Europa, il cristianesimo è condizione di sviluppo sociale

Mons. Fisichella: grazie a noi un corretto rapporto tra ragione e fede

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di Mariaelena Finessi

ROMA, venerdì, 29 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Profondamente divisa e smarrita, l’Italia è un Paese in cui oggi «si rimettono in discussione i capisaldi della storia nazionale condivisa». Massimo D’Alema, presidente della Fondazione Italianieuropei e politico di centro-sinistra, interviene a Roma, il 28 ottobre, nel dibattito “Un’Europa cristiana?” organizzato dall’Elea. E con il presidente del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione, monsignor Rino Fisichella, affronta il tema del ruolo della religione – più precisamente quella cristiana – nel dibattito sul bene comune.

«C’è un involgarimento del discorso pubblico», spiega. Ecco allora che il punto di vista dei cattolici rispetto al bene comune non solo è auspicato ma necessario: «Altro che chiedere alla Chiesa di non ingerire, ingerite! – dice rivolgendosi a monsignor Fisichella -. Se non ora quando?».

Il metodo è la collaborazione: «Mai come in questo momento c’è bisogno che si torni a lavorare insieme. Davvero si può pensare che questo nesso tra etica e politica lo si ricostruisca senza la presenza politica dei cattolici italiani? No, sarebbe un’illusione».

Il cristianesimo non avanza «nessun diritto di primogenitura su diverse conquiste che sono state compiute nel corso dei secoli e che segnano la storia di questi venti secoli», spiega monsignor Fisichella, ma non desidera «che altri se ne impossessino giungendo perfino a negare la nostra originalità e il nostro apporto».

Nel giorno in cui la Conferenza episcopale italiana annuncia che la Chiesa sosterrà la crescita di una nuova generazione di politici, rilanciando scuole di formazione, Fisichella apre una parentesi sull’Europa: «Si ha l’impressione che in questo processo di unificazione tutto sia già prefissato e determinato da un’elite di persone, senza un diretto coinvolgimento dei cittadini che sono i primi attori».

«Pensare che una moneta unica possa dare identità o che lo scambio di studenti con il progetto Erasmus crei il senso di appartenenza – prosegue l’arcivescovo – è superficiale. Questi sono strumenti, validi e utili, ma devono essere fondati, accompagnati e sostenuti da un progetto culturale rispettoso delle differenze e in grado di fare sintesi per una novità originale, altrimenti tutto diventa uniforme: linguaggio, arte, architettura, letteratura, politica, economia».

E sulla costruzione del progetto europeo l’ex premier ribatte, sostenendo come un certo “indifferentismo” conviva «con un rispetto formale della religione», aspetto che la Chiesa è invitata a non sottovalutare poiché comporta «un problema più complicato» che «sfidare la laicità vecchia maniera di chi vuole eliminare i crocifissi o impedire l’inserimento delle radici cristiane nella costituzione dell’Unione europea» perché «c’è una sfera dove quello che conta è l’etica condivisa».

Vero è, però, che è proprio grazie ai cristiani – replica Fisichella – che in Europa oggi si può parlare di rispetto per la vita, tanto per fare qualche esempio, o di matrimonio e, in esso, della dignità della donna, come moglie e come madre. Soprattutto, si può parlare di tolleranza, di democrazie, di dialogo ed accoglienza. «Il fondamento di un corretto rapporto tra la ragione e la fede lo si deve al nostro pensiero che non ha mai voluto umiliare la ragione, ma ne ha fatta una compagna di strada ineliminabile». «È da questo rapporto positivo con la ragione che si evitano i conflitti e si esclude ogni fondamentalismo».

In finale, «il cristianesimo non è di inciampo al progresso della società, ma sua condizione di genuino sviluppo». Dunque, conclude, «non è emarginando né esorcizzando il cristianesimo che si potrà avere una società migliore».

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ZENIT Staff

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