BERHAMPUR (India), lunedì, 25 ottobre 2010 (ZENIT.org).- La sfida principale della Chiesa in India non è la ricostruzione degli edifici distrutti dalla violenza anticattolica dei fondamentalisti indù, ma la ricostruzione della fiducia interreligiosa, secondo un vescovo di Orissa.
Monsignor Sarat Chandra Nayak presiede la diocesi di Berhampur, nello Stato di Orissa. In quella regione, circa 300 villaggi cristiani e 4.000 case sono stati distrutti dai fondamentalisti indù nel solo 2008.
In questa intervista rilasciata al programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, il Vescovo ha parlato della violenza anticristiana nella sua regione, dei fattori che complicano i rapporti tra indù e cattolici e della sua speranza nonostante le difficoltà.
Perché l’Orissa è uno degli Stati meno sviluppati dell’India?
Monsignor Nayak: La popolazione è per lo più orientata all’agricoltura. La zona costiera rappresenta circa il 20% dell’area geografica totale e il resto è zona montuosa abitata da caste o tribù “registrate”, note oggi come dalit.
Infatti, più del 40% della popolazione è dalit. Perché la percentuale di dalit in quell’area è così alta?
I dalit vivono lì perché quando le persone appartenenti alle caste di livello più alto avevano occupato le fertili terre delle zone costiere, per loro non vi era più posto e quindi hanno dovuto muoversi nelle giungle e nelle zone di maggiore altitudine dove non vi sono terre coltivabili.
Qual è li suo motto episcopale e perché lo ha scelto?
Monsignor Nayak: Il mio motto episcopale è: “Essere un servitore felice”.
Si può essere servitori ma allo stesso tempo infelici. Si può essere costretti a servire, mentre io vorrei essere un servitore felice.
Ho notato prima, quando la sua croce si era girata, che sul retro c’è inciso: “Duc in altum”. Ha scelto lei questa frase e perché?
Monsignor Nayak: Non l’ho scelta io; mi è stata regalata. Ma corrisponde alla mia visione e al mio desiderio.
In seguito alla chiamata di Papa Giovanni Paolo II?
Monsignor Nayak: Sì.
È stato per lei un modello da seguire?
Monsignor Nayak: Sì, dare il 100% di se stessi. Come vescovo non potrò risolvere tutti i problemi, ma ciò che devo fare è dare il 100% di me stesso.
Eccellenza, lo Stato di Orissa purtroppo è noto per aver subito in passato violenze contro i cristiani. Ci può spiegare le ragioni alla base di queste violenze contro i cristiani e se provengono principalmente dagli estremisti indù, come ripete costantemente la stampa?
Monsignor Nayak: I motivi delle violenze? La fonte della violenza risiede sicuramente negli estremisti indù. Su questo non c’è dubbio, anche se oggi esistono diverse colorazioni.
La gente vede aspetti diversi. È per questo che queste violenze sono così complesse. Non c’è solo l’aspetto della violenza intercomunitaria o interetnica, ma vi sono anche altri aspetti.
Esistono per esempio motivazioni economiche: i negozianti e gli imprenditori in queste zone montuose provengono soprattutto dalle aree pianeggianti e quindi da livelli sociali più alti. Gente che ha fatto questo lavoro da sempre. Ora, grazie a una maggiore istruzione, i dalit e i tribali stanno intraprendendo attività commerciali e stanno diventando imprenditori. Questo danneggia gli imprenditori indù, che quindi cercano di creare problemi infiammando i sentimenti religiosi e danneggiando gli affari dei dalit e dei tribali. Questo è ciò che è avvenuto nel 2007.
Le prime aggressioni sono state perpetrate contro i negozi cristiani, i bombardamenti. Quindi c’è una motivazione economica.
In tutto Orissa, soprattutto in queste zone problematiche, gli imprenditori provengono dalle caste più elevate.
Forse è importante chiarire che la maggioranza dei cristiani sono dalit.
Monsignor Nayak: Sì, il 60% dei cristiani sono dalit; forse il 38% sono tribali mentre il resto appartiene alle altre caste.
Quindi il primo attacco è stato per motivi economici, perché gli imprenditori si sentivano minacciati dal crescente sviluppo della popolazione dalit. Esiste anche una motivazione politica?
Monsignor Nayak: Sì, esiste anche un motivo politico.
I dalit e i tribali rappresentano il 40% della popolazione di Orissa, e quando si riuniscono diventano una forza politica notevole. Quindi l’alta casta cerca di dividere queste due comunità.
Quindi subentra un altro aspetto in queste violenze: il contrasto tra le tribù e i dalit.
Provocato da chi o da cosa?
Monsignor Nayak: Da elementi esterni; da gente delle alte caste che vedono danneggiati i propri interessi quando questi due gruppi si uniscono.
Credo che sia importante anche parlare di una nota del Global Council of Indian Christians, che ha catalogato alcune delle violenze.
Questi sono i dati: 92 incidenti di violenza sono stati catalogati come contro i cristiani. Per esempio, quattro cristiani sono stati uccisi con delle spade da una folla di circa un migliaio di nazionalisti indù; due suore sono state stuprate in pubblico e un sacerdote del centro pastorale, padre Thomas, è stato gravemente percosso, spogliato e messo in mostra.
La violenza è drammatica. Vengono date alle fiamme le case, vengono attaccate le chiese e distrutti i conventi. Sono violenze molto aggressive.
Nel dicembre 2007, l’attacco era diretto contro le istituzioni e non contro le persone. Perché? Perché i fondamentalisti indù ritenevano che con i nostri servizi – scuole, assistenza sanitaria e di “elevazione” sociale – la gente era attratta al Cristianesimo. Per questo i numeri crescevano.
Il loro scopo era di distruggere queste istituzioni attraverso le quali i servizi cristiani erano offerti alla gente. Ma non sono rimasti soddisfatti di questo. Questa volta l’attacco ha preso di mira non solo le istituzioni, ma anche le persone, per traumatizzare e incutere timore, al fine di impedire l’esercizio del ministero.
Non si sono limitati all’aggressione contro padre Thomas, ma hanno anche attaccato i tesoriere dell’Arcidiocesi di Bubaneshwar, padre Bernard, e padre Edward di Sambalpur, Roukela.
Sono stati uccisi?
Monsignor Nayak: No, sono stati gravemente picchiati.
La strategia della paura funziona? I cristiani stanno abbandonando le loro zone? Hanno paura per la loro fede? Stanno abbandonando la fede?
Monsignor Nayak: Sì, sta funzionando. Dopo le aggressioni alle persone, si è passati agli attacchi contro i villaggi e nei villaggi sono state distrutte le case. Nelle case non distrutte, è stato detto ai cristiani che se non si fossero convertiti all’Induismo avrebbero rischiato la vita e la distruzione delle proprietà.
In questo modo si cerca di forzare la mano e alcuni si arrendono.
Si convertono?
Monsignor Nayak: Sì. I casi sono molti: più di un migliaio. Non conosco i dati esatti, ma prima che arrivassi in Europa, erano più di mille quelli convertiti all’Induismo.
Perché i cristiani sono così pesantemente minacciati dagli indù, se costituiscono una percentuale così esigua in queste zone?
Monsignor Nayak: I motivi sono diversi. Anzitutto, la presenza cristiana, anche se arriva quasi al 2%, fornisce servizi – educazione servizi sociali e sanitari – che rappresenta quasi il 20% del totale. E si dice che questo è il motivo per l’aumento delle conversioni in questa area. Quindi questo è uno.
Poi si sentono minacciati dall’aumento della popolazione cristiana, anche se da molti anni non si registra alcun aumento numerico sostanziale.
La popolazione è rimasta stazionaria.
Monsignor Nayak: Sì, più o meno è rimasta stazionaria. Ma gli indù sottolineano sempre: con
versione, conversione, conversione. E il timore deriva dalla passata esperienza storica con gli inglesi.
Gli inglesi erano venuti per motivi commerciali e poi hanno conquistato l’India governandola per 200 anni. In quel periodo è avvenuta la cristianizzazione e le conversioni. Quindi se si consente ai cristiani di crescere in numero, questi riprenderanno il controllo del Paese.
Riconquisteranno il Paese.
Monsignor Nayak: La conquista del Paese. Questo è il timore… l’infondato timore.
Noi siamo cristiani, ma siamo indiani, non stranieri.
Sì, e anche lì c’è una minaccia, se ho capito bene, contro lo stesso sistema delle caste?
Monsignor Nayak: Sì, quello è un motivo: il dominio politico.
Il secondo è il sistema delle caste. L’Induismo è infuso con il sistema delle caste. Gli indù, quelli dominanti, i brahmini, pensano che senza il sistema delle caste finirebbe anche il loro dominio. Per questo si sentono minacciati dalla diffusione del valore cristiano dell’eguaglianza di tutti gli uomini.
Hanno paura?
Monsignor Nayak: Hanno paura di perdere il loro potere e il loro dominio sulla gente.
Soprattutto perché gran parte delle conversioni cristiane vengono dalle caste inferiori?
Monsignor Nayak: Dai dalit e dai tribali, che prima usavano a loro vantaggio, ma che ora non possono più usare, perché il Cristianesimo dà loro eguali diritti e l’educazione gli dà una “elevazione” anche economica. Per questo quelli delle caste più alte si sentono minacciati nel loro dominio e nei loro interessi.
Ma non hanno ragione? Se il Cristianesimo continuasse a crescere e i cristiani continuassero a insegnare che le persone sono tutte uguali, ciò sarebbe una minaccia per il sistema delle caste. Non è verosimile che a un certo momento i dalit diranno: perché dovremmo essere trattati in modo diverso? Siamo uguali, come ci insegna il Cristianesimo. Quindi, in effetti, gli indù hanno ragione a dire che ciò rappresenta una minaccia per il sistema delle caste.
Monsignor Nayak: Sì, è una vera minaccia al sistema delle caste.
Ma perché di dovrebbe esserci un sistema che rende alcune persone inferiori alle mucche, inferiori agli animali? Gli indù, noi rispettiamo i loro sentimenti; loro trattano e rispettano le mucche come degli dei, ma non rispettano gli esseri umani; non tutti gli indù, ma alcuni gruppi in particolare, che pensano di essere i custodi dell’Induismo.
In India gli indù sono l’84% e in Orissa sono più del 90%. Noi conviviamo insieme felicemente e ci rispettiamo gli uni gli altri. Loro comprendono il valore umano e la dignità umana, ma esiste un piccolo gruppo che è dominante.
Credo che sia importante sottolineare che è solo un gruppo di fondamentalisti estremisti che ha provocato queste violenze. In molti casi, i cristiani che erano perseguitati hanno trovato rifugio nelle famiglie indù e hanno ricevuto da loro accoglienza e protezione.
Questa è la grande gioia e la speranza che riceviamo noi perseguitati: che c’è ancora speranza per poter vivere insieme.
Abbiamo perso molte strutture e molte vite umana. Gli edifici li possiamo ricostruire, ma ciò che è stato perso è la fiducia reciproca tra le genti di diversi gruppi e diverse religioni.
Gente che viveva insieme da secoli e che ora vede incrinarsi quella fiducia. La sfida per ciascuno di noi è cercare di recuperare quella fiducia.
In effetti, la Chiesa cattolica a Orissa, a causa delle Violenze, ha minacciato di chiudere uno degli elementi di forza forse più importanti: le scuole.
I vescovi hanno lasciato intendere che se le violenze dovessero continuare, saranno chiuse le scuole.
Qual è l’importanza delle scuole e dell’istruzione per quest’area? Qual è il suo significato?
Monsignor Nayak: L’istruzione è uno dei più importanti servizi che la Chiesa assicura alla gente. Sebbene siano scuole cristiane, il 90% degli studenti sono indù e musulmani. Quindi il servizio è ben accettato e rispettato.
Perché chiudere queste scuole? Perché da un lato ci sono i nostri fratelli sofferenti e perseguitati, che non hanno case né sicurezza. E dall’altra parte ci si chiede di dare un servizio senza mostrare solidarietà a questa gente perseguitata.
Chiudere le scuole è un modo per mostrare la nostra solidarietà – noi non l’approviamo – ed è anche un modo per richiamare l’attenzione sul fatto che non si deve dare il nostro servizio per scontato.
Nel 2007 vi sono stati dei gravi attacchi; nel 2008 anche, e gli estremisti hanno promesso di farne ancora. Avete paura? Quali misure potete prendere per impedire a questi estremisti di perpetrare altri attacchi di questo tipo?
Monsignor Nayak: Un modo è di costruire una pacifica convivenza tra le persone di buona volontà. Il livello locale è molto importante perché è lì che la gente vive e convive. Sono quelli che vengono da fuori che istigano e dividono la gente. Se la gente locale rimane unita, gli esterni non avranno la possibilità di creare conflitti.
Quindi, costruire una solidarietà locale tra gruppi diversi o religioni diverse sarà la prima cosa da fare. Ricostruire la fiducia che si è persa, convincerci che è possibile vivere insieme, così come è avvenuto da tempo immemore. Questa sarà la priorità.
In secondo luogo, certamente occorrerà dialogare con questi estremisti, questi fondamentalisti, perché le loro idee sulla Chiesa sono molto limitate ed erronee.
L’idea che la Chiesa possa dominare e conquistare l’India è del tutto sbagliata. Se le conversioni sono aumentate e si sono diffuse, i dati numerici sul Cristianesimo dovrebbero dimostrarlo, ma non è così. I dati ufficiali mostrano che il numero è stabile. Anzi, i cristiani crescono anche meno degli altri gruppi. Quindi non esiste alcuna minaccia.
In effetti un dialogo vi è stato tra esponenti cristiani e esponenti di questo gruppo fondamentalista VHP (Vishva Hindu Parishad), Bajrang Dal, il 5 settembre, quando i disordini erano ancora in atto. Un certo “Mr. J”, della J TV, ha organizzato questo incontro, dove ho potuto constatare la loro erronea visione della Chiesa e dei concetti che hanno sulla Chiesa e di come vedono il nostro servizio come una strategia per fare conversioni.
Se il nostro servizio è una strategia per le conversioni, allora le migliaia di persone che hanno usufruito delle nostre scuole e dei nostri ospedali si sarebbero convertiti. Persino alcuni ministri ed esponenti del BJP (Partito del popolo indiano) hanno studiato nelle nostre scuole cristiane e non si sono convertiti. Ma serve a distogliere l’attenzione della gente, dando una falsa impressione e dati falsi sulla Chiesa. Quindi il dialogo potrà certamente chiarire certe questioni.
Non è proprio della fede induista – solo per chiarire, sulla questione della reincarnazione – che se uno è un dalit è perché se lo merita in base a come ha vissuto nella sua vita precedente? E che se vive bene ora, forse nella vita futura potrà tornare a stare in una casta più elevata? Secondo questa visione, la Chiesa cattolica, nel cercare di migliorare la condizione sociale delle persone, sta di fatto creando un ostacolo o una confusione nella tradizione indù in cui la persona deve migliorare la propria vita in funzione della reincarnazione futura? È d’accordo con questo?
Monsignor Nayak: Non sono d’accordo. Personalmente, da cristiano, non credo nella reincarnazione perché considero la vita umana molto preziosa: è a immagine di Dio stesso. Per questo non può poi diventare la vita di un cane. È ciò che è adesso.
Questa opportunità è data agli esseri umani nel momento della loro creazione. Puoi scegliere di fare ciò che vuoi, ma adesso – o mai più.
Dopo la morte non potrai fare niente. Ora puoi scegliere di credere, accettare, vivere una buona vita, e la tua ricompensa sarà il paradiso o l’inferno. Questo è
ciò che abbiamo nella nostra fede cristiana, non che si possa diventare un cane o del bestiame; quello noi non lo crediamo.
Ma anche queste persone che pensano di stare nella tradizione induista della reincarnazione, se questo è quello che credono dovrebbero anche dimostrarlo. Invece, molti non vedono questa responsabilità attuale. Se pensassero che la loro posizione attuale sia dovuta alle buone azioni della loro vita passata, non dovrebbero avere il timore di perderla per la vita futura se si dovessero comportare male? Quindi non ci credono, perché se ci credessero starebbero attenti a non comportarsi male per non…
Per non tornare indietro?
Monsignor Nayak: Esatto. Quindi non credo che la loro fede sia retta da questa luce, non credo.
Concettualmente ci credono, ma in realtà no: sono impegnati nell’ora, in ciò che gli piace, ciò che gli interessa economicamente, socialmente; il dominio politico che vogliono mantenere. Quindi questo è il motivo: l’interesse economico, politico e religioso e quello della casta. E tutte queste cose stanno complicando la situazione.
Quali sono le sue speranze per il futuro dei cristiani nello Stato di Orissa?
Monsignor Nayak: I rapporti dei cristiani con gli altri gruppi, soprattutto gli indù, sono destinati a migliorare perché vi sono già molte voci che si levano per affermare il bene che la Chiesa e i cristiani stanno facendo e di come stiano soffrendo da innocenti.
La mia speranza, per la mia fede, è che le nostre sofferenze non vadano mai sprecate. Dio ci assicura che “ogni goccia delle nostre lacrime è raccolta in un otre”; nel nostro caso sarà in una piscina, ma sicuramente non andranno sprecate.
Il seme dei martiri, il sangue dei martiri sono il seme della fede. Di questo sono convinto. E sicuramente questo ci ridarà vita e la fede cristiana e la Chiesa saranno all’altezza della chiamata ad essere sacramento di salvezza in Orissa, a Kandhamal.
Quindi sono come agnelli sacrificali?
Monsignor Nayak: Sì. Non è una novità. I cristiani hanno sempre sofferto e non è una novità. È dall’inizio del Cristianesimo, dall’inizio della Chiesa: si dice che la Chiesa nasce dalla ferita del costato di Gesù.
La salvezza del mondo non verrà solo dal nostro servizio, ma anche dal nostro abbandono della vita stessa attraverso la sofferenza.
È così che lei incoraggia i suoi fedeli cristiani? Dicendogli che parte della nostra vita cristiana è di accettare ed essere consapevoli di dover portare la croce di Cristo?
Monsignor Nayak: Sì, non esiste altra via se non quella della croce, per i cristiani. Tra l’uccidere o essere uccisi, i cristiani non devono uccidere.
Gesù ci ha insegnato questo: lasciati uccidere. Se la mia morte salverà l’umanità, sono pronto.
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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per “Where God Weeps”, un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.
Per maggiori informazioni: www.WhereGodWeeps.org