Mons. Padovese e padre Piccirillo, due testimoni del dialogo

di Chiara Santomiero

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ROMA, sabato, 23 ottobre 2010 (ZENIT.org).- “Un uomo gentile e generoso, milanese di nascita ma turco per affetto”: è il ritratto di mons. Luigi Padovese tracciato da mons. Edmond Fahrat, nunzio emerito in Turchia, intervenendo al ricordo del vescovo di Iskerendum ucciso lo scorso 3 giugno, proposto nell’ambito della manifestazione “Sguardi sui cristiani del Medio Oriente” che si è chiusa venerdì presso la Sala Pio X di Roma.

L’iniziativa promossa dalla Custodia di Terra Santa e dalle Edizioni Terra Santa insieme all’ Azione cattolica italiana e al Fiac (Forum internazionale di Azione cattolica) e in collaborazione con Pax Christi Italia, Ucsi lazio e Cimi Iustitia et pax, ha seguito lo svolgimento dell’Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per il Medio oriente con una serie di approfondimenti giornalistici, dibattiti, presentazioni di libri riguardanti la regione mediorientale.

“Non un facile irenista – ha detto Fahrat a proposito di Padovese –: amava la pace ma era un uomo di scienza e cercava la verità. Era uomo benvoluto da tutti e rispettato da tutti”. Una domanda rimarrà sempre senza risposta: perché lo hanno ucciso? Ricordi colmi di ammirazione e affetto anche nelle parole di mons. Louis Pelatre, vicario apostolico di Istanbul, che ha lavorato con mons. Padovese nella Conferenza episcopale turca.

“Lo abbiamo conosciuto così vivo – ha aggiunto fra Paolo Martinelli, preside dell’Istituto francescano di spiritualità della Pontificia Università Antonianum – che ci  sembra incredibile che sia morto: una morte così non ha senso per un uomo così vivo”. E ancora “un uomo di dialogo e di comunione, ‘porta e non muro’, pastore di un piccolo gregge aperto all’amicizia delle genti”.

“E’ stato – e ha sempre predicato agli altri di essere- un ‘riparatore di chiese’, un costruttore di ponti. Un uomo che ha accettato consapevolmente il rischio che ‘gli fosse chiesto tutto’”. “Con la sua morte – ha sottolineato Martinelli – è stata riportata in primo piano la condizione dei cristiani in Medio Oriente che penano ogni giorno con la silenziosa complicità dell’Occidente”.

Un affettuoso ricordo è stato dedicato dalla rassegna “Sguardi sui cristiani del Medio Oriente” anche a padre Michele Piccirillo, con la presentazione del libro “Michele Piccirillo, francescano archeologo, tra scienza e provvidenza” curato, per le Edizioni Terra Santa, da Giovanni Claudio Bottini e Massimo Luca.

“Un libro che nasce da un atto d’amore verso quest’uomo straordinario – ha affermato lo stesso Bottini durante la presentazione – che ha fatto della Provvidenza e della scienza i binari della sua vita”. “In qualità di archeologo – ha affermato Bottini – Piccirillo ha contribuito a riscrivere sezioni della storia della Chiesa attraverso le informazioni raccolte dai mosaici da lui scoperti, individuando nomi di vescovi, preti, chiese e dimostrando come nei primi tre secoli del dominio musulmano in Terra Santa la comunità cristiana abbia prosperato”.

Ancora di più, “dell’archeologia Piccirillo ha fatto uno strumento di incontro tra persone di diverse religioni e di pace, un’idea che è sottolineata dai suoi scritti e dalle conferenze tenute in tutto il mondo”. Non bisogna dimenticare, infine, “il contributo di impegno speso dal francescano per venire incontro alle necessità concrete della popolazione locale”.

I progetti archeologici per la Terra Santa di padre Piccirillo hanno, infatti, anche l’obiettivo della valorizzazione culturale dei luoghi in funzione di sostegno all’economia della zona. Così il Centro mosaico di Gerico, ha spiegato Osama Hamdan, architetto restauratore e allievo di Piccirillo, “serve l’area palestinese sia nell’attività di restauro, sia nella produzione di mosaici: abbiamo cominciato con due persone nel 2002, ora ce ne sono 13. L’idea era quella di non formare semplicemente dei tecnici, dei dipendenti, ma gente capace di pensare, per investire non solo sulle pietre ma sulle persone. “Io penso che padre Michele – ha affermato Hamdan – non è morto ma continua a crescere attraverso le sue opere”.

“A Betlemme – ha raccontato Carla Benelli, storica dell’arte e altra collaboratrice di Piccirillo – , pochi giorni dopo la morte di padre Michele, abbiamo avviato con l’aiuto di un artigiano sardo un laboratorio sulla madreperla per i giovani. L’obiettivo è di far ripartire una produzione che dal 1600 ha prodotto a Betlemme capolavori ospitati oggi nei musei di tutto il mondo. Piccirillo ha dedicato 20 anni per rintracciare le opere e riunirle in una pubblicazione”.

Segni intitolati alla memoria di Piccirillo resteranno anche in Italia: “La Pontificia Università Antonium – ha annunciato Bottini – ha intenzione di dedicargli un atto accademico”. E’ prevista, inoltre, “la realizzazione di un archivio fotografico presso lo Studio biblico francescano e la fondazione della onlus ‘Tessere di pace’”.

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ZENIT Staff

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