ROMA, lunedì, 18 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Sono passati tre anni da quando il Myanmar aveva occupato tutti i titoli dei giornali a causa delle violente repressioni messe in atto dalla giunta militare contro le manifestazioni in favore della democrazia guidate dai monaci buddisti.
Ora il Paese si prepara per le elezioni nazionali previste per il mese prossimo, anche se la comunità internazionale non si aspetta di assistere a un momento di alta democrazia.
È in questo contesto che suor Veronica Nwe Ni Moe e le sorelle salesiane stanno costruendo la Chiesa, un bambino alla volta.
In questa intervista rilasciata al programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, suor Veronica parla del lavoro delle salesiane in Myanmar e del suo impegno nel proseguire gli studi a Roma.
Suor Veronica, lei sta lavorando molto con i giovani. Sta studiando a Roma incentrandosi sull’educazione. Quali sono le sfide per i giovani del Myanmar?
Suor Veronica: Io sono una suora salesiana. Noi vediamo molte giovani ragazze che vengono da noi. Abbiamo un centro per le ragazze dai 15 ai 25 anni che provengono dalle diverse parrocchie e sono solitamente di estrazione dei diversi gruppi etnici; vengono senza un futuro e senza una guida.
Il centro del Paese è prevalentemente buddista, mentre le regioni periferiche sono molto più cattoliche. Come mai la sua famiglia è cattolica pur stando in una regione buddista?
Suor Veronica: Mia madre è originaria della tribù Karen, delle regioni periferiche, e in Myanmar i “tribali” – come veniamo definiti – sono prevalentemente cattolici.
Ci può spiegare meglio la situazione nelle regioni periferiche?
Suor Veronica: Noi non conosciamo il vero motivo dell’aggressione del Governo nei confronti delle tribù. Ciò che posso dire è che le persone innocenti, soprattutto i giovani che si trovano nel mezzo del conflitto, ne stanno soffrendo. Sono costretti a trasportare cibo e armi e sono costantemente in movimento. Non esiste stabilità e l’educazione è inesistente, o comunque non è una priorità.
La maggior parte delle ragazze è anche oggetto di sfruttamento o di abusi da parte di diverse persone soprattutto nelle zone periferiche. Quindi non esiste futuro per queste giovani e anche per i giovani, nonostante i loro vari talenti. Le ragazze che vengono da noi ricevono istruzione e imparano a usare la loro creatività. Quando sono diventata suora sono stata con le ragazze per tre anni. In quel periodo mi sono resa conto che anche io avevo imparato moltissime cose da loro.
Per esempio?
Suor Veronica: Semplicemente essere contenti di ciò che si ha. La felicità non risiede nelle cose materiali che si possiedono ma nella vita vissuta; una vita di impegno e di onestà che dà loro questa gioia.
Deve essere doloroso per lei assistere alla sofferenza di queste giovani?
Suor Veronica: Certamente. Anche io soffro. Siamo educatrici e la nostra Congregazione in tutto il mondo possiede delle scuole, centri giovanili, oratori e noi siamo libere; non così in Myanmar. Ciò che cerco di fare, anzitutto, è di pregare per loro. Poi mi impegno con tutto il cuore per la loro educazione e per insegnare loro come essere buone madri cristiane, perché possano trasmettere la loro fede ai figli.
È possibile aprire scuole, anche solo nei piccoli villaggi di queste zone?
Suor Veronica: Abbiamo un asilo con 100 bambini e la maggior parte di loro sono buddisti. Lavorare con i buddisti non è difficile perché sono molto pacifici e i genitori apprezzano il nostro lavoro. È facile lavorare in collaborazione con i genitori.
Ma lei ha aperto solo un asilo finora? Cosa le impedisce di fare di più? La guerra?
Suor Veronica: Anzitutto è l’esiguo numero di suore salesiane in Birmania. Siamo solo 21, anche se al momento siamo in crescita. Abbiamo 16 o 17 aspiranti, 8 postulanti e nove novizie: stiamo crescendo. Questi numeri non ci aiutano, anche perché noi vogliamo dare il 100% di noi stesse. E vogliamo fare bene! Abbiamo quattro case in Myanmar e le 21 sorelle sono distribuite tra queste case.
Come è il rapporto quotidiano tra cattolici e buddisti?
Suor Veronica: È molto pacifico. Per esempio, nel villaggio in cui sono nata, delle 800 famiglie, 8 sono cattoliche e sono tutti miei parenti. Quindi tutti i miei amici sono in gran parte buddisti. Viviamo in pace; questa è la normalità. I monaci buddisti sono gentili e benevoli.
Suor Veronica, nell’ambito dell’evangelizzazione della Chiesa esistono alcuni giovani chiamati “zeteman”. Ci può parlare di loro e di cosa fanno?
Suor Veronica: Sono giovani cattolici missionari, dai 18 anni in su; sono molto giovani. Dedicano la loro vita al servizio delle diocesi per 3 anni. Si trasferiscono in luoghi sperduti – nelle montagne o nelle foreste – per servire la loro diocesi. Il loro scopo principale è il servizio e il lavoro caritativo nell’educazione, nell’assistenza sanitaria e nell’assistenza agli anziani. Non fanno catechismo, ma se la gente gli chiede di Gesù e della fede, allora ne parlano e condividono la propria fede. Lo fanno come servizio e talvolta a rischio della propria vita. Spesso soccombono alle malattie contratte nei loro viaggi attraverso la giungla. È un servizio molto importante perché spesso i religiosi e i preti non riescono a raggiungere quelle zone.
Quanto tempo restano via e quanto gli ci vuole per raggiungere un villaggio nelle montagne?
Suor Veronica: Due delle nostre suore salesiane hanno fatto questo servizio prima di farsi suore; in qualche modo la vocazione salesiana è nata da questo servizio “zeteman”. So che viaggiano molto per raggiungere luoghi distanti. Per esempio possono impiegare anche 3 giorni di viaggio in macchina per arrivare a destinazione, spesso visitando villaggi molto poveri e spesso senza cibo. Spesso vivono con gli abitanti dei villaggi.
Suor Veronica, ci può dire qualcosa della sua vocazione?
Suor Veronica: Da giovane non avevo mai pensato a diventare una suora. La mia ambizione era di fare medicina e prendermi cura dei malati. Ho cercato di studiare molto perché nel mio Paese, diventare dottore richiede un duro lavoro. Quando avevo 10 anni volevo anche studiare informatica e inglese. Mio padre a quel tempo, negli anni 1997-1998, aveva conosciuto le suore salesiane ed era rimasto molto colpito dalla loro gioia e dalla loro accoglienza. Un giorno, al suo ritorno dalla città, mi ha chiesto se avessi voluto studiare da loro. Io gli ho risposto di sì e lui mi ci ha accompagnato.
Durante il mio soggiorno da loro ho iniziato a questionarmi e a vedere la loro gioia nonostante le difficoltà. Avevo 17 o 18 anni ed ero alla ricerca della vera felicità per la mia vita. Spesso mi domandavo perché loro erano sempre felici mentre per me non era sempre così. Successivamente ho capito che la loro vera felicità stava nell’amare Dio e servire il prossimo. Questo adesso lo so. È stata la ricerca della vera felicità che mi ha portato a seguire le salesiane: essere felice nel servizio e nell’aiutare a educare i giovani.
Lei si trova a Roma per motivi di studio. Cosa l’ha portata qui?
Suor Veronica: Prima di tutto, è per obbedienza alla mia superiora. Mi è stato chiesto di studiare e di preparami per la mia futura missione. L’altro motivo è che la mia superiora mi ha informato di aver ricevuto una borsa di studio da Aiuto alla Chiesa che Soffre. ACS mi ha fornito una borsa di 5 anni. Sono molto riconoscente ad ACS. Ho anche pregato per tutti coloro che mi hanno sostenuto nei mie studi, nella mia formazione; me ne ricordo sempre e sono fermamente convinta che se non conosco niente non potrò neanche condividere niente. Posso condividere solo ciò che conosco e ciò che ho imparato. La cosa più importante c
he posso condividere al mio ritorno è l’amore di Dio. Questa è la cosa più preziosa di tutte e noi ne abbiamo molto bisogno.
E ora vede che i suoi frutti sono messi all’opera: la sua istruzione, le lingue, ora che è a Roma completando i suoi studi, per tornare presto in Myanmar? Suor Veronica, qual è la sua speranza per la Chiesa in Myanmar?
Suor Veronica: Ho tanta speranza. Vedo un futuro molto buono per la Chiesa cattolica in Birmania. Vedo un aumento nel numero dei giovani che dimostrano di essere molto generosi. L’altro motivo è che la Chiesa cattolica è nota per la sua carità e per essere molto vicina ai poveri. Noi vogliamo continuare a lavorare su questi punti di forza e su questo mandato: gioia, povertà e servizio ai poveri. Inoltre, credo nella grazia di Dio. Dio lavora dentro e attraverso di noi e con la nostra dedizione ai fedeli. So che cresceremo.
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Questa intervista è stata condotta per “Where God Weeps”, un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.
Per maggiori informazioni: www.WhereGodWeeps.org