Predicando con il pianoforte

Gli straordinari e singolari concerti di don Carlo José Seno

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di Renzo Allegri
 

ROMA, mercoledì, 20 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Venerdì, 22 ottobre, a Roma, presso la Sala della Conciliazione nel Palazzo Lateranense, alla presenza del Cardinale Vicario di Roma, Agostino Vallini, si tiene la solenne cerimonia di apertura della causa di beatificazione del servo di Dio François-Xavier Nguyên Van Thuân, cardinale vietnamita, morto il 16 settembre 2002 dopo una lunga malattia. Aveva 74 anni.

Una figura eccelsa. Grande testimone della fede del nostro tempo. Proveniva da una famiglia i cui membri avevano subito molte persecuzioni per la propria fede. E anche lui, nel 1975, due mesi dopo essere stato consacrato vescovo, fu arrestato dalla autorità comuniste, incarcerato e senza alcun giudizio né sentenza, trascorse 13 anni in carcere nove dei quali in isolamento.

E’ l’uomo della speranza e dall’amore. Non perse mai il suo ottimismo cristiano e non ebbe mai neppure una parola di risentimento contro i suoi aguzzini. Esempio eccelso, ammirato da tutti. La Chiesa di Roma, dove, dopo la liberazione dal carcere, trascorse gli ultimi dieci anni della sua vita, donando a tutti un altissimo esempio di santità, e dove ebbe incarichi importanti, vogliono che questa giornata dell’inizio della causa della sua beatificazione sia celebrata con particolare solennità.

Il programma prevede varie manifestazioni, che si concluderanno, con un concerto-testimonianza, ispirato alla vita di questo martire per la fede, dal titolo “Testimone della speranza”. Spettacolo singolare, ideato da un prete lombardo, don Carlo Seno, che prima di diventare sacerdote, era un celebre pianista.

“Per seguire la mia vocazione ero disposto a tutto, anche a sacrificare la musica”, dice don Carlo. “Ma il cardinale Martini, che era arcivescovo di Milano, quando venni ordinato prete, mi suggerì di non abbandonare la mia passione per il pianoforte. Così, a poco a poco, nacque una nuova forma di apostolato, attraverso concerti-spettacolo su temi spirituali o liturgici. La musica aiuta a capire e a creare quell’atmosfera di emotività che raggiunge il cuore”.

Cinquant’anni, alto, slanciato, sorridente, entusiasta sempre, incorreggibile ottimista con una comunicativa irresistibile, tipica degli artisti, don Carlo è una di quelle persone che quando si incontrano non si possono più dimenticare. I suoi “concerti-testimonianza” sono ormai famosi. Il pubblico accorre sempre numeroso. Ed è costituito soprattutto da giovani.

Il concerto-testimonianza ispirato al cardinale vietnamita lo ha già ripetuto 72 volte in giro per l’Italia. Un altro di questi concerti che ha avuto e continua ad avere grande successo, si intitola “Chiara è la notte”, e si sviluppa intorno alla vicenda umana di Chiara Luce Badano, ragazza ligure morta a 18 anni per tumore e beatificata il 25 settembre scorso. “A gonfie vele”, è il concerto che parla dello Spirito Santo; “A Cielo aperto”, è incentrato su Dio Padre; “Sognando Sinfonia”, sulla Chiesa: “Su ali d’Aquila”, sulla Riconciliazione; “Nella tua luce”, sui misteri luminosi del Rosario; “Il grido di Dio e dell’uomo”, sul tempo quaresimale, eccetera.

“Lo scopo della mia vita di sacerdote è diffondere la parola di Dio”, dice don Carlo. “Lo faccio prima di tutto nel modo tradizionale, con la mia vita e la mia attività pastorale, e poi anche utilizzando l’amore per la musica che Dio ha messo nel mio cuore”.

Da giovane, don Carlo era un “enfant prodige” del pianoforte. Diplomato al Conservatorio di Milano, con perfezionamento al Conservatorio nazionale superiore di musica di Parigi, era l’astro nascente del concertismo internazionale, il pupillo di mitici concertisti quali Vladimir Horowitz e Georges Cziffra. Produttori e Case discografiche se lo contendevano perché vedevano in lui una vera star del futuro. Ma poi, improvvisa e inattesa arrivò la sorprendente svolta. Una storia la sua bellissima ed enigmatica insieme, come quelle che racconta nei suoi concerti-testimonianza.

Figlio di un veneziano e di una peruviana, nacque con la musica nel sangue. Suo padre era un pianista e trasmise a tutti i suoi cinque figli la propria passione. In particolare, però, a Carlo José che fin all’infanzia dimostrò di avere doti eccezionali. Infatti, iniziò lo studio del piano a cinque anni.

“Studiavo con passione”, ricorda. “Per anni le mie giornate scivolarono via veloci, tra gli impegni musicali e quelli degli studi classici. Non avevo tempo per coltivare amicizie, per giocare con i coetanei, per condurre un’esistenza normale. Ma ero felice. La musica era tutto per me”.

Si diplomò al Conservatorio di Milano nella classe di Alberto Mozzati ma già prima del diploma era un concertista affermato. Vinse concorsi, premi, e andò a perfezionarsi a Parigi, dove insegnava una delle più prestigiose didatte del nostro tempo: madame Germaine Mounier.

“Rimasi a Parigi tre anni”, racconta. “Furono anni bellissimi. Madame Mounier mi suggerì di andare ad alloggiare in un residence per giovani musicisti, alla periferia della capitale francese. Un luogo stupendo. Eravamo in cento, fra ragazzi e ragazze, tutti tra i diciotto e i venticinque anni. Cinquanta francesi, gli altri provenivano da ogni parte del mondo. Io ero l’unico italiano. Ognuno di noi aveva un appartamentino elegante, indipendente. In quell’ambiente internazionale, feci delle amicizie stupende e il mio mondo di relazioni divenne finalmente più grande”.

“Fin da ragazzo, quando pensavo al mio futuro, sognavo di sposarmi per formare una famiglia unita, felice, simile a quella in cui ero nato. Negli anni in cui vissi a Parigi, avevo l’età giusta per mettere su casa e desideravo sposarmi. Perciò, fra le ragazze che frequentavo, cercavo di individuare quella adatta. Ma accadeva sempre un fatto misterioso e inspiegabile. Quando mi affezionavo a una ragazza, tutto funzionava a meraviglia. Appena, però, cercavo di dare una certa serietà alla relazione per pensare al matrimonio, accadeva sempre qualcosa che rovinava tutto e capivo che quella ragazza non era adatta a me. Dopo una, due, tre esperienze di questo genere, cominciai a preoccuparmi. Fu allora che, dentro di me, cominciò a farsi sentire una voce. Era lontanissima, debolissima, ma insistente: ‘E se il Signore volesse che tu lo seguissi diventando sacerdote?’, mi chiedevo”.

“All’inizio, quella prospettiva mi spaventò. Ero credente, cattolico, desideravo servire Dio in qualsiasi posto, facendo qualsiasi professione, ma non quella del prete, perché non la sentivo assolutamente come una strada fatta per me. Durante l’ultimo anno della mia permanenza a Parigi, conobbi una ragazza stupenda, intelligente, ottima pianista. Sembrava fatta apposta per me. ‘Questa è la donna giusta’, mi dissi. Stavamo benissimo insieme. Vedevo già il mio futuro accanto a lei”.

“Ma poi, dopo alcuni mesi di perfetto accordo, quando appunto cominciai a pensare al matrimonio, come sempre si verificarono quelle strane incomprensioni, che rovinarono ancora una volta tutto. Per un po’ di tempo cercai di nascondere a me stesso quella triste verità sforzandomi di portare avanti un rapporto che non stava in piedi. Alla fine, dovetti arrendermi. E allora la voce misteriosa che mi chiamava verso un’altra meta si fece molto più forte e nitida”.

“Tornai in Italia preoccupato. Ancora una volta mi rivolsi a Dio e lo pregai con tutto me stesso di illuminarmi. ‘Ora mi preparo per un concorso pianistico importante’, dissi nella mia preghiera a Dio. ‘Deve essere quello che darà una svolta definitiva alla mia vita. Dammi un segno per farmi capire quale deve essere la mia strada’”.

“Mi preparai a quel concorso con grande impegno. Mi sentivo forte e sicuro come non lo ero mai stato, neanche quando avevo vinto altri concorsi più impegnativi e prestigiosi. Invece, fui eliminato alla prima prova. ‘Questa è la risposta che ho chiesto a Dio’, mi dissi. Ormai era tutto chiaro.
Dio mi chiamava, voleva che gli dedicassi la vita”.

“Passai lunghi mesi riflettendo e soffrendo. Mi consigliai con dei sacerdoti, pregai molto. Alla fine, decisi: avrei rinunciato a tutto, alla carriera, alla famiglia, alla musica, per dedicarmi solo a Dio. Feci il mio ultimo concerto, poi entrai in seminario. Il 26 giugno del 1990 fui ordinato sacerdote”.

Gli chiedo: “Come nacquero i suoi concerti-testimonianza, divenuti ormai famosi?”. “Come ho detto”, risponde don Carlo “fu il cardinale Martini a dirmi di non abbandonare la musica. Ma anche il rettore del Seminario, don Luigi Serenthà, quando mi accolse, mi fece la stessa raccomandazione. ‘Sono felice che tu entri in seminario; però, devi portare il pianoforte’, disse. ‘Dio ti ha dato il dono di capire la musica e le qualità per interpretarla: non devi trascurare i doni di Dio’”.

“In seminario continuai ad esercitarmi. Da sacerdote, all’inizio, cominciai con concerti normali tenuti nelle parrocchie per attrarre i giovani. Poi, decisi di servirmi della musica a commento di un tema che trattavo anche con una esposizione verbale e in genere riguardava la mia esperienza di incontro con Dio. Poi i miei concerti diventarono tematici, sviluppavano temi liturgici che la Chiesa stava vivendo in quel periodo, la Pasqua, il Natale, lo Spirito Santo eccetera”.

“E via via ho perfezionato questa idea, fino ad arrivare ai concerti attuali, che sono specie di ‘catechesi artistiche’ dove musica, recitazione, letteratura, a volte anche immagini si fondono e concorrono a creare quell’incontro che lega insieme palcoscenico e platea in un unico anelito, quello della preghiera, della riflessione, della meditazione su fatti, avvenimenti, concetti”.

“Con me collaborano anche altre persone. Ci sono due sacerdoti, che provengono da altre esperienze artistiche, don Paolo Zago e don Natale Monza, e poi ragazzi, ragazze, insomma abbiamo allargato il nostro modo di realizzare queste serate-testimonianza per una riflessione comunitaria. Alcuni di questi concerti sono stati raccolti in CD e in questo modo la ‘Testimonianza’ viene diffusa anche dove io con i miei amici non possiamo arrivare”.

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ZENIT Staff

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