La Bibbia non giustifica l'occupazione da parte di Israele

Il Sinodo dei Vescovi si appella all’ONU perché vi ponga fine

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ROMA, lunedì, 25 ottobre 2010 (ZENIT.org).- “Non ci si può basare sul tema della Terra Promessa per giustificare il ritorno degli ebrei in Israele e l’espulsione dei palestinesi”.

Lo ha affermato questo sabato monsignor Cyrille Salim Bustros, S.M.S.P., Arcivescovo di Newton dei Greco-Melkiti (Stati Uniti d’America), durante la conferenza conclusiva del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente, svoltasi nella Sala Stampa vaticana.

“Noi diciamo come cristiani che la promessa di Dio nell’Antico Testamento è stata abolita dalla presenza del Cristo che ha creato il regno di Dio, quindi non si può più parlare di Terra Promessa, non vi è più un popolo eletto, non vi è più un popolo preferito. Tutti gli uomini e le donne di tutti Paesi sono divenuti il Popolo eletto”, ha spiegato il presule.

“5 milioni di ebrei hanno cacciato 4 milioni di palestinesi dalla loro terra. Questo non è giustificabile”, ha lamentato.

Nel Messaggio al Popolo di Dio indirizzato dal Sinodo, si legge che “non è permesso di ricorrere a posizioni teologiche bibliche per farne uno strumento a giustificazione delle ingiustizie”.

“Al contrario, il ricorso alla religione deve portare ogni persona a vedere il volto di Dio nell’altro e a trattarlo secondo gli attributi di Dio e i suoi comandamenti, vale a dire secondo la bontà di Dio, la sua giustizia, la sua misericordia e il suo amore per noi”.

“Abbiamo analizzato quanto concerne la situazione sociale e la sicurezza nei nostri Paesi del Medio Oriente – prosegue il Messaggio –. Abbiamo avuto coscienza dell’impatto del conflitto israelo-palestinese su tutta la regione, soprattutto sul popolo palestinese che soffre le conseguenze dell’occupazione israeliana: la mancanza di libertà di movimento, il muro di separazione e le barriere militari, i prigionieri politici, la demolizione delle case, la perturbazione della vita economica e sociale e le migliaia di rifugiati”.

“Abbiamo riflettuto sulla sofferenza e l’insicurezza nelle quali vivono gli Israeliani. Abbiamo meditato sulla situazione di Gerusalemme, la Città Santa. Siamo preoccupati delle iniziative unilaterali che rischiano di mutare la sua demografia e il suo statuto. Di fronte a tutto questo, vediamo che una pace giusta e definitiva è l’unico mezzo di salvezza per tutti, per il bene della regione e dei suoi popoli”.

“I cittadini dei Paesi del Medio Oriente interpellano la comunità internazionale, in particolare l’O.N.U., perché essa lavori sinceramente ad una soluzione di pace giusta e definitiva nella regione, e questo attraverso l’applicazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, e attraverso l’adozione delle misure giuridiche necessarie per mettere fine all’Occupazione dei differenti territori arabi”.

In questo modo, indica il Messaggio, il popolo palestinese potrà avere “una patria indipendente e sovrana e vivervi nella dignità e nella stabilità”, lo Stato d’Israele “potrà godere della pace e della sicurezza all’interno delle frontiere internazionalmente riconosciute” e “la Città Santa di Gerusalemme potrà trovare lo statuto giusto che rispetterà il suo carattere particolare, la sua santità, il suo patrimonio religioso per ciascuna delle tre religioni: ebraica, cristiana e musulmana”.

“Noi speriamo che la soluzione dei due Stati diventi realtà e non resti un semplice sogno”, aggiunge il testo.

Il 10 ottobre scorso, il Consiglio dei Ministri israeliano ha approvato a grande maggioranza – 22 voti favorevoli e 8 contrari – un emendamento alla legge sulla cittadinanza, proposto dal Ministro della Giustizia Ya’akov Ne’eman, che obbligherà tutti i candidati a prestare giuramento a “Israele, Stato ebraico e democratico”. L’emendamento entrerà in vigore solo dopo essere stato votato dalla Knesset, il Parlamento israeliano.

“Per quanto riguarda la legge sul giuramento di fedeltà allo Stato ebraico – ha dichiarato monsignor Cyrille Salim Bustros –, diciamo che come Chiese cristiane siamo contrari perché questo significa che ci debba essere anche uno Stato palestinese musulmano. Ma questo non è accettabile. Tutte le religioni devono aprirsi, devono convivere fianco a fianco, costruire insieme la civiltà dell’amore, la civiltà del dialogo, del rispetto reciproco, nell’accettazione dell’altro diverso da me”.

“Ci sono 1.200.000 di arabi cristiani e musulmani in Israele, quindi io credo che bisognerebbe evitare questa confusione di uno Stato solo per gli ebrei”, ha commentato il presule. “Questo porterebbe a cacciar via tutti e a far sì che in Israele rimangano solamente gli ebrei”.

“Rifiutiamo quindi quest’ipotesi”, ha concluso, ricordando che esiste anche “un altro grande problema internazionale” sul quale sarebbe necessaria un’approfondita riflessione: “quello del ritorno degli sfollati e dei rifugiati palestinesi”.

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ZENIT Staff

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