, ma anche rispetto e amore. Ma soprattutto ha scoperto Dio. Successivamente è stata battezzata ed ha chiesto di entrare nella nostra Congregazione, dove ha vissuto una vita molto semplice, fatta di bontà, mitezza, gentilezza e di profonda spiritualità. È poi morta a Schio nel 1947 e il 1° ottobre del 2000 è stata canonizzata da Papa Giovanni Paolo II.

Santa Bakhita ha toccato la vita di molte persone in tutto il mondo. Ho sentito la storia di un prigioniero americano, nel braccio della morte, che è stato convertito dalla sua testimonianza. Ci può raccontare questa storia?

Suor Severina: Sì, un prigioniero nel braccio della morte, nell’Oregon, era disperato. Un giorno ha trovato sotto la porta della sua cella una lettera di una signora svizzera che era solita cercare i nomi delle persone condannate a morte e scrivergli per fare loro un po’ di coraggio. Questo prigioniero, Jeffrey, ha visto la lettera e per un po’ non gli ha prestato attenzione, ma poi l’ha presa per gettarla nel cestino. Ma questa è caduta di lato. Così l’ha ripresa, l’ha aperta e ha letto di questa signora che diceva di amarlo e che anche suor Bakhita lo amava. Ha iniziato a chiedersi chi fosse questa Bakhita. Di nuovo, inizialmente ha ignorato il tutto, ma non continuava a non darsi pace. Così ha risposto a questa signora chiedendole di Bakhita. Lei gli ha inviato un pamphlet con la storia di Bakhita. Lui è rimasto così colpito da ciò che questa ragazza aveva attraversato, dalla sua capacità di perdonare e poi di realizzare così tanto nella vita, che poco a poco qualcosa ha iniziato a cambiare in lui. Ha chiesto di essere battezzato e ora vuole fare qualcosa per il Sudan. Così, dalla sua cella scrive delle lettere. Ha avviato un progetto in Sudan per incoraggiare gli aiuti in favore dei bambini di quel Paese.

Credo che abbia scritto qualcosa come 600 lettere.

Suor Severina: Ha scritto più di 600 lettere. È anche un artista e sta creando delle opere da vendere per quello scopo. Sta anche contribuendo alla conversione degli altri detenuti. Credo che questo sia uno dei più grandi miracoli che suor Bakhita stia compiendo.

Qual è l’importanza di santa Bakhita per la gente del Sudan?

Suor Severina: Santa Bakhita è anzitutto un segno e un motivo d’orgoglio per il Sudan e la sua gente. Bakhita è la prima santa sudanese. È stata una schiava. È stata una donna. La sua fama si è diffusa in tutto il mondo. Ha rivelato al mondo il meglio della sua gente ed ha attirato l’attenzione del mondo sui problemi e sulla situazione del Sudan.

Quando lei parla ai sudanesi di suor Bakhita e della sua capacità di perdonare i suoi nemici, è un qualcosa che la gente è disposta ad accogliere, alla luce di tutte le difficoltà che hanno sofferto in Sudan?

Suor Severina: Credo di sì, perché Bakhita è a pieno titolo una sudanese. È molto amata in Sudan perché ha rivelato il meglio della sua gente. Quando sono arrivata in Sudan, era un periodo di terribili lotte e sofferenze. Io stessa avevo difficoltà a sostenere la situazione e quando chiedevo alla gente: “Come fate ad andare avanti in queste condizioni?”, mi rispondevano: “Sorella, non pensi che noi siamo gli sconfitti. Noi siamo i vincitori perché possiamo sopportare tutto senza cercare vendetta. Questa forza interiore che mostriamo è ciò che ci permette di vincere i nostri nemici”. Questa è la forza che troviamo in suor Bakhita e ora nella sua gente.

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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per “Where God Weeps”, un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.

Where God Weeps: www.WhereGodWeeps.org

Aiuto alla Chiesa che soffre: www.acn-intl.org

“Sister Bakhita: A Song of Freedom” trailer: www.youtube.com/watch?v=NiVe3S3tnuU

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ZENIT Staff

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