Bioetica e programmi televisivi


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di Carlo Bellieni*

ROMA, domenica, 31 ottobre 2010 (ZENIT.org).- TV: dopo settant’anni dalla creazione di questo potentissimo mezzo, dateci finalmente una televisione che davvero meriti di essere vista dai ragazzi! La televisione nei paesi occidentali è subissata di cronache di morte: casi atroci portati sugli schermi per giorni e giorni, anche prima che si sia istituito un processo. Fin dove questa scelta è una buona scelta educativa per un “io” giovanile che si dibatte tra autonomia e dipendenza, tra trasgressione e desiderio di morte?

Il caso di Sarah Scazzi in Italia – tanti altri analoghi possono essere citati all’estero – sono segno di una predilezione delle TV per la cronaca nera. E’ accettabile?

La televisione sceglie per noi. Non siamo noi padroni del mezzo. La televisione orwellianamente entra nelle nostre case, e gli adulti le dedicano il centro addirittura della stanza principale; il 70% dei giovani USA hanno la TV nella camera da letto. E’ un ospite che anche quando tace parla: anche quando è spenta per gli adulti c’è una certezza: essa è LA fonte delle notizie, IL luogo dei dibattiti, LA passerella di chi è davvero importante, IL parametro del gusto. E che, siccome in TV tutto o quasi è fatto per attrarre urlando, la vita deve essere una pretesa e un urlo continuo; e siccome in TV tutto o quasi è fatto per il mercato, la NOSTRA vita deve essere un mercato. Può questo messaggio non arrivare a chi è più giovane?

La TV si occupa di tutto? Proprio no. Si occupa di quello che richiama pubblico, tanto che i suoi più pagati addetti si chiamano “uomini-ancora” (anchor man), cioè capaci di legarci e immobilizzarci davanti allo schermo. E tanto che i pubblicitari sono strapagati per inventare forme sempre più evolute di incantesimo mediatico, e più ci legano, più sono pagati. E questi messaggi non fanno distinzioni tra adulti e ragazzi e bambini: anzi. La TV non si occupa di handicap, tranne poche eccezioni. Non si occupa di tutti i casi di genuina bontà, di disinteresse, di evoluzione nella ricerca scientifica, tutti rilegati a “pillole” in programmi contenitori (salvo eccezioni). Ma si occupa di cronaca nera, di insuccessi medici, di drammi, di tragedie locali o internazionali, generando forse consapevolezza, ma certamente ansia: e quanti allarmi poi si sono dimostrati infondati? Ma la TV offre soprattutto passerelle dei personaggi pubblici spesso decise col cronometro, quasi che questa sia la sua missione principe: mostrare chi già è noto, e dunque il messaggio è semplice: “è chi appare”; e la TV ti spiega come apparire tramite ciò che ti vende, e questo è un dato da ponderare con attenzione.

E la TV parla di sesso, e questo non sarebbe un male se invece di “spararlo” per acchiappare l’audience lo modulasse come una cosa assolutamente normale per la vita. Invece siamo sottoposti ad ogni ora a scene di sesso spesso associato a violenza o voyeurismo. E su un pubblico adolescenziale arriva come messaggio imperativo forte, al punto da rischiare di far saltare i passaggi che un qualunque adolescente deve fare per un’appropriazione del proprio “io” che arriva a ricercare l’altro/a fuori della cerchia degli affetti familiari o degli affetti del gruppo dei pari solo alla fine di un percorso di crescita e non buttato a forza nel mare. Siamo sicuri che il sesso sparato in TV sia ininfluente su questo processo di maturazione dell’io?

E il sangue. Crimini e delitti, vampiri e zombie, sangue a fiotti sono certo catartici, aiutano l’adolescente a superare l’ansia di un corpo, il suo, che si trasforma, che si ingigantisce; ma se non sono bilanciati sugli schermi dal sudore di migliaia di giovani lavoratori del bene – in realtà dei veri eroi – che zitti e censurati lavorano per i più disgraziati, i derelitti, gli abbandonati, non rischia di

generare solo ansia? Perché non fa vedere che la speranza di fronte all’angoscia può avere un nome; e non dare un nome alla speranza genera depressione: un macigno sulle spalle di chi cresce, che lo fa sentire obbligato a risolvere i problemi del suo mondo e di quello altrui (i delitti da cui si sente circondato), ma da solo, in completa solitudine e dunque in piena devastante impotenza. Questo rischia di cozzare con la crescita dell’io. E anche gli spot sociali contro alcol e droga, rischiano di essere dei boomerang se insistono come spesso accade sul “mettere paura della morte”: i giovani non aspettano altro per fisiologia che di mettersi alla prova, di verificare la propria esistenza con la sfida dell’impossibile e dell’impenetrabile rappresentato dalla morte!

Ridateci allora una TV degna di coloro che con sacrificio vi lavorano per renderla migliore anche per i giovani. Tanti racconti e ore di dettagli e di supposizioni su supposizioni in merito a fatti di cronaca nerissima – tutti da appurare -, tanti falsi eccessi, tanti sorrisi per una felicità pubblicitaria di una macchina o di qualche cereale aiutano in questo?

Letture consigliate:

1) Pietropoli Charmet G: I nuovi adolescenti. Raffaello Cortina Ed. 2004

2) Oliverio ferraris A: TV per un figlio. Laterza 2004

3) Palmer S: Toxic Childhood: How The Modern World Is Damaging Our Children And What We Can Do About It. Orion Ed. 2006

4) AAP Council on Communications and Media. Policy Statement–Media Education. Pediatrics. 2010 Sep 27.

5) AAP Council on Communications and Media. American Academy of Pediatrics. Policy statement–sexuality, contraception, and the media. Pediatrics. 2010 Sep;126(3):576-82.

6) Ray M, Jat KR. Effect of electronic media on children. Indian Pediatr. 2010 Jul 7;47(7):561-8.

7) Brambilla P, Bedogni G, Buongiovanni C, Brusoni G, Di Mauro G, Di Pietro M, Giussani M, Gnecchi M, Iughetti L, Manzoni P, Sticco M, Bernasconi S. “Mi voglio bene”: a pediatrician-based randomized controlled trial for the prevention of obesity in Italian preschool children. Ital J Pediatr. 2010 Aug 17;36:55.

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*Carlo Bellieni è membro del Comitato di Bioetica della Società Italiana di Pediatria.

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ZENIT Staff

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