di Giovanni Patriarca
BERLINO, lunedì, 25 ottobre 2010 (ZENIT.org).- L’ultimo numero della pubblicazione ufficiale della provincia tedesca dei Gesuiti (Jesuiten, 2010/3) ha attratto l’attenzione non solo degli addetti ai lavori ma anche di una folta schiera di filosofi e sociologi, che si interrogano sui cambiamenti avvenuti nella mentalità collettiva negli ultimi 40 anni in Europa e nel mondo occidentale. Il titolo del volume non potrebbe essere, infatti, più chiaro: Jahre des Umbruchs, che letteralmente ed etimologicamente suona come “anni del cataclisma o dei cambiamenti radicali”.
Con contributi autobiografici, non privi di una severa autocritica, si parte dai fatti avvenuti nell’ambito della cosiddetta rivoluzione culturale del 1968 (questo numero appare ben evidente in copertina) per arrivare all’analisi degli stessi in chiave contemporanea. La ricerca, negli anni della ricostruzione post-bellica, di una risposta a tutte le esigenze sociali aveva spostato il baricentro della filosofia e teologia verso ambiti del tutto inesplorati.
Con le moderne tecniche socio-scientifiche la ragione critica (die kritische Vernunft) si era messa a capo di un processo di estrema individualizzazione che sarebbe andato a modificare il senso stesso della partecipazione politica. Senza alcun dubbio, quell’atmosfera di cambiamento arrivava anche negli ambienti religiosi in cui, per la prima volta, erano all’ordine del giorno argomenti considerati fino a pochi anni prima inimmaginabili in tali contesti.
L’opinione pubblica e gli studenti universitari avevano portato al centro della discussione temi quali la distruzione dell’ambiente, l’emancipazione femminile, l’educazione sessuale, la violenza domestica. Nella Germania, uscita dall’esperienza traumatica della dittatura, la libertà di espressione e di denuncia veniva vista come un passaggio obbligato per una veritiera transizione democratica e come un distanziarsi radicale dalla generazione precedente.
In un contributo ad opera di padre A. Lefrank, S.I., si legge testualmente che “la libertà dalle regole produceva soltanto uno spazio vuoto”. Questa, in effetti, non dava alcuna risposta alle domande essenziali. La collettività si perdeva, frastornata, in un’infinità di metodologie sociali, figlie dello sviluppo economico e tecnologico, senza domandarsi quali prospettive di senso offrissero e producendo come effetto principale lo smantellamento delle tradizionali autorità e una religiosità estremamente individualista.
Una riflessione a posteriori di quegli eventi e alla luce del Concilio Vaticano II porta, ad ogni modo, a vedere anche alcuni aspetti positivi specialmente all’interno stesso della Compagnia di Gesù, che ha saputo guardare di nuovo e con rinnovato spirito ai primi documenti e alle lettere di Sant’Ignazio di Loyola. Questo ritorno al carisma originario e allo studio approfondito delle fonti è stato, indubbiamente, un momento di particolare importanza nella storia secolare della congregazione.