di Antonio Gaspari
Questa la valutazione di don Nicola Bux, professore di Liturgia orientale e di Teologia dei sacramenti alla Facoltà Teologica Pugliese, presente al Sinodo in qualità di delegato nominato dal Pontefice Benedetto XVI.
Don Nicola Bux che ha insegnato anche a Gerusalemme e Roma è consultore delle Congregazioni per la Dottrina della Fede e per le Cause dei Santi e consulente della rivista teologica internazionale “Communio”. E’ anche consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice.
ZENIT lo ha Intervistato.
Quali sono i risultati rilevanti di questo Sinodo?
Don Nicola: Il Sinodo è stata una occasione di incontro tra persone che difficilmente si sarebbero incontrate, così come sono disperse non solo nelle terre del Medio Oriente ma anche in Occidente dove c’è una grande diaspora.
Si può dire, in termini di numeri, che le Chiese mediorientali sono più presenti in Occidente che sul terreno proprio. Che il Santo Padre abbia fornito questo momento di incontro è già di per sé un fatto significativo.
Ciascuna di queste Chiese orientali vive la propria vita e le proprie preoccupazioni. Incontrarsi a Roma, sul soglio di Pietro, è stata una occasione di grande conforto e di grande aiuto. Inoltre il Sinodo ha permesso ai presenti di guardare insieme i problemi al fine di capire che siamo una sola Chiesa la quale nasce e diffonde l’unico Vangelo.
Il fatto che l’unico Vangelo abbia dato origine a tante comunità in tanti luoghi diversi appartiene al comandamento di Gesù: “andate e fate discepoli tutti i popoli”.
Più di un Padre ha ribadito al Sinodo che noi siamo una Chiesa cattolica apostolica, poi siamo anche Chiese orientali, ma dovremo andare oltre l’Oriente e l’Occidente e non dobbiamo soffermarci troppo sul particolare, perchè altrimenti corriamo il rischio di identificare la Chiesa e la fede con una nazione, una etnia, una comunità particolare. In questo modo si rischia di soffocare il respiro della fede che è per sua natura universale.
La situazione in cui vivono i cristiani non è però facile…
Don Nicola: Non c’è dubbio. Il Sinodo ha confortato i presenti malgrado la situazione molto difficile in cui si trovano. Ci sono problemi seri di confronto di carattere religioso e politico.
Il Corano riconosce che ebrei e cristiani hanno il Libro, ma sono credenti e cittadini considerati di seconda categoria. Il Corano presuppone che il quadro di riferimento dei cristiani sia la legge coranica (Sharia) e che quindi non c’è bisogno di rivendicare altri diritti perchè loro garantirebbero anche i diritti dei cristiani
Ciò non è esattamente vero, e così accade che nel Golfo ci sono 13 milioni di cattolici, lavoratori che vengono dall’estero, che non hanno nemmeno la possibilità di riunirsi per la messa.
Così in più Paesi i cristiani si trovano a rivendicare il diritto alla libertà religiosa, il diritto alla libertà di coscienza e il diritto alla libertà di culto.
I cristiani queste rivendicazioni le fanno nell’unica maniera che li contraddistingue, con ragionevolezza, con pacatezza, con mitezza, con coraggio e magari anche con rassegnazione, pronti a subire il martirio. Al Sinodo si è parlato del martirio a cui sono andati incontro molti cristiani per rimanere fedeli alla loro fede. Un caso di martirio è per esempio quello di monsignor Luigi Padovese, sgozzato in Turchia.
Per tutte queste ragioni il Sinodo è stato una grande occasione e aiuterà molti cristiani orientali e occidentali a capire l’importanza dell’unità della Chiesa intorno a Pietro, intorno al Papa, perchè l’unità della Chiesa non è un anelito o un desiderio, è un fatto, è una realtà.
Molti cristiani però non ce la fanno a sopportare ingiustizie e discriminazioni e quindi emigrano. Cosa ha detto a proposito il Sinodo?
Don Nicola: Emigrare per cercare un futuro migliore è un diritto dell’uomo e non si può impedirlo. Nello stesso tempo la Chiesa richiama a non abbandonare i territori dei nostri padri, quindi non solo invita, ma fa il possibile, aiuta e viene incontro affinché le proprietà dei cristiani non siano alienate, non siano vendute o peggio svendute.
Purtroppo c’è una tendenza da parte degli ortodossi a vendere a musulmani ed ebrei. Si tratta di un fenomeno deprecabile, e nonostante ciò, la missione permane. Il Signore ha detto: annunciate il Vangelo a tutti, soprattutto in Terra Santa.
Anche se le modalità di questo annuncio con la parola e la testimonianza sono sottomesse agli spazi di libertà, che vengono concessi. Ecco perchè i cristiani devono avere il coraggio di rivendicare dinanzi al mondo il diritto alla libertà religiosa che è il fondamento di tutte le libertà.
A questo proposito al Sinodo c’è stata una riaffermazione della libertà religiosa, e indubbiamente dopo questo Sinodo le Chiese mediorientali non saranno più le stesse, si ritroveranno più unite, più sostenute.
Il Sinodo è stata un’Assise di Chiesa che fa capire come la Chiesa sia unita e come i problemi di una Chiesa particolare siano i problemi di tutta la Chiesa. Credo che in questo senso la lungimiranza del Pontefice Bendetrto XVI sia stata ampiamente riconosciuta.
Mentre molti cristiani emigrano, cresce la presenza dei movimenti ecclesiali, come per esempio il Cammino Neocatecumenale…
Don Nicola: I movimenti sono una grande risorsa. La Chiesa li riconosce anche per lo slancio missionario delle famiglie che con abnegazione sacrificio lasciano tutto e vanno in missione in terre lontane e ostili per far conoscere Gesù Cristo.
Ma l’attenzione che alcuni movimenti devono avere è quello di sottomettersi umilmente alla Chiesa in quei luoghi, fare riferimento ai Vescovi e accettare di morire e rinascere. Devono conoscere la lingua e poi capire di inserirsi dentro l’alveo culturale, storico e liturgico.
I movimenti non possono esportare in Oriente usanze occidentali soprattutto quando queste usanze sono l’esito di una creatività liturgica non disciplinata dalla Chiesa romana. E questo potrebbe creare confusione e danni.
I movimenti devono incarnarsi nella liturgia locale e anche quando provenienti dall’Occidente celebrano la liturgia romana, lo devono fare senza stravaganze.
[Giovedì 28 ottobre, la seconda parte dell’intervista]