Arabia, la nuova primavera della Chiesa

Mons. Hinder: “Così tanti cattolici che non abbiamo più spazio”

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di Mariaelena Finessi

ROMA, martedì, 26 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Se in Iraq e Turchia le antiche comunità cristiane si assottigliano sempre più, dall’Asia arrivano nuovi fedeli ad abitare soprattutto il Golfo Persico e l’Arabia Saudita. E mentre si spengono i riflettori sul Sinodo per il Medio Oriente, chiedendo ai cristiani di non lasciare le proprie terre e di resistere alle persecuzioni, accade che in quest’angolo di mondo arrivino tanti, tantissimi, cattolici da altri Paesi lontani. 

Una novità che sorprende visto che la destinazione è lì dove l’Islam ha le radici. «Nell’area sotto la mia giurisdizione ci sono 2 milioni e mezzo almeno di cattolici», racconta Monsignor Paul Hinder, Vicario apostolico d’Arabia, in uno degli incontri della rassegna culturale “Sguardi sui cristiani del Medio Oriente”, iniziativa promossa dalla Custodia di Terra Santa e delle Edizioni Terra Santa in collaborazione con Azione Cattolica Italiana e Fiac – Forum Internazionale di Azione Cattolica per riflettere sulla condizione dei cristiani in una delle aree più tormentate del pianeta.

Non sono più, però, gli europei dei primi tempi ma filippini e indiani, esuli per ragioni lavorative. «La nostra è una chiesa puramente pellegrina, di migranti “ad tempus”. Non abbiamo e non avremo mai la cittadinanza, per questo aggiorniamo regolarmente il nostro permesso di soggiorno che non è mai dato a vita». Né imprenditori né uomini d’affari, i nuovi arrivati «sono spesso molto poveri nonostante lavorino in un paese molto ricco», in grado di estrarre 35 milioni di barili di petrolio all’anno, con riserve provate di mille miliardi di barili.

Il paesaggio si colora di volti e fisionomie eterogenei che affollano parrocchie mastodontiche, come a Dubai, dove le suore comboniane distribuiscono più di 50 mila comunioni a settimana. «Un lavoro molto impegnativo, con mezzi limitati per un mare magnum di fedeli – lamenta Hinder – che non riesce ad entrare in chiesa perché non c’è posto per tutti: sarebbe bello se una basilica europea, sull’esempio della Santa casa di Loreto, viaggiasse fino da noi».

Cappuccino svizzero, monsignor Hinder (68 anni) regge dal 2005 il Vicariato d’Arabia, la circoscrizione ecclesiastica più grande del mondo che comprende sei nazioni, estese su oltre 3 milioni di chilometri quadrati (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Oman, Qatar e Yemen) e abitate da una popolazione che tocca i 60 milioni di persone.

Quanto al Kuwait, poi, su 3 milioni di abitanti almeno 2 milioni stranieri. «Ci sono circa 250 mila cristiani kuwaitiani ma è chiaro che non possono essere loro ad assicurare il futuro del cristianesimo qui», Monsignor Camillo Ballin, vicario apostolico in Kuwait racconta una situazione simile a quella in Arabia Saudita.

L’unica chiesa ufficiale è stata costruita 50 anni fa ed ha una capienza stimata di 700 persone. «Quando siamo pochi, in realtà, siamo però oltre mille». Una partecipazione invidiabile per molti sacerdoti occidentali: «Si potrebbe dire – ironizza il comboniano Ballin (66 anni), originario di Fontaniva (Padova) – che voi avete il pane ma non avete i denti, e noi abbiamo i denti ma non abbiamo il pane».

Numeri grandi non vogliono dire, tuttavia, libertà religiosa, che resta «un diritto molto limitato», racconta monsignor Hinder. «Esiste solo parzialmente, come scelta individuale», e sempre all’interno di regole ben definite, almeno negli Emirati e negli altri Paesi del Golfo, dove «chiamiamo la polizia ad assistere le nostre messe di 50 mila persone e le processioni, per dire, si possono fare solo all’interno delle mura di cinta della parrocchia». Diversamente, «in Arabia ogni attività pastorale è praticamente impossibile».

Buone notizie, almeno, sul fronte del fondamentalismo, ridotto della metà negli ultimi anni. «Col boom petrolifero – spiega Ballin – hanno dovuto mettersi in contatto per forza con gli stranieri», sebbene ciò non significa che abbia inciso sull’assetto sociale o abbia permesso il riconoscimento dei più basilari diritti umani. E così, ad esempio, quando si tratta di avanzare richiesta per una nuova chiesa, un terreno o una scuola il rischio di vedersela respinta esiste: «il proselitismo – conclude il Vicario Ballin – è l’accusa che può costare la nostra presenza».

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ZENIT Staff

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