Relatio post disceptationem del Sinodo per il Medio Oriente

Nell’undicesima Congregazione generale

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CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 18 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Nell’undicesima Congregazione generale del Sinodo per il Medio Oriente, questo lunedì mattina, è stata data lettura della Relatio post disceptationem (Relazione dopo la discussione). Il Relatore Generale, S.B. Antonios Naguib, Patriarca di Alessandria dei Copti (Repubblica Araba di Egitto), è intervenuto per la lettura del testo, continuata dopo l’intervallo dal Segretario Speciale, monsignor Joseph Soueif, Arcivescovo di Cipro dei Maroniti. Riportiamo di seguito il testo della Relatio post disceptationem.

* * *

Santo Padre,
Eminenze, Beatitudini, Eccellenze,
Delegati Fraterni delle Chiese Sorelle
e delle Comunità Ecclesiali
Cari Sorelle e Fratelli, Uditori e Assistenti, Invitati ed Esperti

INTRODUZIONE

“Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (At 1,8). Il giorno di Pentecoste gli Apostoli ricevettero lo Spirito Santo promesso e obbedirono alla missione che Cristo aveva loro affidato. Andarono per il mondo a predicare Cristo e il Vangelo, e ad essere suoi testimoni fino alla testimonianza suprema: il martirio. Un’Assemblea Sinodale è un rinnovamento e un prolungamento della Pentecoste. Lo Spirito Santo è anche oggi all’opera, con noi e in noi, come lo sarà sempre con la sua Chiesa. Per una felice e provvidenziale circostanza, l’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi ha iniziato i suoi lavori l’11 ottobre 2010, 48° anniversario dell’inaugurazione del Concilio Ecumenico Vaticano II (11.10.1962) da parte del Beato Papa Giovanni XXIII, che festeggiamo nello stesso giorno. Quest’anno ricorre anche il 45° anniversario della costituzione del Sinodo dei Vescovi ad opera di Papa Paolo VI, il 15 settembre 1965.
In questo Sinodo dedicato alla “Comunione e alla testimonianza”, eccoci, Cardinali, Patriarchi, Vescovi, Religiosi e Religiose, Laici, Fratelli e Sorelle invitati, riuniti attorno al Santo Padre e guidati dallo Spirito Santo, in una “Comunione”, non teorica, ma visibile e concreta.
Rinnoviamo la nostra gratitudine al Santo Padre Benedetto XVI che ha voluto prendere l’iniziativa di convocarci a questa Assemblea storica, di cui sperimentiamo il clima fraterno, caloroso e ottimista, che ci fa sperare in molti frutti benefici per il futuro delle nostre Chiese e della loro missione. Vorremmo che questo Sinodo potesse valere per tutte le Chiese, in Oriente e in Occidente, portandole tutte a vivere una comunione concreta. Ringraziamo anche la Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi per i lavori di preparazione e di accompagnamento.
Questo Sinodo è dedicato essenzialmente alle Chiese in Medio Oriente, come indica il suo titolo. Ma il Santo Padre ha voluto unire ad esse anche le Chiese dell’Africa Nord Orientale, che sono in stretto rapporto con le nostre Chiese. Come ha voluto farvi partecipare i Capi dei Dicasteri della Santa Sede, i rappresentanti delle nostre Chiese nella diaspora, dell’Unione dei Superiore Generali e delle Conferenze Episcopali Cattoliche, come pure gli Assistenti del Segretario Speciale, Uditori e Uditrici, Delegati Fraterni delle Chiese Sorelle e delle Comunità Ecclesiali, e gli invitati speciali in rappresentanza dell’Islam e dell’Ebraismo. Questo conferisce al Sinodo un aspetto di comunione ecclesiale più perfetta, di partecipazione universale e di incontro ecumenico e interreligioso.

A. Obiettivo del Sinodo

“Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 2,7). Mi sembra utile ricordare nuovamente il duplice obiettivo del Sinodo:

1) Confermare e rafforzare i cristiani nella loro identità, grazie alla Parola di Dio e ai Sacramenti.

2) Rinnovare la comunione ecclesiale fra le Chiese sui iuris, affinché possano offrire una testimonianza di vita autentica ed efficace. Nel contesto in cui viviamo, la dimensione ecumenica, il dialogo interreligioso e l’aspetto missionario sono parte integrante di questa testimonianza.

Vogliamo offrire ai cristiani dei nostri Paesi le ragioni della loro presenza, per confermarli nella loro missione di essere e di rimanere testimoni autentici di Cristo Risorto, in ciascuno dei loro Paesi, come icona visibile di Cristo, incarnazione viva della sua Chiesa e canale attuale dell’azione dello Spirito Santo.

B. Riflessione alla luce della Parola di Dio

I Padri Sinodali hanno illustrato bene questo punto. La nostra regione rimane fedele alla parola di Dio rivelata, scritta da uomini delle nostre terre sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. Gli uomini e le pietre delle nostre terre hanno incarnato la storia dell’amore di Dio per l’umanità e vi sono diventati un messaggio d’amore per ogni uomo. La Parola di Dio rimarrà sempre la fonte d’ispirazione della nostra comunione, della nostra fedeltà, del nostro amore, della nostra missionarietà e della nostra testimonianza. Dobbiamo diventare persone bibliche, vivificate dallo spirito del Vangelo che le trasforma in Vangeli viventi, gettati come semente e lievito nel nostro contesto, per coltivarvi la cultura del Vangelo, invece che sia la società a modellarci secondo la sua cultura materialista, egoista e relativista. La Parola di Dio rimane la sorgente spirituale e il tesoro teologico delle nostre liturgie vive.
È stato ricordato che i nostri fedeli hanno una grande sete della Parola di Dio e non trovandola da noi, vanno spesso a dissetarsi altrove. È per questo che abbiamo bisogno di molte persone specializzate in Sacra Scrittura, sicure accademicamente, ma soprattutto pastoralmente e spiritualmente. I presbiteri hanno come primo dovere quello di proclamare la Parola di Dio. Hanno un carisma speciale per l’interpretazione della Sacra Scrittura quando, comunicando non le loro idee personali, ma la Parola di Dio, applicano la perenne verità del Vangelo alle circostanze concrete della vita (cfr. Presbyterorum Ordinis 4). Aiutino dunque i fedeli a vedere in Gesù Cristo il compimento di tutte le Scritture e a sottomettere i fatti della propria storia alla luce della Parola (cfr. Sal 118, 105).
Bisogna precisare il concetto di “rivelazione”, molto ambiguo a causa della diversa concezione dall’Islam. Per noi, la rivelazione è l’intervento salvifico di Dio nella storia dell’uomo, attraverso avvenimenti storici sperimentati come gesti di amore gratuito di Dio verso i suoi fedeli. Essa è il dialogo fra Dio e l’uomo nella storia. L’annuncio orale di questi interventi fa parte di questa “rivelazione”, poiché trasmette la fede di generazione in generazione. La Sacra Scrittura è una sintesi della rivelazione, ma rimane “lettera morta” per il lettore, se questi non la riceve come “trasmissione di fede” della sua Chiesa e della sua comunità cristiana. L’annuncio, l’ascolto, la lettura o la meditazione della Bibbia sono incontro con la persona stessa di Cristo. Per questo si è insistito sul posto privilegiato della liturgia e delle celebrazioni della Parola in piccoli gruppi sull’esempio delle prime comunità cristiane, per una comprensione esistenziale della Parola di Dio. Poiché è celebrando questa Parola che essa diventa viva ed efficace nella vita di quanti l’ascoltano, la meditano, la celebrano e trovano il proprio cammino alla luce di essa.
Abbiamo bisogno che la Parola di Dio sia il fondamento di qualsiasi educazione e formazione nelle nostre famiglie, nelle nostre Chiese e nelle nostre scuole, soprattutto nella nostra condizione di minoranze in società a maggioranza non cristiana, dove predominano la cultura e i valori di questa maggioranza, che invadono tutti i campi della vita pubblica e rischiano di impadronirsi del nostro pensiero e dei nostri comportamenti. Abbiamo bisogno che la Parola di Dio evangelizzi la nostra vita, affinché la nostra vita evangelizzi la nostra società.

I. LA PRESENZA CRISTIANA IN MEDIO ORIENTE

A. SITUAZIONE DEI CRISTIANI IN MEDIO ORIENT
E

1. Breve excursus storico: unità nella molteplicità

È dall’Oriente che la luce di Cristo è arrivata. E Cristo rimane sempre il vero Sole invincibile che non conosce eclisse. Il volto di Cristo brilla come il sole (Mt 17,2) e illumina tutta la storia dell’umanità.
La Chiesa di Gerusalemme, nata il giorno di Pentecoste, è stata l’origine di tutte le Chiese particolari. Da Gerusalemme, dall’Oriente, sono nate le nostre Chiese e tutte le Chiese di Cristo. Il cristianesimo ha le sue radici in Oriente, vi è cresciuto e da lì si è diffuso in Occidente fino agli estremi confini della terra. La conversione di san Paolo è avvenuta a Damasco, da dove è partito per l’Arabia ed è divenuto “l’Apostolo delle genti”.
Le Chiese si sono moltiplicate, ma erano unite dalla Parola di Dio, dai Sacramenti e dall’insegnamento degli Apostoli. L’unità è una componente essenziale del cristiano e della Chiesa di Cristo: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola” (At 4,32).
Purtroppo, a seguito dei conflitti nel corso della sua storia la Chiesa ha subito varie divisioni. Si rende necessario un profondo studio della storia e della teologia per comprendere meglio quei tragici avvenimenti e promuovere così il dialogo ecumenico.

2. Comunità apostoliche in una terra apostolica

“Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15). Sono queste le parole di Gesù nel momento di lasciare i suoi discepoli. Gesù prende l’iniziativa di dare fiducia ai suoi apostoli che non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto: “Andate! Proclamate!” Gesù ha comandato agli apostoli non solo di annunciare il Vangelo ma di annunciarlo al mondo intero. Questa è la missione della Chiesa. Essere cristiano vuol dire essere missionario. Non si è cristiani se non si è missionari. L’annuncio è un dovere della Chiesa e del cristiano. L’annuncio rispettoso e pacifico non è affatto proselitismo.
Gli Apostoli e la Chiesa nascente nelle nostre terre sono stati fedeli a questo comandamento del Maestro portando la fede in Gesù Cristo fino agli estremi confini della terra, spesso a prezzo del martirio. Il loro sangue è stato seme di numerose Chiese. Le prime Chiese sono il frutto della morte e della risurrezione di Cristo. Le nostre Chiese sono state l’avamposto delle missioni. Per le loro radici e le loro storie missionarie, le nostre Chiese sono aperte all’oikoumene, all’universalità, in quanto piattaforme dove s’incontrano l’Oriente e l’Occidente.
Anche a noi Gesù chiede oggi di continuare l’azione degli Apostoli e delle nostre Chiese d’origine. Gesù non cessa di inviare la sua Chiesa, di inviarci: “Andate in tutto il mondo”. Siamo dunque inviati in missione nel mondo della nostra scuola, del nostro villaggio, del nostro lavoro, del nostro Paese, e di tutta la terra. Gesù non ci chiede di provare, di convincere, ci chiede semplicemente di testimoniare con gioia e forza la nostra fede.
La Chiesa è dunque, per sua natura, essenzialmente missionaria (Ad gentes, 20). L’annuncio del Vangelo e l’annuncio di Cristo a tutti i popoli è un dovere supremo delle nostre Chiese e di tutte le Chiese. Le nostre Chiese hanno bisogno di una conversione missionaria per vivificare in noi il senso, l’ardore, lo slancio e il dinamismo missionario. L’azione missionaria deve ritrovare il proprio posto nella vita delle nostre Chiese Orientali. Dobbiamo ritrovarvi l’impegno rinnovato all’evangelizzazione, sia all’interno dei nostri Paesi, sia all’esterno: “Guai a me se non predicassi il vangelo” (1Cor 9,16). La “missione” e “l’annuncio” devono trovare il loro posto nelle nostre Chiese, in base alle possibilità concrete in ogni Paese.
E per questo, la formazione missionaria dei nostri fedeli, e soprattutto dei nostri responsabili della vita della Chiesa, è indispensabile. A maggior ragione, la missionarietà deve essere strettamente legata alla vocazione e al ministero del sacerdote. È auspicabile stabilire nella regione almeno un Istituto di formazione missionaria. Dobbiamo soprattutto sostenere la missione e i missionari con la preghiera.

3. Ruolo dei cristiani nella società, nonostante il loro numero esiguo

I cristiani del Medio Oriente sono “cittadini indigeni”. Appartengono di pieno diritto al tessuto sociale e all’identità stessa dei loro rispettivi Paesi. Bisogna rafforzare questa convinzione nell’animo dei pastori e dei fedeli, per aiutarli a vivere con serenità, forza e impegno nella loro patria.
I Padri Sinodali hanno molto parlato delle condizioni che favoriscono la vita dei cristiani nei nostri paesi. Il contesto socio-politico è un fattore importante in questo campo. La laicità positiva è stata evocata come fattore favorevole. Ma il termine stesso non è ben accetto nei nostri contesti. È sospetto di ateismo o quanto meno di laicismo che si discosta dalla dimensione religiosa e dall’apertura a Dio e all’assoluto. Ad esso, si preferisce il termine di “stato civico”. Gli emigrati dovranno dunque confrontarsi con il termine “laicità”. Il termine “cittadinanza” è anch’esso problematico, visto che in Oriente se ne ha una concezione più ristretta che in Occidente. Lo stato civico indica un sistema socio-politico basato sul rispetto dell’uomo e della sua libertà, sui diritti che gli sono inerenti per la sua natura umana, sull’uguaglianza e sulla cittadinanza completa, nonché sul riconoscimento del ruolo della religione stessa nella vita pubblica e sui valori morali. Questo sistema riconosce e garantisce la libertà religiosa, libertà di culto come pure libertà di coscienza. Distingue fra ordine civile e ordine religioso, senza predominio dell’uno sull’altro, e nel rispetto dell’autonomia di ciascuno. La religione non deve essere politicizzata né lo Stato prevalere sulla religione. È richiesta una presenza di qualità perché possa avere un impatto reale ed efficace sulla società. Questo richiede una solida formazione dei pastori, come pure dei fedeli, dottrinale, spirituale e sociale, soprattutto dei giovani. Le nostre Chiese devono risvegliare l’audacia dell’impegno dei fedeli ad una presenza visibile e incisiva nella vita pubblica, nell’amministrazione, nella funzione pubblica, nei partiti democratici pluriconfessionali, rendendosi “indispensabili” grazie alla qualità, all’efficacia e alla capacità di servire onestamente il bene comune. Ciò che conta non è il numero di persone nella Chiesa, ma che queste vivano la loro fede e possano effettivamente trasmettere un messaggio. Qui la famiglia ha un ruolo essenziale nell’educazione dei figli in questo spirito e in questa prospettiva.
È importante anche formare le menti alla “cittadinanza”, affinché questa penetri nelle mentalità e nello stile di vita. I moderni media (sms, website, internet, televisione, radio) hanno un ruolo importante in questo campo. Essi offrono uno strumento potente e prezioso per diffondere il messaggio cristiano, affrontare le sfide che si oppongono a questo messaggio e comunicare con i fedeli della diaspora. A tale scopo bisogna formare dei quadri specializzati. I cristiani orientali devono impegnarsi per il bene comune, in tutti i suoi aspetti, come hanno sempre fatto.
Attraverso la presentazione della Dottrina sociale della Chiesa, la cui assenza è stata notata, le nostre comunità offrono un valido contributo alla costruzione della società. La promozione della famiglia e la difesa della vita dovrebbero occupare un posto principale nell’insegnamento e nella missione delle nostre Chiese. L’educazione è un campo privilegiato della nostra azione e un investimento enorme. Nella misura del possibile, le nostre scuole potrebbero aiutare maggiormente i più bisognosi. Malgrado molti sacrifici, esse costituiscono un po’ il centro della nostra presenza nella città, in quanto luoghi privilegiati, spesso gli unici, per una coesistenza positiva e costruttiva, ecumenica e interreligiosa. Esse prom
uovono e rafforzano come valori evangelici e umani gli stessi diritti umani, la non violenza, il dialogo, l’apertura, l’armonia e la pace. In alcuni Paesi esse sono l’unico luogo di formazione cristiana. Devono essere mantenute ad ogni costo. Ringraziamo tutti coloro che ci aiutano a riuscirvi. Con le loro attività sociali, sanitarie e caritative, accessibili a tutti i membri della società, le nostre Chiese collaborano visibilmente al bene comune.
Per assicurare la sua credibilità evangelica, la Chiesa deve trovare i modi per garantire la trasparenza nella gestione del denaro, distinguendo chiaramente ciò che le appartiene da ciò che appartiene al personale della Chiesa. In vista di questo, sono necessarie strutture adeguate.

B. LE SFIDE CHE I CRISTIANI DEVONO AFFRONTARE

1. I conflitti politici nella regione

Le situazioni politico-sociali dei nostri Paesi hanno una ripercussione diretta sui cristiani, che risentono più fortemente delle conseguenze negative. Pur condannando la violenza da dovunque provenga, e invocando una soluzione giusta e durevole del conflitto israelo-palestinese, esprimiamo la nostra solidarietà con il popolo palestinese, la cui situazione attuale favorisce il fondamentalismo. Chiediamo alla politica mondiale di tener sufficientemente conto della drammatica situazione dei cristiani in Iraq, che sono la vittima principale della guerra e delle sue conseguenze.
In base alle possibilità presenti in ogni Paese, i cristiani devono favorire la democrazia, la giustizia e la pace, e la laicità positiva nella distinzione fra religione e Stato e il rispetto di ogni religione. Un atteggiamento di impegno positivo nella società è la risposta costruttiva sia per la società sia per la Chiesa.
Le Chiese in Occidente sono pregate di non schierarsi per gli uni dimenticando il punto di vista e le condizioni degli altri.

2. Libertà di religione e libertà di coscienza

I diritti umani sono la base che garantisce il bene della persona umana integrale, criterio di ogni sistema politico. La libertà religiosa è una componente essenziale dei diritti dell’uomo. La mancanza di libertà religiosa è quasi sempre associata alla privazione dei diritti fondamentali. La libertà di culto, che è un aspetto della libertà religiosa, nella maggior parte dei nostri Paesi, è garantita dalle costituzioni. Ma anche qui, in alcuni Paesi, certe leggi o pratiche ne limitano l’applicazione.
L’altro aspetto della libertà religiosa è la libertà di coscienza, basata sulla libera scelta della persona. La libertà di coscienza è affermata nella “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” (10.12.1948, art. 18) e ratificata dalla maggior parte degli Stati della nostra regione. La libertà religiosa non è un relativismo che considera uguali tutti le fedi religiose. Essa è la conseguenza del dovere che ciascuno ha di aderire alla verità, in base ad una convinta scelta di coscienza e nel rispetto della dignità di ogni persona. Con tutte le persone di buona volontà, la Chiesa si sforza di promuovere il pluralismo nell’uguaglianza. L’educazione in questo senso è un apporto prezioso al progresso culturale del Paese per una maggiore giustizia e uguaglianza davanti al diritto.La libertà religiosa comporta anche il diritto all’annuncio della propria fede, che è un diritto e un dovere di ogni religione. L’annuncio pacifico è molto diverso dal “proselitismo” che la Chiesa condanna fermamente in tutte le sue forme. Secondo Wikipedia, “il termine proselitismo viene dal termine proselita, dal latino ecclesiastico ‘proselytus’, dal greco προσήλυτος ‘nuovo venuto (in un paese)’. Nel Nuovo Testamento, questo termine è utilizzato correntemente per indicare una persona venuta dal paganesimo, che si riavvicina al monoteismo ebraico poi cristiano (Mt 23,15; Gv 12,20; At 2,10; ecc.). Il proselitismo dunque indica l’atteggiamento di coloro che cercano di suscitare proseliti, nuovi aderenti alla loro fede. Per estensione, esso indica lo zelo messo in campo per far aderire delle persone ad una dottrina. Il termine oggi ha una connotazione negativa nella sua utilizzazione quando si riferisce alle attività religiose o politiche”. Bisogna osservare che questo significato si applica a quelle attività quando utilizzano mezzi disonesti o fraudolenti, o abusano della propria autorità, ricchezza o potere per attirare nuovi adepti. L’annuncio che la Chiesa reclama è al contrario la proclamazione e la presentazione serena e pacifica della fede in Gesù Cristo.

3. I cristiani e l’evoluzione dell’Islam contemporaneo

A partire dagli anni settanta, constatiamo nella regione l’avanzata dell’Islam politico, che comprende diverse correnti religiose. Esso colpisce la situazione dei cristiani, soprattutto nel mondo arabo. Vuole imporre un modello di vita islamico a tutti i cittadini, a volte con la violenza. Costituisce dunque una minaccia per tutti, e noi dobbiamo, insieme, affrontare queste correnti estremiste.

4. L’emigrazione

L’emigrazione è una delle grandi sfide che minacciano la presenza dei cristiani in alcuni Paesi del Medio Oriente. Tale questione che è una preoccupazione comune a tutte le Chiese, dovrebbe essere presa in considerazione dentro una concertazione ecumenica. Le cause principali di questo preoccupante fenomeno sono le situazioni economiche e politiche, l’avanzata del fondamentalismo e la restrizione delle libertà e dell’uguaglianza, fortemente aggravate dal conflitto israelo-palestinese e dalla guerra in Iraq. I giovani, le persone istruite e le persone agiate sono i più numerosi ad andare via, privando la Chiesa e il Paese delle risorse più valide. L’emigrazione è diventata un fenomeno generale che tocca cristiani e musulmani. Essa priva le nostre Chiese e i nostri Paesi di elementi validi e moderati. Potrebbe costituire un soggetto di dialogo sincero e franco con i musulmani sulle ragioni che spingono ad andare via, soprattutto per i cristiani.
L’emigrazione è un diritto naturale lasciato alla libera scelta delle persone e delle famiglie, soprattutto per coloro che si trovano in condizioni difficili. Ma la Chiesa ha il dovere d’incoraggiare i suoi fedeli a rimanere come testimoni, apostoli, e costruttori di pace e di benessere nel loro Paese. I Pastori dovrebbero rendere i loro fedeli più consapevoli della loro vocazione, della loro missione e del loro ruolo storico nel loro Paese in quanto portatori del messaggio di Cristo del loro Paese, pur nelle difficoltà e persecuzioni. La loro mancanza inciderebbe gravemente sul futuro. È ad una fede profonda che i cristiani attingeranno le ragioni per vivere coraggiosamente e gioiosamente il loro cristianesimo nel loro Paese. È importante evitare qualsiasi discorso disfattista o di incoraggiare l’emigrazione quale opzione preferenziale.
D’altra parte bisogna promuovere le condizioni che favoriscono la scelta di rimanere. Spetta ai responsabili politici consolidare la pace, la democrazia e lo sviluppo per favorire un clima di stabilità e di fiducia. I cristiani, con tutte le persone di buona volontà, sono chiamati a impegnarsi positivamente nella realizzazione di questo obiettivo. Una maggiore sensibilizzazione delle Istanze internazionali al dovere di contribuire allo sviluppo dei nostri Paesi sarebbe di grande aiuto in questo senso.
Numerosi interventi hanno evidenziato le relazioni molto positive fra le Comunità Cattoliche Orientali nella diaspora e la Chiesa latina locale del Paese di accoglienza. Così, negli Stati Uniti, in Oceania, Australia e in molti Paesi d’Europa. I Cristiani che arrivano dal Medio Oriente bussano alla porta del cuore dei loro fratelli e sorelle in Occidente e ne risvegliano la coscienza cristiana. Le nostre Chiese sono molto riconoscenti alle Chiese dei Paesi di accoglienza per l’aiuto prezioso che danno ai nostri fedeli emigrati. I Padri Sinodali hanno richiamato l’attenzione sulla necessità e importanza di far conoscere ai cristiani d’Europa le cause che fanno sì che migliaia e milion
i di cristiani lascino il Medio Oriente. Si potrebbe nominare un Vicario Patriarcale orientale per il coordinamento della pastorale per i fedeli della sua Chiesa nella diaspora.
Le Chiese d’accoglienza dovrebbero aiutare gli emigrati ad avere le proprie strutture: parrocchie, scuole, centri di incontro e altre. Questo richiede strutture di accoglienza, d’inquadramento sociale e culturale, e di accompagnamento. La maggior parte delle Diocesi di accoglienza hanno una pastorale adeguata per gli emigrati, con una sezione speciale per le comunità orientali. Con gratitudine apprezziamo molto questa lodevole sollecitudine e questa attenzione solidale. I cristiani d’Occidente esprimeranno efficacemente il loro sostegno ai cristiani del Medio Oriente, venendo in aiuto dei loro fratelli d’Oriente e sostenendoli.
Le Chiese di accoglienza, nelle loro norme e pratiche sacramentali e amministrative, sono anche invitate a conoscere e a rispettare la teologia, le tradizioni e i patrimoni orientali. Uno dei ruoli delle Chiese d’accoglienza è anche quello di accompagnare gli emigrati, gravati dal doloroso ricordo di atti umilianti ed offensivi, in un’iniziativa di perdono. Queste Chiese opereranno perché i loro Paesi prendano misure adeguate per garantire il rispetto, la dignità e i diritti della persona umana e della famiglia. Questa deve poter restare unita e trovare il necessario per una vita dignitosa e gradita a Dio.
Le Chiese in Nord Africa auspicano la collaborazione con le Chiese in Medio Oriente e la presenza di sacerdoti arabi per incrementare il dialogo con i musulmani. La Chiesa cattolica latina del Maghreb vive in un contesto plurale ed ecumenico soddisfacente. Le Chiese latine del Golfo hanno spiegato la particolare e complessa situazione in cui si trovano e che le porta ad adottare delle strutture e uno stile pastorale che appaiono restrittivi. Esse affermano di fare il massimo per rispondere ai bisogni immensi degli emigrati, nei limiti di possibilità civili e religiose costrittive.
I Padri Sinodali sono ritornati con insistenza e di frequente sul bisogno di estendere la giurisdizione dei Patriarchi sui fedeli del loro rito al di fuori del territorio della Chiesa Patriarcale sui iuris. Essi auspicano vivamente il passaggio dal concetto territoriale al concetto personale. La limitazione della giurisdizione del Patriarca ai fedeli della sua Chiesa sui iuris è logica, ma ad una dimensione delle persone e non del territorio. Come si può essere “Padre e Capo” di persone sottratte all’autorità? Questa estensione di giurisdizione si colloca nel quadro dell’adattamento pastorale del servizio dei fedeli orientali nella diaspora. La comunione è una relazione personale, animata dallo Spirito Santo. Questa prospettiva è molto importante per il dialogo ecumenico e il cammino verso la perfetta unità.
L’emigrazione costituisce anche un sostegno notevole ai Paesi e alle Chiese. La Chiesa del Paese d’origine deve trovare i mezzi per mantenere stretti legami con i propri fedeli emigrati e assicurare loro assistenza spirituale. È indispensabile assicurare la Liturgia, nel loro rito, ai fedeli delle Chiese Orientali che si trovano in un territorio latino. La liquidazione delle proprietà in patria è altamente sconsigliabile. La conservazione o l’acquisizione di beni fondiari incoraggerebbe a ritornare. La terra afferma e rafforza l’identità e l’appartenenza e queste reclamano un radicamento alla terra. Le comunità della Diaspora hanno il ruolo di incoraggiare e consolidare la presenza cristiana in Oriente in vista di renderne più forte la testimonianza e sostenerne le cause, per il bene comune del Paese. Una pastorale adeguata deve prendersi cura dell’emigrazione interna in ogni Paese.

5. L’immigrazione cristiana internazionale in Medio Oriente
I Paesi del Medio Oriente conoscono un nuovo importante fenomeno: l’accoglienza di molti lavoratori africani e asiatici, in maggioranza donne. Questi vengono a trovarsi in un contesto a prevalenza musulmana e a volte con scarse possibilità per la pratica religiosa. Molti si sentono abbandonati, messi di fronte ad abusi e trattamenti scorretti, a situazioni di ingiustizia e d’infrazione delle leggi e delle convenzioni internazionali. Alcuni emigranti cambiano nome per essere accettati meglio e aiutati.
Le nostre Chiese devono fare uno sforzo più consistente per aiutarli, con l’accoglienza, l’accompagnamento e l’assistenza umana, religiosa e sociale. In ognuno dei nostri Paesi, le nostre Chiese cattoliche devono stabilire per queste esigenze una pastorale adeguata, in un’azione coordinata fra i Vescovi, le Congregazioni religiose e le Organizzazioni sociali e di beneficienza. Questo richiede anche una cooperazione fra le istanze cattoliche locali e la gerarchia delle Chiese di provenienza.

C. RISPOSTA DEI CRISTIANI NELLA LORO VITA QUOTIDIANA

La testimonianza cristiana a tutti i livelli è la risposta principale nelle circostanze in cui i cristiani vivono. Il perfezionamento di questa testimonianza, seguendo sempre di più Gesù Cristo, è un’esigenza necessaria a tutti i livelli: clero, Ordini, Congregazioni, Istituti e Società di vita apostolica, come pure laici, secondo la vocazione propria di ciascuno. La formazione del clero e dei fedeli, le omelie e la catechesi devono approfondire e rendere più forte il senso della fede e la coscienza del ruolo e della missione nella società, come traduzione e testimonianza di questa fede. È necessario realizzare un rinnovamento ecclesiale: conversione e purificazione, approfondimento spirituale, determinazione della priorità della vita e della missione.
Uno sforzo particolare deve essere fatto per individuare e formare i “quadri” necessari a tutti i livelli. Questi devono essere un modello di testimonianza, per sostenere e incoraggiare i loro fratelli e sorelle soprattutto in tempi difficili. È opportuno anche formare quadri per la presentazione del cristianesimo sia ai cristiani poco attenti alla Chiesa o lontani da essa, sia ai non cristiani. La qualità dei quadri è più importante della quantità. È indispensabile la formazione permanente. Una particolare attenzione deve essere data ai giovani, forza del presente e speranza del futuro. I cristiani devono essere incoraggiati ad impegnarsi nelle istituzioni pubbliche per la costruzione della città comune.
Il pericolo che minaccia i cristiani del Medio Oriente non deriva soltanto dalla loro situazione di minoranza né da minacce esterne, ma soprattutto dal loro allontanamento dalla verità del Vangelo, dalla loro fede e dalla loro missione. La duplicità della vita, per il cristianesimo, è più pericolosa di qualsiasi altra minaccia. Il vero dramma dell’uomo non è il fatto che soffra a causa della sua missione, ma che non abbia più una missione, per cui perde il senso e lo scopo della propria vita. Anche nelle situazioni difficili e drammatiche, la risposta cristiana nella vita quotidiana saranno l’impegno pastorale, le opere di carità e le iniziative culturali ed educative di grande qualità. Ci sono esempi concreti che dimostrano questo impegno, come in Turchia e altrove.

II. LA COMUNIONE ECCLESIALE

A. PARTECIPAZIONE AL MISTERO PASQUALE: MORTE E RISURREZIONE DI CRISTO
Il mistero della Chiesa consiste nella sua identità come “Corpo di Cristo”. La Chiesa è essenzialmente comunione con Gesù Cristo: “Rimanete in me e io in voi… Io sono la vite, voi i tralci” (Gv 15, 4-5). “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui” (Gv 6,56). Cristo è “il capo del corpo, cioè della Chiesa” (Col 1,18). Ci unisce alla sua Pasqua: tutte le membra devono sforzarsi di assomigliare a Lui “finché non sia formato Cristo” in esse (Gal 4,19). “Perciò siamo collegati ai misteri della sua vita… associati alle sue sofferenze, come il corpo al capo e soffriamo con lui per essere con lui glorificati” (LG 7). Provvede alla nostra crescita (Col 2,19) per farci crescere verso di Lui, nostro Capo (cfr. Ef 4,11-16), Cristo dispone nel suo Corpo, la
Chiesa, i doni e i ministeri attraverso i quali noi ci aiutiamo reciprocamente lungo il cammino della salvezza. Cristo e la Chiesa formano, dunque, il ‘Cristo totale’. La Chiesa è una con Cristo (Catechismo della Chiesa cattolica, 787-795).
Fonte e modello della comunione non è dunque altro che la vita trinitaria di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. La partecipazione dei battezzati alla comunione trinitaria crea la comunione fra le persone e le comunità. La Chiesa universale è una comunione di Chiese. La Chiesa realizza la comunione al mistero pasquale, morte e risurrezione di Cristo. La comunione vive profondamente l’unità nella diversità e la diversità nell’unità. Questo contribuirà a rivelare la bellezza delle venerabili tradizioni delle nostre Chiese, in una comunione profonda che rispetti le ricchezze particolari.
La comunione è la prima necessità nella realtà complessa del Medio Oriente, e la migliore testimonianza alle nostre società. “Senza la comunione non c’è testimonianza” (Benedetto XVI). È una comunione di fede e di carità che ci lega alla Chiesa universale. Dobbiamo approfondire un’ecclesiologia di comunione. Essa sarà di aiuto anche nel dialogo ecumenico e interreligioso. Abbiamo bisogno di valorizzare meglio, comprendere meglio, e praticare meglio l’unità della Chiesa. È indispensabile insegnare la Chiesa come “comunione”, nella catechesi, nelle omelie, nella formazione del clero, dei religiosi e delle religiose, e dei laici. La comunione è chiamata ad essere innanzitutto affettiva, prima di diventare effettiva. È importante coltivare un senso profondo della comunione spirituale, dell’appartenenza ad una stessa Chiesa.

B. PARTECIPAZIONE AL MISTERO DELLA CHIESA: UNA, SANTA, CATTOLICA E APOSTOLICA

1. Comunione in seno alla Chiesa Cattolica (ad intra)

La ‘comunione’ fra le Chiese è il primo obiettivo e il primo compito di questo Sinodo. La comunione ha il suo fondamento e nutrimento nella Parola di Dio, nei Sacramenti, specialmente il Battesimo e la Eucaristia, e nell’unione con il Vescovo di Roma, successore di Pietro. Siamo prima di tutto membra dello stesso Corpo di Cristo, della stessa Chiesa, dunque chiamati ad una stretta collaborazione, ad uno stile di vita solidale, caritatevole e fraterno. I Pastori devono aiutare i fedeli a conoscere, apprezzare, amare e vivere la bellezza della varietà plurale della Chiesa, nell’unità e nella carità. Dobbiamo annunciare e insegnare il senso della Chiesa una, nelle chiese, nelle scuole, nei seminari, nel catechismo, nelle case di formazione, nei movimenti e in tutte le istituzioni delle nostre Chiese. L’utilizzazione dei media è in questo indispensabile e estremamente proficua.
La comunione deve cominciare all’interno di una stessa Chiesa sui iuris. È per questo che bisognerà consolidare le strutture di comunione nel Sinodo Patriarcale di ogni Chiesa. Un’espressione concreta di questa comunione sarebbe la solidarietà del personale e dei beni fra le Diocesi. È auspicabile stabilire strutture di comunione per progetti pastorali comuni: un solo seminario interrituale in ogni Paese, una pastorale comune nella regione per i giovani, la catechesi, la famiglia e tanti altri settori comuni. I Pontefici e la Santa Sede invitino gli Ordini, le Congregazioni e i Movimenti di origine occidentale ad adottare la lingua, il rito e la liturgia del Paese in cui esercitano la loro missione, e ad inserirsi completamente nella sua pastorale d’insieme. Questo assicurerà una maggiore inculturazione nel patrimonio spirituale, patristico, liturgico, culturale e linguistico del luogo, per rafforzare la comunione e la testimonianza. Devono evitare accuratamente di fare gruppo a sé.
Le difficili circostanze del momento attuale sono un incentivo ad una maggiore coesione fra le comunità cristiane, superando qualsiasi confessionalismo, per dare risposte positive e costruttive alle grandi sfide attuali. Il confessionalismo e l’attaccamento esagerato all’etnia rischiano di trasformare le nostre Chiese in ghetti e farle chiudere in se stesse. Una Chiesa etnica o nazionalista ostacola l’azione dello Spirito ed è in contrasto con la missione universale della Chiesa. Abbiamo necessità che tutte le Chiese della nostra regione si uniscano nella riflessione e nell’azione relative ai nostri problemi comuni, come i diritti umani e gli altri temi cruciali. Le Comunità cattoliche devono collaborare insieme. Bisogna incoraggiare una riunione periodica dei Vescovi della regione. Il Consiglio dei Patriarchi Cattolici d’Oriente potrà esaminare questo tema nella sua prossima Assemblea e fissare la data, il luogo e la partecipazione economica dei membri. È uno strumento potente per stabilire una pastorale d’insieme per la regione, e rendere il Consiglio dei Patriarchi più presente e più efficace. Una struttura post-sinodale dovrebbe dare seguito all’applicazione di questo Sinodo nella vita delle nostre Chiese. Sarebbe auspicabile che essa fosse in rapporto con il Santo Padre e con la Santa Sede.
Devono essere incoraggiate le relazioni inter-ecclesiali, non solo fra le Chiese sui iuris del Medio Oriente, ma anche con le Chiese Orientali e con la Chiesa latina della Diaspora, in stretta unione con il Santo Padre, la Santa Sede e i Rappresentanti Pontifici. La nostra comunione con le Chiese in Occidente ha radici storiche profonde. L’Europa deve la sua fede alle Chiese d’Oriente (At 16,9-10). La vita monastica in Occidente è stata ispirata dal monachesimo del Medio Oriente. Oggi l’Occidente accoglie e accompagna le comunità di emigranti del Medio Oriente, siano esse di antica o recente data. Siamo loro molto riconoscenti. Per una maggiore comunione, sarà necessario assicurare al clero latino in Occidente una conoscenza di base della teologia sacramentale ed ecclesiologica delle Chiese Orientali e far conoscere ai fedeli latini la realtà e la storia delle Chiese Orientali.
Qualcuno ha auspicato anche che i Patriarchi, per la loro identità di “Padri e Capi” di Chiese sui iuris, che fanno parte della cattolicità della Chiesa Cattolica, fossero ipso facto membri del Collegio degli elettori del Sommo Pontefice.

2. Comunione tra i Vescovi, il clero e i fedeli

La comunione deve realizzarsi visibilmente e praticamente in primo luogo all’interno di ogni Chiesa. E innanzitutto, dobbiamo ricordarci che può essere fatta solo sulla base dei mezzi spirituali: Eucaristia, preghiera e Parola di Dio. Occorrerà creare o riattivare le strutture di comunione e della pastorale. Il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali definisce strutture di comunione molto preziose. Iniziamo a farle conoscere e a metterle fedelmente in pratica. Sarebbe auspicabile la creazione dei consigli pastorali interrituali.
È di fondamentale importanza la valorizzazione del ruolo dei laici, uomini e donne, e della loro partecipazione nella vita e nella missione della Chiesa. Che questo Sinodo sia per loro e per tutta la Chiesa una vera primavera spirituale, pastorale e sociale. Abbiamo bisogno di rafforzare l’impegno dei laici nella pastorale comune della Chiesa. La donna, consacrata e laica, dovrebbe trovarvi il posto e la missione adeguati
A livello del clero, deve essere incoraggiata la comunione ecclesiale. Esistono associazioni di amicizia e di spiritualità comune che dovrebbero essere sostenute e rafforzate. Il ministero dei sacerdoti in équipe si rivela difficile, ma non bisogna disperare. Un Padre sinodale ha suggerito la creazione di una “banca di sacerdoti” o di una associazione di “sacerdoti senza frontiere” per rispondere alle necessità delle Chiese che ne sono prive, in uno spirito di comunione. La stessa cosa potrebbe essere fatta anche a livello dei laici, sulla base del sacerdozio comune del cristiano. I fedeli e tutta la Chiesa di Dio si aspetta dai pastori, dalle persone consacrate e dai responsabili delle attività pastorali una vita più conforme alla radicalità del Vangelo. Senza questa irradiazione di santità, la loro vita e la loro azione resterebbero sterili. So
no anzitutto testimoni e icone viventi di Cristo. A livello dei religiosi, delle religiose, delle persone consacrate e dei movimenti ecclesiali, abbiamo il dovere di accoglierli, incoraggiarli, alimentarli spiritualmente e integrarli sempre più nella vita e nella missione della Chiesa. Non bisogna né temere, né scartare le nuove realtà ecclesiali. Sono il dono prezioso e indispensabile dell’azione dello Spirito Santo nella Chiesa e nel mondo di oggi. Dobbiamo riscoprire il valore e i tesori della vita monastica e contemplativa, parte delle nostre terre. Le comunità di vita contemplativa devono essere incentivate laddove esistono. Con la preghiera possiamo preparare il terreno all’azione dello Spirito per suscitare la vita contemplativa laddove non esiste. Gli Ordini esistenti nei nostri paesi renderebbero un servizio prezioso alle nostre Chiese prendendo l’iniziativa di stabilire delle comunità in altri luoghi o paesi. La vita religiosa e monastica è l’anima della Chiesa.

3. Comunione con le Chiese e le comunità ecclesiali: ecumenismo )ad extra(

“Perché tutti siano una sola cosa … perché il mondo creda” )Gv 17, 21(. Questa preghiera di Cristo deve essere portata avanti dai Suoi discepoli in tutti i tempi. La divisione dei cristiani è contraria alla volontà di Cristo, costituisce uno scandalo e ostacola l’annuncio e la testimonianza. La missione e l’ecumenismo sono strettamente correlate. Le Chiese cattoliche e ortodosse hanno molto in comune, tanto che i Papi Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI parlano di “comunione praticamente completa”. Ciò deve essere messo in risalto più delle diversità. Si dovranno anche sottolineare e diffondere i risultati positivi nel campo dell’ecumenismo. Allo stesso tempo, abbiamo bisogno di fare un sincero esame di coscienza su ciò che abbiamo omesso di fare.
Occorre uno sforzo sincero per superare i pregiudizi, per capirsi meglio e puntare alla pienezza di comunione nella fede, nei sacramenti e nel servizio gerarchico. Questo Sinodo dovrebbe favorire la comunione e l’unità con le Chiese sorelle ortodosse e le comunità ecclesiali. Le divisioni dei cristiani sono contrarie all’essenza stessa della Chiesa e costituiscono un intralcio per la sua missione )Lettera quinta dei Patriarchi cattolici d’Oriente sull’ecumenismo(. Ufficialmente, la Santa Sede ha appoggiato iniziative riguardanti tutte le Chiese d‘Oriente, in collaborazione con le Chiese Orientali Cattoliche. È necessario e molto utile farle conoscere ai cristiani di tutte le Chiese dei nostri paesi. I media devono contribuire a questo.
La Bibbia, Parola di Dio, è il frutto di un dialogo tra Dio e l’umanità. Per questo dovrebbe essere una fonte privilegiata per il dialogo con gli altri cristiani e i credenti di altre religioni. Un dialogo di rispetto, di vita e di amore, un dialogo di un presente e di un futuro comuni. Abbiamo constatato che l’ecumenismo sta attraversando attualmente una crisi. D’altra parte, non si possono negare gli importanti passi avanti fatti fino a oggi, mediante l’azione e la grazia dello Spirito Santo. Essi sono ragione e causa di fiducia e speranza. Ci richiamano a un maggiore impegno, alla luce della Parola di Dio. Occorre che l’ecumenismo diventi un obiettivo fondamentale nelle Assemblee e nelle Conferenze Episcopali. È stata proposta la creazione di una commissione ecumenica nel Consiglio dei Patriarchi cattolici d’Oriente. Si dovranno utilizzare i media per rafforzare e vivificare l’ecumenismo. Potremmo pensare di lanciare e di sostenere dei media cristiani ecumenici. Sarebbe molto utile un congresso ecumenico in ogni paese, per studiare insieme i risultati, gli appelli e le raccomandazioni del Sinodo.
L’azione ecumenica richiede comportamenti appropriati: la preghiera, la conversione, la santificazione e lo scambio vicendevole di doni, in uno spirito di rispetto, di amicizia, di carità reciproca, di solidarietà e di collaborazione. L’unità è prima di tutto opera dello Spirito Santo e dono d’amore del Cristo alla Sua Chiesa. Questi comportamenti sono da coltivare e incentivare, attraverso l’insegnamento e i media. È auspicabile l’istituzione di commissioni locali di dialogo ecumenico. Lo studio della storia delle Chiese orientali cattoliche, nonché di quella della Chiesa di tradizione latina, permetterebbe di chiarire il contesto, la mentalità e le prospettive legate alla loro nascita.
Dobbiamo anche rafforzare le iniziative e le strutture che esprimono e sostengono l’unità, come il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente e la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Bisogna fare tutto il possibile per consolidare il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente e aiutarlo a compiere la sua missione. La “purificazione della memoria” è un passo importante nella ricerca della piena unità. È imprescindibile la collaborazione per la pastorale e per le azioni comuni. Così la cooperazione negli studi biblici, teologici, patristici e culturali favorirà lo spirito di dialogo. Potrebbe avere luogo un’azione comune per la formazione degli esperti di comunicazione nelle lingue locali. Nell’annuncio e nella missione, si eviteranno accuratamente ogni proselitismo e ogni strumento in contrapposizione con il Vangelo. Sarebbe opportuno incentivare l’ecumenismo della vita, cercando insieme di vivere meglio la nostra fede.
A più riprese, è stato espresso l’augurio di unificare le date di Natale e di Pasqua tra cattolici e ortodossi. Si tratta di una necessità pastorale, visto il contesto pluralista della regione e la quantità notevole di matrimoni misti tra cristiani di denominazioni ecclesiali diverse. È anche una potente testimonianza di comunione… Come arrivarci? Auspichiamo anche l’unificazione del testo arabo delle preghiere principali, a cominciare dal “Padre Nostro”. È stato accolto positivamente l’invito di un fratello delegato a inserire una “festa dei martiri” da celebrare da parte di tutti i cristiani. Molti Padri Sinodali hanno ricordato l’impatto positivo sul piano ecumenico e interreligioso delle Scuole e delle Università cattoliche in Medio Oriente. Alcuni Padri Sinodali hanno espresso l’augurio che le Chiese orientali siano più coinvolte nei dialoghi ecumenici tra la Santa Sede e le altre Chiese e che diano il loro personale contributo a esso.
Il dialogo è un mezzo essenziale per l’ecumenismo. Richiede un atteggiamento positivo di comprensione, di ascolto e di apertura all’altro. Ciò aiuterà a superare le diffidenze e a lavorare insieme per sviluppare i valori religiosi e collaborare a progetti di utilità sociale. I problemi comuni devono essere affrontati insieme. La ripetizione del battesimo dei cattolici da parte degli ortodossi continua a essere motivo di sofferenza e di indebolimento nel cammino verso l’unità. Si favorirà la collaborazione ecumenica pratica nella diakonia di servizio e di carità. Auspichiamo la creazione di un manuale-guida per l’azione ecumenica, adattato alla regione o al paese. Il dialogo teologico e il dialogo della diakonia dovranno fondarsi sul dialogo spirituale, sulla preghiera e tradursi incessantemente nel dialogo della vita. Si eviteranno accuratamente ogni proselitismo e l’uso di qualunque strumento si opponga al Vangelo. Si potrebbe forse stabilire un protocollo tra le Chiese che si impegnano a evitare ogni forma di proselitismo.
Nella preghiera, nella riflessione, nello studio e nella docilità all’azione dello Spirito Santo, dobbiamo cercare di rispondere alla richiesta del Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II formulata nella sua enciclica “Ut unum sint” )25.05.1995(, di proporre una forma nuova di esercizio del primato, che non danneggi la missione del Vescovo di Roma e che si ispiri alle forme ecclesiali del primo millennio. Se il Santo Padre è d’accordo, potrebbe incaricare una commissione pluridisciplinare per lo studio di questo delicato tema.

III. LA TESTIMONIANZA CRISTIANA: TESTIMONI DELLA RESURREZIONE E DELL’AMORE

“Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ci
ò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita … noi lo annunziamo” )1 Gv 1,1-3(. Gli Apostoli, la Chiesa delle origini e, attraverso di loro e dopo di loro, tutti i cristiani sono testimoni della resurrezione e dell’amore. Come per Paolo di Tarso, è l’incontro personale con il Risorto, incontro spirituale ma reale, che trasforma il cristiano in vero testimone, fedele fino all’estrema testimonianza, il martirio. Con questa esperienza, si avvicina a quella degli Apostoli, dei santi e dei martiri attraverso i tempi.
San Paolo elenca alcune qualità indispensabili per essere buoni testimoni di Cristo: “ con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace” )Ef 4, 2-3(. Solo quando avremo instaurato relazioni positive, potremo parlare di Gesù e della sua Parola. Sforziamoci di essere fedeli ai consigli che ci dà San Paolo e di accogliere le persone così come sono, amandole. Il ruolo profetico della Chiesa e dei fedeli deve essere elaborato e approfondito. È parte integrante dell’annuncio e della testimonianza.

A. LA CATECHESI, TESTIMONIANZA E ANNUNCIO PER LA CHIESA

Una catechesi per oggi, da parte di persone ben preparate

La Chiesa rende testimonianza al suo Signore e l’annuncia con la vita, le opere e la catechesi, soprattutto l’iniziazione alla fede e ai sacramenti. Una formazione della fede solida e una vita spirituale viva sono le migliori garanzie del consolidamento dell’identità cristiana illuminata, aperta ed effusiva. La catechesi deve essere rivolta a tutte le fasce d’età, bambini, giovani e adulti. I catechisti devono essere ben preparati per questa missione, mediante una formazione adeguata che tenga conto dei problemi e delle sfide attuali. Dopo una buona preparazione, i giovani possono essere buoni catechisti per altri giovani. Genitori ben preparati parteciperanno all’attività catechistica nella famiglia e nella parrocchia. La famiglia cristiana riveste un ruolo fondamentale nella trasmissione della fede ai bambini. Le scuole cattoliche, le associazioni e i movimenti apostolici sono i luoghi privilegiati per l’insegnamento della fede. Occorre formare i nostri fedeli alla comprensione dell’Antico Testamento, nella visione dell’opera della salvezza. Ciò permetterà loro di non cadere nella trappola del politicizzare i testi della Bibbia.
La catechesi deve essere integrale, includendo l’interesse per la tradizione, per la vita vissuta, per la modernità secondo l’insegnamento cattolico e per il dialogo ecumenico e interreligioso nella verità e nella carità. L’insegnamento religioso ai bambini, ai giovani e agli adulti deve porre rimedio alla scomparsa dell’iniziazione cristiana precedente al battesimo, impartito adesso ai neonati. L’educazione religiosa deve essere integrata con l’educazione umana. La Dottrina Sociale della Chiesa, in generale poco presente, è parte integrante della formazione della fede. Il “Catechismo della Chiesa Cattolica” e il “Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa” sono eccellenti risorse. La pastorale della famiglia, dell’infanzia e dei giovani non è stata sufficientemente affrontata nei documenti preparatori del Sinodo. Il problema delle sette è una grave sfida che riguarda le nostre Chiese. La catechesi deve mirare al consolidamento della fede nel nostro contesto socio-religioso. Bisogna studiarlo insieme e stabilire un piano pastorale a tal proposito. È importante istituire un catecumenato post battesimale per l’accoglienza delle persone convertite al cristianesimo. La catechesi deve portare all’impegno concreto a servizio dei più poveri, sofferenti e emarginati.
Senza la testimonianza della loro vita, l’azione dei catechisti rimarrà sterile. Essi sono innanzitutto dei testimoni del Vangelo. La catechesi deve anche promuovere i valori morali e sociali, il rispetto dell’altro, la cultura della pace e della non violenza nonché l’impegno per la giustizia e l’ambiente. Si invita a favorire la formazione della fede in piccoli gruppi o in piccole comunità, che offrono più calore attraverso rapporti personali. Questo eviterà che i nostri fedeli si orientino verso le sette. La parrocchia diverrà così la comunità delle comunità. È stato confermato che i cristiani d’Oriente come quelli d’Occidente hanno bisogno di una nuova evangelizzazione, per una profonda conversione e di un rinnovamento alla luce della Parola di Dio e dell’Eucaristia.
Dobbiamo incoraggiare tutti i fedeli, ma soprattutto i sacerdoti, i religiosi e le religiose, le persone consacrate e i responsabili della pastorale e dell’apostolato, a seguire l’insegnamento della Chiesa e a studiare i documenti del magistero, preferibilmente mediante uno studio comunitario. La comunione richiede anche incontri frequenti con i Patriarchi, i Vescovi, i sacerdoti e i laici. La vita spirituale e il cammino della Chiesa universale devono essere il primo obiettivo della formazione. Occorre ridare al battesimo il suo vero senso e promuovere i valori del Vangelo. L’invito e la vocazione alla santità devono essere al centro della formazione della fede, in tutte le fasi e in tutte le forme della vita cristiana. Un’attenzione speciale deve essere riservata alla famiglia, che rischia di essere indebolita e minata dalla visione relativista occidentale e dalla visione non cristiana dominante nella nostra regione. Le famiglie di religione mista devono essere oggetto di particolare cura pastorale. I manuali di catechismo devono completare le lacune e correggere gli errori che si trovano altrove. Il tema “Metodi di catechesi” non è stato praticamente toccato.
L’uso di mezzi moderni di comunicazione è imprescindibile per la trasmissione della fede, per la formazione religiosa, per la missione e l’evangelizzazione, per l’azione educativa, per la formazione alla pace, per le opere di sviluppo e per l’azione per lo sviluppo integrale delle nostre società. I media sono il luogo della testimonianza di Cristo e dei valori cristiani. Costituiscono una nuova cultura della comunicazione mondiale vera e propria, caratterizzata da nuovi linguaggi e metodi di pensiero. Sono i nuovi areopaghi del mondo globalizzato. Si dovrà stare all’erta per prevenire gli impatti negativi dei media: la manipolazione delle masse, la diffusione delle sette, della violenza e della pornografia, l’anticlericalismo internazionale. Si è constatato tuttavia che l’uso dei media nelle nostre Chiese, salvo rare eccezioni, è individuale e a livello primitivo, per la mancanza di risorse finanziarie e quindi professionali o a causa del lavoro individualista. È stato suggerito di formare una commissione per l’impulso e il coordinamento dei mezzi di comunicazione in Medio Oriente.
Le nostre Chiese hanno bisogno di persone specializzate in questi campi. Forse potremmo aiutare i più dotati a formarsi e impegnarli successivamente in questo lavoro. Ma si dovrà necessariamente formare sacerdoti e religiosi fin dal Seminario. I media e la comunicazione sono un potente mezzo per consolidare la comunione. Rendono le Chiese del Medio Oriente e del mondo sempre più “uno”. Avremmo desiderato che Telepace, KTO e altri media cattolici mettessero dei sottotitoli in arabo durante le loro trasmissioni e che dedicassero dei tempi alla trasmissione di programmi in arabo. Essi consolidano poi le relazioni interreligiose. È indispensabile stabilire dei piani e dei mezzi per garantire la comunicazione dei risultati di questo Sinodo e la concretizzazione delle sue direttive e delle sue raccomandazioni.

B. LA LITURGIA, APICE E FONTE DI COMUNIONE E TESTIMONIANZA

La liturgia costituisce un annuncio e una testimonianza importanti di una Chiesa che prega e non solo che agisce. “Nondimeno la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia” )Sacrosantum Concilium, 10(. Nelle nostre Chiese orientali, la D
ivina Liturgia è al centro della vita religiosa. Essa svolge un ruolo importante nel conservare l’identità cristiana, rafforzare l’appartenenza alla Chiesa, vivificare la vita di fede. Dobbiamo conservare e coltivare il senso del sacro, dei simboli e della religiosità popolare purificata e approfondita. Occorre curare la pulizia e la dignità degli ambienti, degli abiti, degli oggetti e dei libri sacri. Anche il musulmano è molto sensibile al sacro.
Non si è parlato molto del rinnovamento della liturgia, benché fosse auspicato da molti. Occorrerà saper unire “cose nuove e cose antiche” )Mt 13, 52(. La tradizione è dinamica, tende al perfezionamento, in armonia con le nuove esigenze dello sviluppo della comunità )S.S. Papa Benedetto XVI(. Le comunità religiose e i movimenti sono chiamati a una vera inculturazione nella liturgia del paese in cui esercitano la loro missione. È stato detto anche che la Chiesa latina dovrebbe limitarsi a celebrare la liturgia in lingua araba per i soli fedeli di lingua araba che le appartengono. È importante e urgente mettersi d’accordo su un testo arabo unificato per la preghiera domenicale da utilizzare nella liturgia, negli incontri, nella preghiera privata e pubblica.

C. RAPPORTI CON L’EBRAISMO

1. Vaticano II: fondamento teologico del legame con l’ebraismo

La Dichiarazione “Nostra aetate” del Concilio Vaticano II tratta specificatamente del rapporto tra la Chiesa e le religioni non cristiane. L’ebraismo vi occupa un posto di rilievo.

2. Magistero attuale della Chiesa

Hanno avuto luogo delle iniziative di dialogo, a livello della Santa Sede e delle Chiese locali. Il conflitto israelo-palestinese si ripercuote sui rapporti tra cristiani ed ebrei. A più riprese, la Santa Sede ha chiaramente espresso la sua posizione, auspicando che i due popoli possano vivere in pace, ognuno nella sua patria, con confini sicuri, internazionalmente riconosciuti. La sicurezza duratura si basa sulla fiducia ed è alimentata alla radice dalla giustizia e dall’onestà. Abbiamo il dovere di ricordare a tutti che la convivenza pacifica è il frutto del riconoscimento reale e pratico dei propri diritti e doveri. La preghiera per la pace è di fondamentale importanza.

3. Dialogo con l’ebraismo

Le nostre Chiese rifiutano l’antisemitismo e l’antiebraismo. Le difficoltà dei rapporti fra i popoli arabi e il popolo ebreo sono dovute piuttosto alla situazione politica conflittuale. Noi distinguiamo tra realtà religiosa e realtà politica. I cristiani hanno la missione di essere artefici di riconciliazione e di pace, basate sulla giustizia per entrambe le parti. Vi sono delle iniziative pastorali locali di dialogo con l’ebraismo, come ad esempio la preghiera in comune, principalmente a partire dai Salmi, e la lettura e meditazione dei testi biblici. Questo crea buone disposizioni per invocare insieme la pace, la riconciliazione, il perdono reciproco e i buoni rapporti. Altre iniziative promuovono un dialogo dei fedeli tra i figli delle tre religioni abramitiche.
Il Vicariato per i cristiani di lingua ebraica deve aiutare la società ebraica a conoscere e comprendere meglio la Chiesa e il suo insegnamento. Essa è disposta anche alla collaborazione per il servizio pastorale dei fedeli cattolici di lingua ebraica e degli emigrati. Ciò favorirà una presenza pacifica dei cristiani in Terra Santa. L’interpretazione tendenziosa di alcuni versetti della Bibbia giustifica o favorisce la violenza. La lettura dell’Antico Testamento e l’approfondimento delle tradizioni ebraiche aiutano a conoscere meglio la religione ebraica. Esse offrono un terreno comune di studi seri e aiutano a conoscere meglio il Nuovo Testamento e le tradizioni orientali. Nella realtà attuale vi sono altre possibilità di collaborazione. Il dialogo è necessario anche a livello accademico. Da qui il bisogno di contatto e di collaborazione tra gli istituti di formazione. Le scuole cattoliche svolgono una funzione essenziale nella formazione al rispetto reciproco e alla pace.

D. RAPPORTI CON I MUSULMANI

La Dichiarazione “Nostra aetate” del Concilio Vaticano II stabilisce anche il fondamento dei rapporti della Chiesa cattolica con i musulmani. Vi si legge: “La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini” )n. 3(. Dopo il Concilio, si sono svolti numerosi incontri fra i rappresentanti delle due religioni. All’inizio del suo pontificato, Papa Benedetto XVI ha dichiarato: “Il dialogo interreligioso e interculturale fra cristiani e musulmani non può ridursi ad una scelta stagionale. Esso è infatti una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro” )Benedetto XVI, Incontro con i rappresentanti delle comunità musulmane, Colonia, 20.08.2005(.
Il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso svolge incontri di dialogo di fondamentale importanza. Si raccomanda la creazione di commissioni locali di dialogo interreligioso. È necessario dare la priorità al dialogo della vita, che offre l’esempio di una testimonianza silenziosa eloquente e che è talvolta l’unico mezzo di proclamare il Regno di Dio. Solo i cristiani che offrono una testimonianza di fede autentica sono all’altezza di un dialogo interreligioso credibile. Abbiamo bisogno di educare i nostri figli al dialogo. I cristiani orientali possono aiutare quelli dell’Occidente ad avvicinarsi in modo più profondo all’incontro costruttivo con l’Islam.
Le ragioni per intessere rapporti tra cristiani e musulmani sono molteplici. Sono tutti connazionali, condividono la stessa lingua e la stessa cultura nonché gioie e sofferenze. Inoltre, i cristiani hanno la missione di vivere come testimoni di Cristo nelle loro società. Fin dalla sua nascita, l’Islam ha trovato radici comuni con il Cristianesimo e l’Ebraismo. La letteratura arabo-cristiana deve essere maggiormente valorizzata e essere utilizzata come risorsa nel dialogo con i musulmani.
La nostra vicinanza con i musulmani è consolidata da 14 secoli di vita comune, caratterizzata da difficoltà ma anche da molti aspetti positivi. Per un dialogo proficuo, cristiani e musulmani devono conoscersi meglio. Musulmani e cristiani condividono l’essenza dei 5 pilastri dell’Islam. Numerose iniziative dimostrano la possibilità di incontro e di lavoro fondato sui valori comuni )pace, solidarietà, non violenza(. Sono stati menzionati numerosi esempi di iniziative promettenti o riuscite, in materia di dialogo e lavoro comune tra cristiani e musulmani, in Siria, in Libano, in Terra Santa, in Egitto e altrove. Devono essere favorite attività comuni in ambito culturale, sportivo, sociale ed educativo. Di qui l’importanza fondamentale dei nostri istituti educativi che sono aperti a tutti e che formano all’amicizia, alla giustizia e alla pace. Anche i movimenti ecclesiali offrono un valido contributo in questo campo. Dio Amore ama i musulmani. Forse occorre trovare un nuovo linguaggio teologico per esprimere questo mistero e renderlo loro più accessibile. La nostra testimonianza di vita aiuterà notevolmente. Da qui l’importanza fondamentale del dialogo della vita o dialogo di vicinato, “hiwar aljiwar”.
Il dialogo con i musulmani è stato spesso evocato, raccomandato e incoraggiato. Il dialogo è l’espressone della comunione dei figli di Dio. Siamo tutti abitanti della stessa terra, della stessa casa di Dio. È stato anche affermato: nessuna pace senza dialogo con i musulmani. San Francesco d’Assisi, nel suo incontro con il re Al-Kamel in Egitto nel 1219, ci dà un esempio di dialogo con la non violenza e il dialogo della vita. Le Chiese orientali sono le più adatte a promuovere il dialogo interreligioso con l’Islam. È un dovere che spetta loro per la natura della loro storia, della loro presenza e della loro missione. Il contatto con i musulmani può rendere i cristiani più attaccati alla loro fede, può approfondirla e purificarla. La santità di vita è recipr
ocamente apprezzata dall’una e dall’altra parte. Il vero rapporto con Dio non ha bisogno di religiosità rumorosa, ma di autentica santità. Le persone profondamente religiose sono oggetto di rispetto e di venerazione, un punto comune di riferimento e coscienza della società. Il rapporto con l’Islam presuppone una profonda vita spirituale. Se non siamo aperti a Dio, come possiamo essere aperti agli uomini?

Abbiamo il dovere di educare i nostri fedeli al dialogo interreligioso e all’accettazione della diversità religiosa, al rispetto e alla stima reciproci. I pregiudizi ereditati dalla storia dei conflitti e delle controversie, da una parte e dall’altra, devono essere attentamente affrontati, chiariti e corretti. Nel dialogo sono importanti l’incontro, l’accoglienza della differenza altrui, la gratuità, la fiducia, la comprensione reciproca, la riconciliazione, la pace e l’amore. Il dialogo è salutare per il servizio alla pace, per la vita e contro la violenza. Il dialogo è la strada della non violenza. L’amore è più necessario e efficace delle discussioni. Non bisogna discutere con i musulmani, ma amarli, sperando di suscitare nel loro cuore la reciprocità. Prima di scontrarci su ciò che ci separa, ritroviamoci su ciò che ci unisce, soprattutto per quanto riguarda la dignità umana e la costruzione di un mondo migliore. Occorre evitare ogni azione provocatoria, offensiva, umiliante e ogni atteggiamento anti-islamico.
Per essere autentico, il dialogo deve realizzarsi nella verità. Il dialogo è una testimonianza nella verità e nell’amore. Bisogna dire sinceramente la verità, i problemi e le difficoltà, in modo rispettoso e caritatevole. Se il dialogo è imprescindibile e deve proseguire, forse esso deve dare inizio a una nuova fase di sincerità, onestà e apertura. Questo è ancor più necessario via via che l’annuncio islamico )“Al da’wat”( è più attivo in Occidente. Dobbiamo ammettere la nostra diversa visione della verità. Dobbiamo affrontare serenamente e oggettivamente i temi riguardanti l’identità dell’uomo, la giustizia, i valori della vita sociale dignitosa e la reciprocità – quest’ultimo termine deve essere chiarito, secondo alcuni interventi-. Dobbiamo considerare anche che i musulmani hanno diverse correnti d’insegnamento e d’azione. Ci sono i fondamentalisti, i tradizionalisti pacifici – la maggioranza – che considerano l’Islam la fede e la norma supreme e non hanno alcun problema a vivere serenamente con i non musulmani, e i moderati aperti all’altro e che sono una minoranza. Qualcuno ha proposto di non limitarci alle correnti attuali moderate dell’Islam ma di avvicinarci anche ai fondamentalisti e agli estremisti, che coinvolgono profondamente la massa.
La libertà religiosa è alla base dei rapporti sani tra musulmani e cristiani. Dovrebbe essere un tema prioritario nel dialogo interreligioso. Auspicheremmo che il principio coranico “Nessuna costrizione nella religione” fosse realmente messo in pratica. Alcuni Padri Sinodali hanno parlato di costrizioni, di limiti alla libertà, di atti di violenza e di sfruttamento dei lavoratori emigrati in alcuni paesi. Nessuno ha citato i versetti del Corano sui quali si basano gli estremisti per giustificare il loro comportamento e gli atti di violenza. Questo dimostra l’atteggiamento lodevole dei pastori che vedono ciò che ci unisce e mette pace piuttosto che ciò che separa. Nel dialogo con i musulmani, occorrerà studiare la rilettura degli “hadiths” di violenza, legati a un contesto storico passato sostituito dal contesto attuale di rispetto dei diritti umani.
Dobbiamo lavorare tutti insieme per trasformare le mentalità e passare dallo spirito e dall’atteggiamento del confessionalismo allo spirito della vita e dell’azione per il bene comune. È un lavoro di ampio respiro, visto che il confessionalismo ha radici strutturali profonde, che risalgono agli statuti degli “dhimmis” e dei “millets”. Il dialogo impedirà l’atteggiamento di diffidenza e di paura degli uni nei confronti degli altri.
I cristiani tenderanno a radicarsi sempre di più nelle loro società e a non cedere alla tentazione di ripiegarsi su se stessi in quanto minoranza. Devono lavorare insieme per promuovere la giustizia, la pace, la libertà, i diritti dell’uomo, l’ambiente, i valori della vita e della famiglia. Bisogna affrontare le problematiche socio-politiche non come diritti da reclamare per i cristiani ma come diritti universali, che cristiani e musulmani difendono insieme per il bene di tutti. Dobbiamo abbandonare la logica della difesa dei diritti dei cristiani e impegnarci per il bene di tutti. I giovani avranno a cuore d’intraprendere azioni comuni in queste prospettive. Occorre cooperare insieme, con le persone di buona volontà, per affrontare i problemi urgenti del momento: la libertà, l’uguaglianza, la democrazia, i diritti umani, l’emigrazione e l’immigrazione, le conseguenze della globalizzazione, della crisi economica, la violenza e l’estremismo, la vita.
È necessario purificare i libri scolastici da qualsiasi pregiudizio sull’altro e da qualsiasi offesa o deformazione. Si cercherà piuttosto di comprendere il punto di vista dell’altro, pur rispettando le diversità di fede e di pratiche. Si valorizzeranno gli spazi comuni, soprattutto a livello spirituale e morale. La Santa Vergine Maria è un punto di incontro molto importante. La recente dichiarazione dell’Annunciazione come festa nazionale in Libano costituisce un esempio incoraggiante. La religione è costruttrice di unità e di armonia, oltre che espressione di comunione fra le persone e con Dio.

E. COSTRUIRE INSIEME UNA CITTÀ DI COMUNIONE

Tutti i cittadini dei nostri paesi devono affrontare insieme due sfide principali: la pace e la violenza. Le situazioni di guerre e conflitti che viviamo generano la violenza e vengono sfruttate dal terrorismo mondiale e dalle correnti e dai movimenti estremisti nella regione. L’Occidente viene identificato con il Cristianesimo e le scelte degli Stati vengono attribuite alla Chiesa. Oggi, invece, i governi occidentali sono laici e sempre più in contrasto con i principi della fede cristiana. È importante spiegare questa realtà e il senso di una laicità positiva, che distingue il politico dal religioso. In questo contesto, il cristiano ha il dovere e la missione di presentare e vivere i valori evangelici.
I nostri cristiani laici devono essere ben formati per approfondire e rafforzare la coscienza della vocazione cristiana. La vocazione della Chiesa è il servizio. La testimonianza non è un modo di evitare l’annuncio esplicito. Non è neppure un buon esempio )senso riduttivo(. La testimonianza significa vivere nella verità. Da qui la necessità di un’autentica vita cristiana. Dobbiamo in ogni momento dare testimonianza con la vita, senza sincretismo né relativismo, con umiltà, rispetto, sincerità e amore. “Medico, cura te stesso” )Lc 4, 23(. Dobbiamo prima guarire per poter riflettere la luce di Cristo.
L’amore gratuito per l’uomo è la nostra testimonianza più importante nella società. La Chiesa cattolica dà un’eloquente e preziosa testimonianza attraverso numerose opere e istituzioni educative, caritative, sanitarie e di sviluppo sociale. Esse sono molto apprezzate e frequentate da tutti i cittadini, senza distinzione di religione o di appartenenza. Aiutano notevolmente ad abbattere i muri della diffidenza e del rifiuto. La Chiesa dà priorità al servizio dei più poveri. Più siamo coscienti della nostra vocazione cristiana nella società, più saremo capaci di mostrare e di irradiare la forza del Vangelo, che è potente e può trasformare la società umana anche oggi. L’Esortazione Apostolica del Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II “Una Speranza Nuova per il Libano” )10 maggio 1997( è una guida concreta per la testimonianza cristiana nella città. Si dovrà valorizzarla pienamente e viverla concretamente, soprattutto in Libano.
Musulmani e cristiani, dobbiamo percorrere insieme il comune cammino. Malgrad
o le diverse concezioni dell’uomo, dei suoi diritti e della libertà, possiamo trovare insieme le basi chiare e precise di un’azione comune per il bene delle nostre società e dei nostri paesi. I diritti umani sono il terreno comune che ha più possibilità di unirci per uno studio sereno e un’azione comune. Il dialogo sarà proficuo con le persone impegnate nella difesa dei diritti umani, dell’etica fondata sui principi della natura umana, della famiglia, della vita e dello Stato civile. Favoriamo questa corrente di persone moderate e sincere. Dobbiamo preoccuparci reciprocamente gli uni per il bene degli altri. Costruiamo insieme una “città della comunione”.

* Nei Circoli Minori si dovrebbero approfondire gli argomenti poco trattati finora: metodi di catechesi rinnovamento della liturgia la modernità il contributo specifico insostituibile del cristiano futuro dei cristiani del Medio Oriente.

CONCLUSIONE

Quale futuro per i cristiani del medio oriente? “Non temere, piccolo gregge!” )Lc 12, 32(
I contesti attuali sono fonte di difficoltà e di preoccupazione. Animati dallo Spirito Santo e guidati dal Vangelo, li affrontiamo nella speranza e nella fiducia filiale nella Divina Provvidenza. Siamo oggi un “piccolo resto”, ma il nostro comportamento e la nostra testimonianza possono fare di noi una presenza che conta. Dobbiamo assumere la nostra vocazione e la nostra missione di testimonianza, al servizio dell’uomo, della società e del nostro paese.
Dobbiamo lavorare tutti insieme per preparare una nuova alba in Medio Oriente. Siamo sostenuti dalla preghiera, dalla comprensione e dall’amore di tutti i nostri fratelli e le nostre sorelle nel mondo. Non siamo soli. Questo Sinodo ce l’ha fatto sentire molto chiaramente. E come ha detto il rappresentante della Conferenza Episcopale dell’Oceania: “Vogliamo che i nostri fratelli e le nostre sorelle del Medio Oriente sappiano che noi apprezziamo la comunione con loro e che ci impegniamo a rimanere solidali con loro, nelle loro speranze e sofferenze, e che li sosterremo con la preghiera e l’assistenza pratica, nelle sfide che affrontano oggi”.
La fede ci dice anche che il Signore stesso ci accompagna e che la Sua promessa è sempre attuale: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” )Mt 28, 20(. Dio è il Maestro della storia )S.S Papa Benedetto XVI – Omelia della Messa d’apertura – 10.10.2010(. Ora che il Sinodo sta per concludersi, comincerà il vero lavoro: l’annuncio e la comunicazione di tutto ciò che il Sinodo ci ha portato, la concretizzazione degli orientamenti e delle raccomandazioni attraverso strutture appropriate e il controllo regolare di questo lavoro, in un’azione pastorale coordinata, per raccogliere frutti abbondanti, grazie all’azione dello Spirito Santo. Noi ci speriamo molto. “La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato” )Rm 5, 2-5(.“Non temere piccolo gregge”, ci dice il Signore. Per rispondervi, occorre più fede, più comunione e più amore, che saranno portatrici di grazia, di forza, di pace, di gioia, di numerose vocazioni consacrate e di santità. Imploriamo la Santa Vergine Maria, così onorata e così amata nelle nostre Chiese, affinché formi i nostri cuori sull’esempio del cuore di suo Figlio Gesù. E accogliamo il suo invito: “Fate quello che vi dirà” )Gv 2,5(.

QUESTIONARIO

1. Come ritrovare ciò che caratterizza la Parola di Dio, cioè il suo potere di entrare nell’esistenza delle persone per operare un cambiamento nella loro vita in vista di un impegno maggiore e più fecondo? Come la frequentazione della Parola di Dio può essere agente di sviluppo dell’essere e dell’agire dei cristiani? La Parola di Dio è fonte inesauribile di comunione e di apertura. Come è letta e approfondita nella Chiesa per essere agente di comunicazione, di dialogo e di sviluppo della comunità ecclesiale e del mondo?

2. L’Antico Testamento è talvolta interpretato in modo tendenzioso e interessato. Come possiamo riscoprire le ricchezze dell’Antico Testamento alla luce dell’unità dei due Testamenti in Cristo, nel nostro contesto attuale?

3. Le nostre Chiese talvolta devono far fronte a situazioni di persecuzione che sfociano anche nel martirio. Qual è il nostro atteggiamento oggi davanti a tali situazioni?

4. In origine, le Chiese orientali erano le Chiese missionarie per eccellenza. Attualmente, questo slancio missionario si è indebolito. Come rinvigorire lo spirito missionario nelle nostre Chiese, per una nuova evangelizzazione all’interno di ogni Chiesa e al servizio della Chiesa universale, allo scopo di conservare lo spirito del Vangelo ravvivando la fede dei cristiani e mantenendo viva « la memoria delle origini »?

5. Nel quadro di una pastorale efficace e evangelica, quali strutture creare per formare agenti pastorali che possano essere dirigenti creativi, che sappiano ascoltare, guidare, orientare, sostenere, compatire e proporre allo stesso tempo?

6. In un universo in cui i cristiani sono in minoranza, per dare nuovo dinamismo alle comunità, occorre aiutarle a ritornare allo spirito del Vangelo, rafforzando la fede e la spiritualità dei nostri fedeli ; occorre rinsaldare il legame sociale e la solidarietà tra loro, senza sfociare in un atteggiamento da ghetto. Quali strutture ecclesiali e quale pastorale sarebbero in grado di rafforzare questa appartenenza spirituale e sociale?

7. Tra inculturazione e fusione, la Chiesa si trova anch’essa contaminata dalla politica e dai conflitti che dilaniano il mondo che la circonda? Quali strategie proporre affinché rimanga un riferimento di apertura e di dialogo evangelici? Come agire in un mondo multiculturale, in cui la libertà d’epressione dipende talvolta dal clan, dalla confessione o dalle tradizioni incompatibili con il Vangelo? Come formare i nostri giovani a un vero dialogo che non sia né fusione né confusione, ma che sia espressione di una vera condivisione e di una volontà evangelica fatta d’accoglienza, d’apertura e d’amore per la verità e l’unità?

8. Davanti al fenomeno dell’emigrazione, come possiamo aiutare i nostri fedeli a vivere secondo la propria identità ecclesiale in stretta collaborazione con la Chiesa locale dei paesi di accoglienza e di inserimento al fine di manifestare sempre l’unità nella diversità?

9. Per rispondere alle esigenze pastorali dell’emigrazione, quali sono le linee guida adeguate per la formazione dei futuri ministri nei nostri seminari e facoltà di teologia?

10. I nostri paesi del Medio Oriente accolgono sempre più immigrati per motivi economici. Come possono le nostre Chiese contribuire a far rispettare i diritti umani fondamentali e a fornire loro un accompagnamento spirituale adatto?

11. Data la nuova realtà ecclesiale nei paesi del Golfo, come operare insieme per instaurare una migliore collaborazione pastorale tra le Chiese orientali cattoliche e la Chiesa cattolica romana?

12. Indubbiamente, in Oriente, c’è una crisi di vocazioni rispetto a un recente passato florido. Le vocazioni nella Chiesa sono opera dello Spirito Santo per tutta la Chiesa. Quale pastorale vocazionale proporre in particolare ai giovani per toccare i loro cuori affinché osino seguire Cristo generosamente e senza paura? Davanti alla mancanza di sacerdoti in alcuni luoghi, come vivere la comunione ecclesiale sacerdotale, per rispondere alle necessità di queste Chiese?

13. Come vedete l’identità e la vocazione delle nostre Chiese orientali cattoliche alla luce del Concilio Vaticano II e del dialogo ecumenico in atto?

14. In qual modo riscoprire il senso concreto della Chiesa come mistero di comunione per una presenza e una testimonianza evangeliche in Medio Oriente?

15. Quali sono i mezzi da mettere a punto per evitare di cadere davvero in realizzazioni da parte della Chiesa basate solo su considerazioni etniche, culturali o politiche?

16. Le n
ostre Chiese accolgono sempre di più nuovi movimenti apostolici e d’iniziazione cristiana. Come garantire, nel rispetto del carisma, la loro integrazione armoniosa nella realtà pastorale delle nostre Chiese d’Oriente?

17. Risalendo alle nostre comuni radici nell’esperienza della Chiesa di Gerusalemme, possiamo ritrovarvi un mezzo utile al raggiungimento dell’unità di cui parla Cristo nella sua preghiera sacerdotale? Quali potrebbero essere le strategie necessarie da attuare per raggiungerla?

18. La situazione dei cristiani in Medio Oriente è complessa e spesso confusa sia sul piano politico-culturale che sul piano ecumenico e interreligioso. In qualità di cristiani, alla sequela di Cristo, come andare verso gli altri al di là delle divergenze storiche, di pensiero e di ideologie per incontrare gli uomini, nostri simili in quanto figli di Dio e quindi fratelli e persone degne del nostro rispetto e della nostra stima?

19. Quali sono le misure che le nostre Chiese devono attuare in materia di nuovi mezzi di comunicazione per promuovere la testimonianza comune e l’evangelizzazione in un’ottica ecumenica e interreligiosa?

20. Il Papa Benedetto XVI ha appena creato un dicastero per la nuova evangelizzazione nei paesi di antica tradizione cristiana. Le nostre Chiese apostoliche in Medio Oriente hanno coscienza dell’interesse di una Nuova Evangelizzazione per rispondere ai problemi dell’uomo contemporaneo?

21. La Chiesa porta avanti abitualmente un dialogo positivo con i musulmani moderati per il bene comune. Dato il notevole impatto delle correnti fondamentaliste islamiche sul corso degli eventi, quale può essere il nostro atteggiamento di fronte a tali correnti?

22. Nella tradizione della Chiesa orientale, la liturgia è l’espressione privilegiata della fede e dell’agire cristiano )lex orandi, lex credendi, lex vivendi(. Come adattare le nostre antiche tradizioni liturgiche, impregnate del vigore biblico e patristico, ai bisogni dell’uomo d’oggi?

23. Spesso l’insegnamento religioso si interrompe alla fine del periodo scolastico. Gli adulti hanno bisogno di una solida formazione nella fede per impregnare la propria vita personale, familiare e professionale. Come possono fare le nostre Chiese a garantire loro questa formazione? In questo senso, dobbiamo elaborare un piano catechistico di base per adulti, con un lavoro comune tra e per tutte le nostre Chiese cattoliche del Medio Oriente?

[Testo originale: francese]

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ZENIT Staff

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