Mons. Franceschini: "Venite in Turchia, a vedere ciò che non c'è"

L’arcivescovo racconta la difficile vita dei cristiani

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di Mariaelena Finessi

ROMA, domenica, 24 ottobre 2010, (ZENIT.org).- «La Turchia è il luogo d’incarnazione della fede cristiana». Monsignor Ruggero Franceschini, frate cappuccino, arcivescovo di Smirne e, «dall’assassinio a Iskenderun del carissimo vescovo Luigi Padovese», anche amministratore “sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis” del Vicariato apostolico di Anatolia, si rivolge ai fedeli che affollano la Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, riuniti il 21 ottobre per la veglia di preghiera missionaria presieduta dal Cardinale Vicario Agostino Vallini.

Invitato a dare testimonianza della sua particolare missione, monsignor Franceschini non nasconde le difficoltà che i cristiani vivono quotidianamente nell’esercizio della propria fede. Né fa mistero delle difficoltà che lui stesso incontra insieme «alla piccola comunità cattolica, respiro debole della Chiesa di Turchia», che sa stare «nel cuore di un Islam sordo ad ogni parola che non sia la sua, ma che pure non può chiudere gli occhi» su quanti buoni progetti i cristiani mettono in piedi per il bene di tutti, musulmani compresi.

«In Turchia – racconta l’arcivescovo, che lì vive da oltre 30 anni – siamo custodi di eredità antiche ma pastori di una realtà vivente, culla della prima Chiesa e del monachesimo. Ed Efeso, Smirne, Nicea, Tarso, Mileto e Calcedonia sono ben più di una indicazione geografica».

Alla mente ritornano le moltissime pagine bibliche, come le Lettere di San Paolo. «A che punto sarebbe la nostra comprensione della Chiesa – chiede monsignor Franceschini, 71 anni, originario di Saltino di Prignano sul Secchia (Modena) – senza la riflessione di quei teologi, nati o passati di qui, e che hanno reso adulto il pensiero cristiano?».

«Eppure lo sconforto è profondo se si guardano le cifre che raccontano come i cristiani oggi siano solo uno 0,15% dei 70 milioni di abitanti turchi, concentrati a Smirne e Istanbul. Uno sconforto che cresce nel vedere le chiese trasformate in musei o granai». In tutto tre circoscrizioni ecclesiastiche di rito latino: l’Arcidiocesi di Smirne e i due Vicariati apostolici di Istanbul e dell’Anatolia a cui vanno ad aggiungersi le comunità di rito orientale quali il Vicariato apostolico dei siri cattolici, e le Arcidiocesi di Diarbekir per i caldei e di Istanbul per gli armeni cattolici.

In totale sei vescovi, ognuno di rito diverso, «e con una lingua liturgica diversa, che dà sapore alle giornate». Soprattutto, ci sono i cripto-cristiani, «nascosti nell’est del Paese e che vengono allo scoperto solo arrivati nelle grandi città». «Cosa vi aspettavate invece stasera?», chiede il presule. «Vi aspettavate che vi parlassi del dialogo interreligioso? Quello lo facciamo da secoli attraverso iniziative pratiche».

Per dire, a Smirne c’è una piccola Caritas: «È la meta dei musulmani, principalmente, mentre l’orgoglio è comune perché le offerte vengono più da loro che dai cristiani» Il dialogo teologico, purtroppo, «credo sia impossibile da realizzare mentre sono altrettanto persuaso che il dialogo vero sia nella quotidianità della vita vissuta». In fondo, «prima di scontrarci su ciò che ci divide è auspicabile ritrovarsi su ciò che ci unisce, specie in merito alla dignità umana».

Intanto, l’invito è di «venire a vedere quello che non c’è, oratori che non ci sono, come non ci sono i seminari, le case di prima accoglienza, le mense per i poveri, le croci appese al collo o una serata come questa». «Venite a vedere i nostri ragazzi che non hanno luoghi di svago e formazione».

Ai missionari in partenza rivolge l’invito più toccante: «Venite a vedere ciò che resta della Chiesa primitiva, rovine che fanno da cornice alla comunità cristiana che vive nei luoghi cari a don Andrea Santoro e don Luigi Padovese, eppure è qui che la Chiesa incontra il mondo, lo assimila o lo rigetta».

Quanto alla possibilità che la Turchia entri in Europa, «lo auspichiamo – spiega Franceschini – ma è necessario che la frase contenuta nel Corano, “Nessuna costrizione nella religione”, venga realmente praticata». Troppi, infatti, i pregiudizi sui cristiani. «Cristiani preziosi perché pagano un prezzo alto».

Il pensiero corre alle vittime del fanatismo islamico: don Andrea Santoro, i quattro protestanti di Malatya e monsignor Luigi Padovese. «Io l’ho visto l’amico Luigi sul tavolo dell’obitorio, con la gola sgozzata. Non c’era poesia – racconta emozionato l’arcivescovo di Smirne -, solo un agghiacciante silenzio e un gran bisogno d’aggrapparmi a Colui che ha deciso di spezzarsi per noi».

Cos’altro dire? «Sono vescovo di tanta buona gente» ma, soprattutto, «un compagno» nel difficile e ugualmente gioioso percorso di vita e di fede. «Come viviamo?», conclude monsignor Franceschini, «rispettando gli altri, cristiani o musulmani, perché la vita va spesa e perduta per tutti».

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ZENIT Staff

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