Interventi per la nona Congregazione generale il 15 ottobre (pomeriggio)

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 17 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito gli interventi pronunciati questo venerdì pomeriggio nella nona Congregazione generale dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.

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– S. Em. R. Card. William Joseph LEVADA, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (CITTÀ DEL VATICANO)

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Il mio intervento verterà sulla nozione della tradizione viva della Chiesa, così come viene insegnata nella Costituzione sulla divina rivelazione del Concilio Vaticano II Dei Verbum, e sulla comprensione del ruolo del Papa nella tradizione apostolica, con riferimento al n. 78 dell’Instrumentum laboris.
Al n. 8 della Dei Verbum il Concilio insegna che “questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse”. Come ci ricorda il beato John Henry Newman, elevato agli onori degli altari il mese scorso in Inghilterra, questa tradizione viva conosce un autentico sviluppo della dottrina per poter rispondere alle nuove domande sollevate nei due millenni della storia della Chiesa come la Comunione dei discepoli del Signore. Attraverso il suo studio dei Padri dell’epoca patristica e dei primi Concili Ecumenici, il cardinale Newman ha trovato proprio la tradizione viva, che lo ha portato ad abbracciare la pienezza della fede in seno alla Chiesa cattolica.
Non sono mancati esempi di questo sviluppo nei nostri dibattiti durante questo Sinodo: si pensi alla Dichiarazione Nostra Aetate, che offre una nuova base per le relazioni attuali con gli ebrei e i musulmani. Si pensi anche ai riferimenti, durante il dibattito sinodale, alla libertà di religione e alla libertà di coscienza, che prendono spunto dalla Dichiarazione conciliare Dignitatis humanae. Papa Benedetto XVI ha dato un proprio contributo a questo sviluppo costante attraverso i numerosi interventi nel nome della necessaria interazione tra la fede e la ragione nel dibattito politico e pubblico, sostenendo con convinzione che lo stato moderno secolare o “laico” ha bisogno della voce importante della religione per assicurare la propria bussola etica. Nella piena applicazione degli insegnamenti del Concilio Vaticano II ha insistito sulla necessità di una continuità con la tradizione come condizione per una comprensione autentica e fedele dell’insegnamento del Concilio, e quindi dello sviluppo della dottrina.
Queste osservazioni possono risultare utili quando esaminiamo l’insegnamento della Chiesa sul Romano Pontefice, Vescovo di Roma. Questa dottrina ha seguito una traiettoria di sviluppo unico da quando Gesù ha proclamato: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa” (Mt 16, 18). Diversi Padri sinodali hanno fatto riferimento alla citazione tratta dalla Lettera Enciclica del 1995 Ut unum sint, a proposito della quale l’Instrumentum laboris afferma che il Papa Giovanni Paolo II ha ammesso “la responsabilità ‘di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova’, tenendo presente la duplice tradizione canonica latina e orientale’” (n. 78):
Successivamente la Congregazione per la Dottrina della Fede ha promosso un simposio teologico per riflettere più dettagliatamente su quegli aspetti del papato che sono fondamentali per la fede della Chiesa. Oltre agli atti di questo simposio, la Congregazione nel 1998 ha pubblicato un documento sulla questione intitolato Il primato di Pietro nel Mistero della Chiesa.
Più di recente la nostra Congregazione ha pensato di convocare le Commissioni dottrinali dei sinodi e le Conferenze episcopali delle Chiese Orientali e le Chiese orientali sui iuris per discutere su questioni dottrinali di mutuo interesse. In questo contesto prevedrei uno studio e uno scambio di opinione utili su come il ministero del Successore di Pietro, con le sue caratteristiche dottrinali fondamentali, potrebbe essere esercitato in modi diversi, secondo le diverse necessità dei tempi e dei luoghi. Questo rimane un capitolo dell’ecclesiologia che deve essere ulteriormente esplorato e completato.
Queste riflessioni teologiche, tuttavia, non sostituiscono la testimonianza vitale che i cattolici in Medio Oriente danno ai loro fratelli ortodossi e musulmani su come la dottrina della Chiesa si sviluppa nella tradizione apostolica viva, guidata dal dono di Cristo dello Spirito Santo al Magistero della Chiesa in ogni tempo. Questo Magistero comprende necessariamente il ruolo del Papa come capo del collegio apostolico dei vescovi, insieme al mandato di Cristo di confermare i fratelli nell’unità della fede (cfr. Lc 22, 32) perché “tutti siano una cosa sola” (Gv 17, 21).

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Krikor-Okosdinos COUSSA, Vescovo di Alessandria degli Armeni (REPUBBLICA ARABA DI EGITTO)

Preghiera
“Ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio. E non soltanto questo: noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5, 2-5).
Santo Padre,
Beatitudini e Eminenze,
Fratelli nel sacerdozio, religiosi, religiose e laici,
Nel mio intervento faccio riferimento ai numeri dal 120 al 123, che parlano di speranza.
Siate “lieti nella speranza (la vostra speranza), pazienti nella tribolazione, assidui nella preghiera” (cfr. Rm 12,12).
Nella gioia della speranza, la pazienza nella tribolazione e l’assiduità nella preghiera condividiamo le esperienze e la riflessione sul nostro impegno in seno alle nostre Chiese a livello patrimoniale, culturale, storico, teologico, liturgico e spirituale, in un modo distinto, un impegno che deriva dalle nostre tradizioni liturgiche, poiché siamo invitati a fare di questa varietà un mezzo per arricchire le nostre diverse società e per rafforzare l’unità della Chiesa e testimoniare la fede, la speranza e la salvezza.
In questa regione del mondo ha camminato Abramo, nostro padre nella fede, e con lui tutta la sua discendenza. È in Abramo che ogni cristiano è chiamato a rispondere all’invito di Dio ad abbandonarsi a Lui per ottenere la vita autentica.
Su questa terra Dio ha realizzato il disegno del suo amore, ha inviato il suo Figlio unigenito, Gesù Nazareno, per salvare il mondo e riunire gli uomini dispersi.
In Cristo si sono compiute tutte le promesse divine, avendo vinto la morte e confermato in noi la speranza.
È dunque dall’Oriente che si sono levate le luci del Vangelo.
Dall’Oriente si è levata la rinascita dell’evangelizzazione e della missione.
È per questa missione che abbiamo imparato a costruire le nostre chiese e i nostri conventi, le nostre case, le nostre scuole e le nostre istituzioni sugli uomini, sul sole e sul vento.
Non viviamo in grotte o in sotterranei isolati, di modo che ogni persona, quali che siano la sua religione o la sua cultura, veda chiaramente ciò che facciamo. Le nostre finestre sono grandi e fatte di vetro trasparente e “la luce splende nelle tenebre” (Gv 1, 5).
La nostra testimonianza e la nostra comunione si compiono attraverso questo compito in terra, dove la Provvidenza divina ha voluto che vivessimo e che realizzassimo la nostra vocazione, la nostra fede e la nostra missione.
Questa regione è soggetta ai pericoli più forti e più grandi. Oscilla quindi tra la guerra e la pace e anche in essa stessa si può cercare una nuova forma di relazioni internazionali, più rispettosa dei diritti dell’uomo, dei popoli e della loro libertà.
La convivenza vince su tutte le divergenze per incontrarsi gli uni con gli altri, con i musulmani e perfino con gli ebrei.
Talvolta ci sentiamo minacciati dalla paura, dalla disperazione e dalla persecuzione e dimentichiamo che la nostra presenza cristiana è legata alla dimensione della nostra fede e alla profondità della stessa. La sfida fondamentale per noi è quella di realizzarci nella vita come testimoni del Redemptoris hominis, attraverso le nostre parole e le nostre opere dinanzi ai nostri
fratelli non cristiani.Così ci domandiamo: che senso ha questo Oriente se noi ne siamo assenti? Il mio intervento è un messaggio di speranza rivolto ai cristiani affinché vedano nell’Oriente la fonte della speranza di Cristo che vi è nato, vi è stato crocifisso e vi è risorto.
L’arma del cristianesimo non viene costruita nelle fabbriche e non nasce dalla terra per assumere una forma, una dimensione o un colore qualunque.
L’arma del cristianesimo è la carità. Consiste nel costruire ponti tra l’uomo e il suo fratello uomo affinché non vi siano né vicino né lontano. E se l’uomo riesce a scoprire quest’arma, scopre se stesso e conosce la sua posizione. E quando conosce, ama; e quando ama, dona; e quando dona, si rassicura; e quando si rassicura, si stabilizza, è esente da ogni vizio e da ogni difetto.
La nostra speranza è quella di vivere in pace. Tendiamo quindi la mano ai musulmani e agli ebrei con speranza cristiana e con una vita nuova. Diciamo agli ebrei: cessate di uccidere gli innocenti e non dimenticate quello che dice il Talmud: in ogni uomo vedo Dio.
Tendiamo la mano ai nostri fratelli musulmani nella speranza di una coabitazione che permetta di costruire una sola nazione, una sola società guidata dalla carità, dalla fratellanza, dalla comprensione e dal dialogo.
La Chiesa annuncia la carità e combatte l’iniquità e il fanatismo. Diffonde l’educazione e non lavora per se stessa, ma piuttosto per la Gloria di Dio, il Supremo, e conferma la speranza.
Auspichiamo di poter arrivare a realizzare, grazie a questo sinodo, il desiderio di non arrestare il lavoro a favore della speranza cercata, e questo malgrado le prove e le difficoltà che ci circondano, perché la testimonianza e la comunione maturano solo nelle calamità e nelle vicissitudini il cui frutto è la carità.

[Testo originale: arabo]

– S. E. R. Mons. Yasser AYYASH, Arcivescovo di Petra e Filadelfia in Arabia dei Greco-Melkiti (GIORDANIA)

Anzitutto rivolgiamo i nostri più sinceri ringraziamenti a Sua Santità Papa Benedetto XVI che ci ha riuniti in questo Sinodo speciale sulla Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza. Un sinodo che si presenta come una benedizione particolare per la Chiesa cattolica e per i cristiani in Medio Oriente. Un sinodo nel quale i Padri della Chiesa si riuniscono per studiare, pregare e realizzare le aspirazioni dei fedeli.
Con il mio intervento vorrei indirizzare la vostra attenzione verso le questioni pertinenti al tema della Chiesa cattolica e ai cristiani in generale in Giordania. Malgrado la congiuntura attuale nei Paesi del Medio Oriente, specialmente in Palestina, la Giordania, sotto la guida di Sua Maestà Re Abdallah II Bin Al Hussein, gode della pace, della serenità, della stabilità e della moderazione. Queste realtà ci aiutano a dare veramente testimonianza di Cristo. In Giordania ricordiamo le due visite storiche di Papa Giovanni Paolo II e di Papa Benedetto XVI, e l’accoglienza calorosa loro riservata in Giordania e nelle terre sante. Ringraziamo Papa Benedetto XVI per la sua carità e per l’attenzione particolare verso la Chiesa in Medio Oriente, che invitano i fedeli a testimoniare ancora di più la loro fede nei loro paesi, e a persistere nelle terre sante, terre d’amore e di pace.
La nostra testimonianza cristiana si esprime attraverso:
1. Le scuole, gli ospedali e le associazioni che forniscono il proprio servizio nella carità, senza discriminazione alcuna e da pari a pari, ai cristiani e ai musulmani, in ambito educativo, etico e scientifico.
2. Celebriamo le nostre preghiere e i nostri riti completi nelle nostre chiese e parrocchie senza nessuna difficoltà. Inoltre, nel rispetto della legge, possiamo acquistare e costruire chiese, scuole e altri edifici.
3. Da quarant’anni i cristiani celebrano la Pasqua secondo il calendario orientale e il Natale secondo il calendario occidentale, tutti insieme, cattolici e non cattolici.
4. La catechesi viene impartita nelle scuole cristiane e in alcune scuole private, ma non nelle scuole ufficiale sebbene siano stati fatti diversi tentativi in tal senso. Esiste più di un curriculum scolastico. Sarebbe auspicabile un programma unificato per i fedeli della Chiesa cattolica e preferibilmente per tutti i cristiani.
5. I cristiani partecipano attivamente alla vita concreta nei diversi ambiti. Il loro ruolo è efficace, forte e ben riconosciuto.
6. L’emigrazione continua a essere un grave problema con ripercussioni sia negative sia positive. L’immigrazione è sia interna, sia orientata verso i paesi della diaspora, senza dimenticare gli immigrati che arrivano in Giordania per lavoro o a causa delle guerre ricorrenti. La Chiesa locale ha svolto il ministero pastorale e umanitario secondo le proprie possibilità. I motivi dell’emigrazione sono diversi: politici, di sicurezza, economici, la ricerca di un futuro migliore… È invece raro sentir citare come motivo la “persecuzione religiosa”.
7. Non esiste un dialogo islamico-cristiano ufficiale a livello nazionale. A tale effetto si celebra regolarmente un incontro tra la Giordania e la Santa Sede. Speriamo che il Consiglio delle Chiese in Medio Oriente possa superare la difficile prova che deve affrontare, al servizio della testimonianza e dell’unità cristiana.
8. Esistono diversi casi di apostasia per la religione islamica. I motivi sono diversi e in nessun caso legati alla fede. Sono rari i casi di apostasia per la religione cristiana.
9. Più cooperazione reciproca, unificazione degli sforzi comuni e carità autentica ci daranno il coraggio e la forza perché la nostra testimonianza dia frutto, renda gloria a Dio e radichi il cristiano nella su terra e nella sua fede. Grazie.

[Testo originale: arabo]

– S. E. R. Mons. Mansour HOBEIKA, Vescovo di Zahleh dei Maroniti (LIBANO)

Vorrei incentrare il mio intervento su alcune questioni puramente pratiche, in vista delle soluzioni pratiche auspicate dai nostri fedeli.
– Da quando i cristiani, volenti o nolenti, emigrano in massa dal Vicino Oriente, il loro problema non è più costituito semplicemente dall’esercizio di alcuni diritti, ma dal poter godere del diritto di vivere nella loro terra natale. L’obiettivo del sinodo dovrebbe essere in primo luogo quello di aiutarli a conservare tale diritto. Bisognerà intercedere in loro favore presso le grandi potenze nel nome del diritto dell’uomo, presso i paesi nei quali vivono nel nome dell’Islam.
– I nostri giovani sono coloro che sono più spesso costretti a recarsi all’estero per guadagnarsi da vivere. La Chiesa in Libano, che già tanto ha fatto, deve mobilitarsi ancora per alleviare, per quanto possibile, la gravità di questa crisi. La soluzione sarebbe quella di dare ai giovani dei pezzi di terreno in enfiteusi per 99 anni. Su questi terreni così lottizzati, i giovani potrebbero far costruire case, fabbriche o qualunque altro progetto commerciale.
– Il Libano viene considerato la scuola del Medio Oriente, l’università del Medio Oriente e l’ospedale del Medio Oriente. Questo settore privato gestito in maggioranza dalla Chiesa, ha costi sempre molto elevati.
La Chiesa, particolarmente interessata a incoraggiare le nascite, potrebbe impegnarsi con le sue istituzioni ad alleggerire le tasse scolastiche per il terzo e quarto figlio della stesa famiglia, creando a tal fine un fondo assistenziale; o ancora chiedendo con maggiore insistenza allo stato di inserire nel bilancio ufficiale per intero o in parte i costi dell’insegnamento privato.
D’altra parte, per quanto riguarda gli ospedali, occorre trovare per le famiglie delle polizze assicurative a un costo rivisto verso il basso presso compagnie assicurative omologate o direttamente gestite dalla Chiesa.
– Riguardo alle opportunità di lavoro per i giovani, condizione sine qua non per trattenerli in Libano, sarebbe indispensabile mobilitare la diaspora cristiana di origine libanese
in tutto il mondo, incoraggiandola a investire in Libano per creare posti di lavoro.
– Alcune scelte politiche sbagliate hanno causato ondate d’immigrazione che avrebbero potuto essere evitate. Affinché questi errori non si ripetano, le autorità ecclesiastiche potrebbero svolgere insieme un ruolo di maggior rilievo per impedire simili prese di posizione indebitamente rischiose.
Queste misure, per quanto modeste, contribuiranno di certo a rafforzare la presenza cristiana in Libano e altrove, ad aumentare la resistenza delle famiglie nelle congiunture economiche difficili e a incoraggiare i giovani a sposarsi e a fondare una famiglia.

[Testo originale: francese]

– Corep. Yusuf SAĞ, Esarca Patriarcale di Antiochia dei Siri (TURCHIA)

Mi onora, in qualità di vicario generale della confessione dei siro-cattolici in Turchia, presentarvi la realtà della situazione della nostra Chiesa e dei figli della nostra confessione, che comprender circa oltre 1.500 persone nella città di Istanbul, che raggruppa i suoi figli provenienti dalla città di Mardin, già sede patriarcale, fino alla fine della prima guerra mondiale, e da Diarbakar, da Edessa e da Escandarun e dalle montagne di Tur Abdin e da Antiochia.
A questo numero si aggiungono non meno di trecento persone sparse in diverse regioni venute qui dall’Irak, dai tempi della guerra Iraq-Iran del 1980. Fino ad oggi arrivano e partono verso i paesi della diaspora. Ed essendo i nostri figli dei nuovi arrivati nella città di Istanbul, alla ricerca del benessere e della sicurezza, siamo riusciti ad avere, con l’appoggio della Chiesa latina, una chiesa e una sede nel convento dei Gesuiti, dopo essere arrivati, con lo stato turco, ad averla per un periodo di 99 anni. In questo modo possiamo portare avanti tutti i nostri doveri religiosi e pastorali verso i nostri figli, attraverso le attività nel centro di catechesi, le diverse confraternite e la commissione pastorale caritativa che si prende cura dei bisognosi e soprattutto degli sfollati irakeni.
Inoltre, continuiamo a prenderci cura delle nostre chiese e a curare i loro beni a Mardin, già sede patriarcale, anche se con estrema difficoltà perché possiamo disporre delle sue entrate solo per le necessità di ristrutturazione e riparazione e questo non aiuta, a causa dell’esiguità di queste entrate e del fatto che rimangono imprigionate nelle casse dello stato.
Ultimamente abbiamo recuperato la chiesa della città di Escandarun, e l’ha inaugurata il nostro
patriarca dopo il martirio del vescovo della città Padovese.
Cooperiamo, per il bene di tutti, nella città di Istanbul con tutte le confessioni cattoliche di latini, armeni cattolici, caldei, seguendo le indicazioni della Conferenza Episcopale Cattolica nella quale ricopro l’incarico di Presidente della Commissione del Dialogo Interreligioso ed ecumenico. E la nostra relazione con il patriarcato di Fanar e la confessione degli armeni ortodossi e dei siri ortodossi. È questo che ha portato il patriarca ecumenico Bartolomeo a insignirmi della croce del Buon Pastore quale segno di apprezzamento e di incoraggiamento per la nostra fruttuosa cooperazione.
Chiediamo le vostre preghiere per la stabilità della nostra missione e per il suo progresso.

[Testo originale: arabo]

– S. E. R. Mons. Angelo AMATO, S.D.B., Arcivescovo titolare di Sila, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi (CITTÀ DEL VATICANO)

Gesù ha invitato tutti e ciascuno dei suoi discepoli alla santità della vita: “Siate perfetti, come è perfetto il vostro Padre celeste” (Mt 5,48). L’apostolo Paolo sollecitava i cristiani a essere, in Cristo, “santi e immacolati nella carità” (cf. Ef 1,4). Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha richiamato la vocazione universale dei fedeli alla santità: “Nella Chiesa, tutti sono chiamati alla santità, sia coloro che appartengono alla gerarchia, come coloro che dalla gerarchia sono diretti, secondo il detto dell’ apostolo: “Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione (1Ts 4,3)” (LG 39). La santità dei fedeli è il dono dello Spirito Santo, carità divina trinitaria, alla Chiesa, una, santa, cattolica, apostolica. Fin dall’inizio del cristianesimo i santi, confessori e martiri, sono stati numerosi nelle Chiese orientali. Nell’ultimo anno, le ultime due beatificazioni in Medio Oriente sono avvenute rispettivamente a Nazareth e a Kfifan in Libano. A Nazareth, il 21 novembre 2009, è stata beatificata Suor Marie-Alphonsine Danil Ghattas, nativa di Gerusalemme e fondatrice della Congregazione, interamente araba, delle Suore del Rosario, apostolicamente attive in molti paesi del Medio Oriente. A Kfifan, a nord di Beirut, c’è stata, il 27 giugno scorso, la beatificazione di Fra Estefan Nehme, religioso professo dell’Ordine Libanese Maronita. I fedeli che hanno partecipato alla beatificazione di Fra Estefan sono stati più di centomila.
Oltre che testimoni della fede e della comunione nella Chiesa, i beati e i santi hanno una triplice funzione. Anzitutto sono gli autori di un’autentica inculturazione del Vangelo: con la loro esistenza, essi mostrano che è possibile essere perfetti discepoli di Cristo nella loro terra e nella loro cultura. In secondo luogo, essi sono i testimoni di un dialogo interreligioso vincente: infatti, la loro vita è caratterizzata dall’esercizio eroico della carità, la vera lingua universale dell’umanità, compresa e apprezzata da tutti, anche dai non cristiani. In terzo luogo, essi sono credibili missionari del Vangelo di Gesù Cristo, che essi vivono in armonia tra parola e azione.

[Testo originale: italiano]

– Rev. Mons. Mikaël MOURADIAN, Vicario Patriarcale per l’Istituto del Clero Patriarcale di Bzommar (LIBANO)

È vero che il Medio Oriente è la Terra Santa e terra di santi, come dimostrano le canonizzazioni e beatificazioni che hanno avuto luogo in questi ultimi anni: Mar Charbel, Naamat Allah al Hardini, Rafka, Abouna Yaacoub, Ignace Maloyan, Al Akh Stephan… Questo, però, non deve
renderci ciechi davanti alla verità, che in Medio Oriente si vive anche una crisi di vocazioni.
La prova più eloquente di ciò è una statistica fatta nel corso di una sessione di formazione per religiosi, alla quale hanno partecipato 129 religiosi e religiose. Essi hanno risposto alla seguente domanda: quali sono le cause della caduta delle vocazioni religiose, le sue conseguenze a breve, medio e lungo termine, e le soluzioni immaginabili? Ecco la sintesi delle risposte:
1. cause principali: la caduta della natalità tra le famiglie cristiane; i problemi materiali e morali che la famiglia deve affrontare; la crisi dei valori; la difficoltà di prendersi un impegno a lungo termine; l’emancipazione femminile; la crisi della fede; la contro-testimonianza da parte dei consacrati.
2. Soluzioni immaginabili: sostenere la famiglia; educare ai veri valori; che i consacrati testimonino con sincerità la loro fedeltà a Cristo e alla loro consacrazione…; assicurare un buon discernimento delle vocazioni; dare la priorità alla qualità sulla quantità; vegliare su una buona direzione spirituale delle vocazioni; offrire una formazione iniziale e permanente adeguata.
Analizzando le risposte, si osserva che questi 129 religiosi e religiose, sia a proposito della caduta delle vocazioni che delle soluzioni immaginabili, hanno dato il primo posto alla famiglia, perché la famiglia è il nucleo della società. È in famiglia che la persona riceve la sua prima educazione umana e religiosa. È nelle famiglie credenti e praticanti che nascono anche le vocazioni.
“Consapevole che il matrimonio e la famiglia costituiscono uno dei beni più preziosi dell’umanità, la Chiesa vuole far giungere la sua voce ed offrire il suo aiuto a chi, già conoscendo il valore del matrimonio e della famiglia, cerca di viverlo fedelmente, a chi, incerto ed ansioso, è alla ricerca della verità ed a chi è ingiustamente impedito di vivere liberamen
te il proprio progetto familiare…” (Familiaris Consortio n.1).
Chi dice ‘pastorale delle vocazioni’ dice anche ‘pastorale della famiglia’. Ritengo che l’Instrumentum laboris non abbia dato alla famiglia il posto che merita e perciò suggerisco che se ne tenga conto nel ‘Messaggio’.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Joseph SOUEIF, Arcivescovo di Cipro dei Maroniti (CIPRO)

Il Sinodo per il Medio Oriente è uno spazio per rinnovare dentro la Chiesa l’esperienza della comunione e della testimonianza “affinché il mondo creda” (Gv 17: 21). La comunione, infatti, è il punto di partenza dell’esistenza della comunità dei fedeli; essa si rafforza e si sviluppa nell’incontro personale con il Signore Gesù, nella sua Parola e nell’eucaristico; da qui alla testimonianza di vita, nella collaborazione, scelta strategica oggi. Con sincerità, umiltà responsabilità e amore vogliamo leggere gli elementi negativi che impediscono la comunione; l’ecumenismo sarà la metodologia pastorale di prima importanza; e con l’amore di Cristo si va al dialogo di vita e si rispetta il dialogo teologico che è l’opera dello Spirito.
Bisogna credere alla forza della presenza nel Medio Oriente; presenza qualitativa, dinamica, missionaria e diaconale, che fu sempre così e rimarrà sempre così in Oriente e in Occidente. Bisogna credere che solo Dio è il Signore della storia e dei tempi; siamo attenti al suo piano.
Esistono delle sfide: situazione politica, conflitti, problematica di libertà religiosa e libertà della coscienza; la Chiesa è un garante della libertà; perciò la sua presenza è un guadagno non solo per i cristiani stessi, ma per tutti, in particolare per quelli che credono ai valori umani e spirituali, e che s’incontrano direttamente o indirettamente con l’atteggiamento della Chiesa. Quindi la presenza dei cristiani è veramente un segno e deve essere appoggiata al livello della Chiesa universale e della comunità internazionale, per affrontare con la maggioranza popolare, i sistemi socio-religiosi che vanno contro i valori umani, i valori della libertà, i valori del dialogo e dell’incontro tra le diverse culture. Si vive oggi un vero conflitto di culture, conflitto di mentalità, conflitto di approccio e di visione, anche dentro la religione stessa e dove il cristianesimo ha tanto da dire e da fare, anche da offrire una risposta; prendiamo iniziative insieme per elaborare progetti educativi, sociali che aiutano a cambiare mentalità, a educare ad accettare le differenze, i diritti dell’uomo. La zona aspetta dai cristiani un contributo evidente per costruire la cultura del perdono e della pace. La nostra assenza è una perdita per noi e per tutti quanti; l’emigrazione deve essere espansione missionaria, portando la spiritualità dell’Oriente, tramite la liturgia che ha delle dimensioni molto forti nella vita dei fedeli; e tramite vari atteggiamenti religiosi e umani che fanno delle nostre famiglie lievito e sale dentro le grandi società secolarizzate. L’immigrazione dei cristiani nella zona è un segno profetico di una testimonianza di cui nessuno di noi sa quali saranno i frutti. La storia ci insegna che le prime comunità cristiane siriache sono arrivate in India e in Cina dentro le condizioni sociali e umane e hanno portato la fede. Chiediamo ai nostri fratelli, di rafforzare l’atto di solidarietà e a noi stessi di fare progetti pastorali, spirituali e sociali che manifestano la comunione e restaurano la fiducia nel nostro popolo.
L’esperienza di Cipro, della mia diocesi, mostra che le religioni possono vivere insieme nonostante le ferite; noi maroniti da 1200 anni viviamo nell’isola e la nostra storia richiama santi e martiri; con i nostri compaesani cerchiamo la pace nella giustizia e l’amore fondato sulla verità e la libertà. Vogliamo che tutte le chiese e le moschee si aprano davanti a tutti e che siano uno spazio d’incontro e di perdono, un luogo di purificazione delle memorie. Noi maroniti vogliamo ritornare ai nostri villaggi, nonostante le difficoltà. Vogliamo testimoniare nell’isola che fa da ponte tra Oriente e Occidente i valori del dialogo, la convivenza, per costruire la cultura della pace e dell’amore.

[Testo originale: italiano]

– S. E. R. Mons. Cyril VASIL’, S.I., Arcivescovo titolare di Tolemaide di Libia, Segretario della Congregazione per le Chiese Orientali (CITTÀ DEL VATICANO)

In accordo con il cardinale Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali Sua Eminenza Leonardo Sandri, vorrei presentare in questa assemblea qualche considerazione riguardante alcuni aspetti della vita delle Chiese in Medio Oriente da quell’osservatorio particolare che è la nostra Congregazione. Il Santo Padre Benedetto XVI nella Sua storica visita per il 90° della fondazione alla sede della Congregazione, il 9 giugno 2007, ha indicato alcuni temi da privilegiare per la loro importanza e urgenza: sinodalità, formazione, migrazioni ed ecumenismo.
La sinodalità, riguarda in modo particolare il meccanismo della scelta dei candidati all’episcopato. Le verifiche sull’idoneità dei candidati dovrebbero essere svolte dai vescovi e dal Sinodo in maniera molto più appropriata di come talvolta avviene al presente, proprio per facilitare e accelerare il processo di concessione dell’assenso Pontificio.
La formazione
In primo luogo si deve valutare costantemente lo stato attuale delle istituzioni formative e accademiche, il livello di formazione culturale e spirituale che esse offrono. Le difficoltà che riscontrano gli studenti negli studi superiori fuori dal contesto orientale, per esempio a Roma, non sono trascurabili ed è inutile nasconderli. C’è da chiedersi se non sarebbe finalmente giunto il momento di aprire un primo ciclo di studi teologici orientali qui a Roma, in una Facoltà teologica orientale?
Il fenomeno delle migrazioni
La nostra Congregazione si adopera nell’organizzazione delle circoscrizioni ecclesiastiche orientali fuori dai territori tradizionali. Per quanto riguarda i fedeli che si trasferiscono fuori dal Medio Oriente, talvolta viene reclamata l’estensione “planetaria” della giurisdizione dei patriarchi – come se ciò fosse un diritto e una soluzione universale ai problemi dalla pastorale dei migranti. Va ricordato che fra il preteso diritto universale e la richiesta circostanziata e motivata c’è una grande differenza.
L’ecumenismo
Il Concilio Vaticano II ricorda agli orientali la specifica missione loro affidata […] di promuovere l’unità di tutti i cristiani, specialmente orientali … con … la scrupolosa fedeltà alle antiche tradizioni orientali.
Per non fermarsi tuttavia alle questioni più semplici e visibili, come la foggia dell’abito clericale, dovremmo verificare la conoscenza approfondita e l’osservanza degli elementi più teologici e pastorali. Quale è la situazione nelle nostre chiese nell’amministrazione congiunta di tutti e tre i sacramenti dell’iniziazione cristiana, della comunione eucaristica ai bambini, del battesimo per immersione – per elencare solo alcuni aspetti richiesti dall’attuale normativa canonica e dalla citata Istruzione della Congregazione per le Chiese orientali per l’applicazione delle prescrizioni liturgiche del CCEO?

[Testo originale: italiano]

– S. E. R. Mons. Joseph ABSI, S.M.S.P., Arcivescovo titolare di Tarso dei Greco-Melkiti, Vescovo Ausiliare e Protosincello di Damasco dei Greco-Melkiti (SIRIA)

Dalla istituzione delle Conferenze episcopali dei paesi del Medio Oriente e dalla creazione del Consiglio dei patriarchi cattolici del Medio Oriente constatiamo che l’intesa, l’aiuto reciproco e la cooperazione tra le Chiese orientali cattoliche sono cresciuti.
Nonostante ciò, le nostre Chiese hanno ancora bisogno di aprirsi le une alle altre.
La concorrenza tra le Chiese orientali cattoliche o all’interno di una stessa Chiesa è fonte di indebolimento e di una testimonianza falsa. Pensiamo soprattutto al
lo sdoppiamento delle istituzioni e delle azioni.
Al fine di rafforzare la loro comunione e la loro testimonianza, le nostre Chiese sono invitate a riflettere sulle seguenti strategie:
– adottare a tutti i livelli una educazione che possa favorire l’apertura, la solidarietà e l’azione comune;
– rendere consapevoli i cristiani d’Oriente che sono tutti sulla stessa barca e che affrontano la stessa sorte. Non possono disinteressarsi gli uni degli altri. Sono necessari l’incontro e l’intesa reciproci;
– a tal fine, è bene che le Conferenze episcopali dei diversi paesi periodicamente si riuniscano tutte insieme;
– permettere ed estendere il biritualismo, di modo che non vi sia più parrocchia senza servizio, qualunque sia la Chiesa alla quale essa appartiene.
Osserviamo che coloro che hanno redatto il testo utilizzano quasi sempre espressioni imperative come “è necessario”, “è essenziale”, “è evidente”, “è importante”, “è certo”, “occorre”, “si deve”. Vorremmo che alla fine del sinodo tutto ciò che è necessario, essenziale, evidente, importante, certo e obbligatorio fosse trasformato in azione. Non andiamo via dal sinodo senza aver preso misure che consentano di realizzare questi imperativi! Convertiamo gli imperativi in strategie chiare e definite e formiamo commissioni per perseguire gli obiettivi attraverso tattiche adeguate!

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Georges BAKAR, Arcivescovo titolare di Pelusio dei Greco-Melkiti, Vescovo Ausiliare e Protosincello di Antiochia dei Greco-Melkiti per l’Egitto e il Sudan (REPUBBLICA ARABA DI EGITTO)

L’educazione basata sulla libertà è una questione fondamentale per raggiungere la coesistenza armoniosa in una società composta da una pluralità di religioni.
Questa vita comune degli individui e delle comunità richiede saggezza e perseveranza.
Essa non sarà mai una realtà finché ogni essere umano, che gode della propria libertà, non rispetterà la libertà altrui. Dobbiamo accettare il fatto che la nostra libertà e quella del nostro prossimo camminano di pari passo.
La formazione delle generazioni future dunque deve essere incentrata sul rispetto dei diversi credo e delle fedi degli altri, senza dimenticare le giuste esigenze della loro coscienza. Questo è essenziale perché il dialogo sia costruttivo e il lavoro efficiente. Il nostro sforzo sarà quindi comunitario, operando insieme in tutto ciò che ci unisce, principi morali e valori umani.
A livello di principi e di valori umani che ci sono comuni, ricordiamo, tra gli altri, l’importanza di sentirsi responsabili gli uni degli altri. Insisteremo sulla qualità di questa responsabilità individuale e comunitaria, in vista dell’autentica realizzazione della famiglia umana.
A partire da ciò, ammettiamo la necessità di un nuovo discorso religioso ed umano come pure di un nuovo discorso sull’insegnamento nelle nostre istituzioni educative, richiamando allora all’apertura verso il prossimo.
Tutte le religioni operano per la realizzazione dell’uomo; il loro scopo è di guidare sulla retta via della virtù e dei nobili principi etici.
Nella nostra vita cristiana una sola raccomandazione regola i nostri rapporti: quella dell’amore reciproco. Noi abbiamo ricevuto dal Signore il suo comandamento nuovo: “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34).
Da noi, lavoriamo per formare le nuove generazioni per mezzo delle nostre scuole cattoliche, che raggiungono il numero significativo di 168 scuole, sparse in tutto l’Egitto, a evidenza del fatto che queste istituzioni educative sono aperte sia ai cristiani che ai musulmani. Queste scuole lavorano nella consapevolezza che sia il cristianesimo che l’islam danno equilibrio all’uomo nella sua fede e nel suo rapporto con Dio, nella misura in cui ciascuno è aperto all’altro.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Simon ATALLAH, O.A.M., Vescovo di Baalbek – Deir El-Ahmar dei Maroniti (LIBANO)

La questione dell’unità dei cristiani, questo testamento di Nostro Signore Gesù Cristo, si è molto sviluppata nel corso dei secoli. In effetti, l’unità della Chiesa ha conosciuto molteplici crisi, alcune dottrinali, altre ecclesiologiche, con interferenze politiche e considerazioni umane.
Il ventesimo secolo, per contro e fortunatamente, è stato quello dell’ecumenismo per eccellenza. In effetti, i grandi Pastori della Chiesa, Papa Giovanni XXIII e il Patriarca Atenagora, si sono incontrati e gli ostacoli sono stati abbattuti. I gesti d’amore, di pace e di fratellanza hanno cancellato tutto l’odio dei secoli passati. Le scomuniche sono state tolte da una parte e dall’altra. Il Concilio Vaticano II e i movimenti come l’opera di Maria per l’unità dei cristiani, detto dei Focolari, e altri ancora hanno avuto un ruolo decisivo nell’evoluzione positiva dell’impegno per l’unità voluta dal Signore.
Il ventunesimo secolo, inaugurato solennemente da Giovanni Paolo II nell’anno 2000 con la celebrazione del Giubileo della Redenzione del genere umano, continuerà le felici esperienze ecumeniche del ventesimo secolo o ritornerà nei labirinti bui del diciannovesimo secolo o, ancor prima, dell’undicesimo e sedicesimo secolo?
La preghiera per l’unità dei cristiani dovrebbe rispecchiare una mentalità e una visione. Queste a loro volta dovrebbero generare azioni ecumeniche concrete come:
1. Il ritorno alle esigenze della nostra vocazione, che ci permetterà di liberarci da ogni complesso di sentimenti di essere minoranza e, di conseguenza, di paura. In effetti, per la nostra vocazione non possiamo cedere alla tentazione dei sentimenti di essere minoranza. Lui ci ha detto: siete il lievito nella pasta. In questa prospettiva noi cristiani, con Cristo, siamo maggioranza.
2. L’impegno a dare una formazione di cultura ecumenica a tutti i nostri fedeli, soprattutto ai nostri giovani, nelle parrocchie, nei noviziati degli istituti di vita monastica, nelle facoltà e nei Centri di formazione cristiana, ecc.
Conclusione: questa educazione all’ecumenismo spalanca la porta al dialogo interreligioso, due progetti la cui realizzazione costruirebbe la pace tra i popoli.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Jacques ISHAQ, Arcivescovo titolare di Nisibi dei Caldei, Vescovo di Curia di Babilonia dei Caldei (IRAQ)

L’obiettivo delle istituzioni culturali e delle università cattoliche è la formazione dei testimoni di Gesù Cristo, cosa che fanno in maniera ammirevole in Medio Oriente decine di facoltà di Teologia, seminari e istituzioni di Scienze religiose di catechesi.
Come esempio vi porto la Facoltà di Teologia e di Filosofia “Babel College” che è l’unica facoltà di Teologia e di Filosofia affiliata all’Università Urbaniana in Iraq, che comprende la facoltà di Teologia e Filosofia e due istituzioni di Scienze religiose per preparare i catechisti.
Questa facoltà è frequentata da seminaristi di tutte le Chiese in Iraq, per esempio la Chiesa caldea, siro-cattolica ed ortodossa, la Chiesa assira d’Oriente, la Chiesa armena cattolica ed ortodossa, novizi di diverse congregazioni religiose: caldei, siriaci, redentoristi, dominicani, carmelitani, ecc.I frutti del Babel College per le Chiese in Iraq negli anni 1991-2010 sono i seguenti:
– 391 studenti hanno conseguito il diploma in Teologia e Filosofia; di essi 126 hanno conseguito il baccalaureato in Teologia dell’Università Urbaniana di Roma;
– 344 studenti, che hanno frequentato i corsi per tre anni, hanno conseguito il diploma in Scienze religiose. Così il Babel College ha dato 735 operai per lavorare nella vigna del Signore in Iraq, alcuni fuori dall’Iraq.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Jean-Clément JEANBART, Arcivescovo di Alep dei Greco-Melkiti (SIRIA)

L’emigrazione è un fenomeno universale che ha ragioni e c
onseguenze diverse in ogni società.
Gli straordinari mezzi di comunicazione fanno sì che gli uomini s’incontrino sempre più nelle loro idee e permettono il diffondersi di una cultura della libertà d’espressione, che attualmente si sta facendo largo nelle società più modernizzate, per svilupparvi una cultura della libertà delle scelte personali, di accettazione dell’altro nella sua differenza e del pluralismo.
Dal punto di vista pratico, propongo di agire lungo le sei linee seguenti:
1) diffondere l’ottimismo tra i fedeli per quanto riguarda il loro futuro nei loro paesi. I nostri paesi non sono sprovvisti di beni e di valori;
2) imparare a vivere in amicizia con i nostri fratelli musulmani e aiutarli ad aprirsi nei nostri confronti attraverso un dialogo ben articolato e diversificato, utilizzando tutti i mezzi a disposizione;
3) impegnarsi nella vita pubblica, politica, culturale e sociale dei nostri paesi, il che ci permetterà di aiutare i nostri fedeli a ristabilire l’attaccamento al loro paese e ai loro concittadini;
4) offrire ai nostri giovani, con i nostri discorsi, il minimo indispensabile per consentire loro di vivere in modo decoroso e di radicarsi nei loro paesi fondando una famiglia;
5) bisognerebbe accettare di mettere i beni di cui disponiamo al loro servizio; è inoltre necessario unire i nostri sforzi con le diverse comunità locali e impegnarci per trovare i fondi necessari a tal fine laddove è possibile trovarli;
6) sarebbe utile istituire un centro di studi e di ricerca a tal fine e lavorare per approfondire le nostre riflessioni sulla questione in vista di tracciare il cammino da seguire e individuare le strategie utili e produttive che permettano di affrontare il flagello dell’emigrazione e di attenuare i mali che ne conseguono.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Michel ABRASS, B.A., Arcivescovo titolare di Mira dei Greco-Melkiti, Vescovo di Curia del Patriarcato di Antiochia dei Greco-Melkiti (SIRIA)

Quanto ai nostri problemi in Libano, sono anche molteplici e complessi. Mettendo da parte i problemi politici, ci accontenteremo di evidenziare tre problemi, e cioè la formazione dei seminaristi, i tribunali ecclesiastici e la laicità positiva.
Per quanto riguarda la formazione dei seminaristi, c’è in primo luogo il problema della scelta; inutile tergiversare, la maggior parte attualmente sceglie la “carriera” ecclesiastica e non la vocazione, e questo per raggiungere una posizione sociale eminente o per considerazioni economiche.
I tribunali confessionali sono di due specie differenti; alcuni sono tribunali di Stato, mentre gli altri sono una emanazione del potere di ciascuna delle comunità che ne designano i membri.
Al momento dell’applicazione della teoria della personalità delle leggi, furono i tribunali sunniti ad applicare la “Shari’a” d’Abou Hanifa, costituendo il “Corpus juris” dell’Impero ottomano, al quale si aggiunsero altre leggi votate dal Parlamento o promulgate da “Irada Sannia”, sia con rescritto che con editto imperiale. Questo primo fenomeno si è sviluppato in seguito, soprattutto dopo l’Editto di Gülkhané, promulgato nel 1836. È di questo “Diritto” che i tribunali ecclesiastici si facevano “zelanti applicatori”.
I problemi della scelta del “regime” applicabile al Libano si pongono con grande forza ai laici di oggi; un grande numero di laici, infatti, si domanda cosa ne sarà della loro vita se essi si dichiarano cristiani, senza attenuare la loro posizione con una dose di laicità, in base al grado di emancipazione del loro interlocutore non cristiano, spesso, in Medio Oriente, di religione maomettana.
Questi cristiani hanno bisogno di una “certa laicità positiva”.
Dove la troveranno?
Attualmente le nostre “pecorelle laiche” rinnegano sé stesse; occorre dar loro una legittimità che solo possono dar loro gli ecclesiastici, a condizione che gliela abbia fatta acquisire il loro statuto.
Pensiamo che occorrerebbe autorizzare i cristiani che lo vogliono ad adottare uno statuto laico, senza tradire i dogmi né gli insegnamenti delle Chiese, tenendo conto del fatto che non si è in una terra solamente cristiana.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Kurt KOCH, Arcivescovo-Vescovo emerito di Basilea, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani (CITTÀ DEL VATICANO)

Comunione e testimonianza: nel titolo del Sinodo dei Vescovi sono presenti anche due concetti chiave dell’ecumenismo cristiano, a cui hanno fatto riferimento due anniversari celebrati nel corso di quest’anno.
In Scozia, ad Edimburgo, dove si è recato in visita il nostro Santo Padre, Papa Benedetto XVI, nel settembre scorso, ha avuto luogo cento anni fa la prima Conferenza Mondiale sulla Missione. Il suo scopo prioritario era quello di prendere coscienza di uno scandalo, per porvi rimedio: lo scandalo insito nel fatto che varie Chiese e Comunità cristiane si facevano concorrenza nella missione, nuocendo così alla credibilità dell’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo, soprattutto nei continenti più lontani. Da quel momento, ecumenismo e missione sono diventate sorelle gemelle, che si chiamano e si appoggiano a vicenda. Questo binomio corrisponde anche alla volontà stessa di Gesù, che ha pregato per l’unità “affinché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21). Agli occhi di Gesù, l’autentica unità ecumenica non è un fine in sé, ma si pone al servizio dell’ annuncio credibile dell’unico Vangelo di Gesù Cristo nel mondo odierno. La nostra testimonianza deve pertanto avere un diapason ecumenico, affinché la sua· melodia non sia cacofonica ma sinfonica. E questo diapason deve essere percepibile nella quotidiana, rinnovata maturazione di ciò che è essenziale, ovvero nell’unica fede, che opera nell’ amore e attraverso l’amore.
Cinquant’anni fa è stato istituito il Segretariato, oggi Pontificio Consiglio, per la promozione dell’unità dei cristiani. Esso ha tuttora il compito di servire l’obiettivo ecumenico di un ‘unità visibile nella fede, nei sacramenti e nel ministero ecclesiale. Ecco che torna in primo piano il secondo concetto chiave, ovvero la comunione, radicata nel mistero trinitario di Dio, come sottolinea Giovanni nella sua prima lettera con queste significative parole: “Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo” (1 Gv 1,3). Il punto di partenza decisivo di ogni comunione è l’incontro con Gesù Cristo come Figlio di Dio incarnato. Da questo incontro scaturisce la comunione tra gli uomini, fondata sulla comunione con il Dio Trino. La comunione ecclesiale si basa dunque sulla comunione trinitaria: la Chiesa è icona della Trinità.
Da quanto detto finora emerge il legame tra le due realtà, tra la comunione e la testimonianza: la nostra testimonianza ha come contenuto il mistero di Dio, che si è rivelato a noi nel suo Logos così come Egli è e vive in se stesso. Ma questa testimonianza può essere credibile nel mondo odierno solo se la comunione di vita e la ricerca appassionata di una più ampia comunione diventano esse stesse icone visibili del mistero divino o, come dice Paolo, “lettere di raccomandazione”: “La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini” (2 Cor 3,2). L’ecumenismo può essere dunque inteso come processo in cui la vita ecclesiale cresce verso la comunione: ciò significa che la comunione di vita nella propria Chiesa diventa testimonianza concreta e s’irradia nella più ampia comunione ecumenica.
La comunione e la testimonianza richiedono anche in questo Sinodo una declinazione ecumenica, che ci aspettiamo soprattutto dalle Chiese orientali in Medio Oriente. Esse infatti sono chiamate in particolar modo a respirare con due polmoni. Desidero pertanto concludere con
questo invito pieno di speranza: aiutate noi tutti e la Chiesa universale a respirare così, ecumenicamente!

[Testo originale: italiano]

– S. E. R. Mons. Emmanuel DABBAGHIAN, Arcivescovo di Babilonia degli Armeni (IRAQ)

Vi chiedo di considerare tutti i problemi del Medio Oriente come “segni dei tempi” voluti e permessi dal Signore. Il Signore ha detto: nessun passero cadrà senza che il Padre Celeste lo voglia e perfino i vostri capelli sono tutti contati e voi valete di più dei passeri.
San Paolo afferma che il Buon Dio fa volgere tutto a profitto di coloro che lo amano.
Ecco dunque alcuni esempi dei segni dei tempi.
1) Abbiamo ascoltato i problemi della Terra Santa, l’emigrazione, il conflitto israelo-palestinese, l’ingiustizia, il mancato rispetto dei diritti umani, ecc. Ma tutto ciò viene permesso dal Signore per ragioni più profonde. Perché la Terra Santa è un paese di pellegrinaggio ed è lì che il Signore si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi (Gv 1, 14). Il Signore vuole essere visitato, amato, consultato… E perché il pellegrinaggio è una risposta al bisogno spirituale dell’uomo, come in Vaticano; anche se non vi sono abitanti, il Vaticano è sempre popolato da pellegrini. A maggior ragione, la Terra Santa, che possiede questo santuario unico e divino, deve essere sovrappopolata di pellegrini. Propongo dunque ai reverendi Padri sinodali di chiedere a tutti i vescovi del mondo intero (orientali e occidentali), attraverso il Santo Padre, che ha l’autorità e il carisma, di farsi carico (quelli che possono) di organizzare ognuno un pellegrinaggio annuale, stabilendo una data fissa, di modo che vengano impegnati tutti i giorni dell’anno e la Terra Santa sia popolata da pellegrini che, dopo essere stati arricchiti dalla grazia del Signore, diventino a loro volta, come la “samaritana”, testimoni di Cristo. Osserviamo anche che l’affluenza dei pellegrini in Terra Santa convincerà gli abitanti emigrati a ritornare nella loro patria.
2) Resta un segno dei tempi l’emigrazione di una parte dei nostri fedeli verso l’Europa e l’America per ravvivare la loro fede.
Resta un segno dei tempi l’emigrazione di milioni di persone nel Golfo, che richiedono il nostro aiuto spirituale. E per concludere ricordiamo che il Risorto ha detto: andate e ammaestrate tutte le nazioni (sunniti, sciiti e ebrei) e popolate la vostra Chiesa.
Ringrazio il Signore perché la moltitudine dei Padri sinodali ha un solo cuore, una sola anima, e perché essendo successori degli apostoli, certamente cambieranno il mondo nonostante le molte difficoltà. Grazie.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Athanase Matti Shaba MATOKA, Arcivescovo di Babilonia dei Siri (IRAQ)

L’Iraq, paese della Mesopotamia, paese delle civiltà, dove è nato Abramo, dove si trovano Ur, Babele e Ninive, paese delle sacre scritture, paese di fede e di martiri… Dopo che nei secoli il cristianesimo vi si è diffuso malgrado la persecuzione persiana, il sangue dei martiri vi si è riversato ed è stato coperto dal flusso islamico.Oggi, dalla rivoluzione di Abd el Karim Kassem l’Iraq non cessa di vivere una situazione d’instabilità, di prove e di guerre, l’ultima delle quali è l’occupazione americana. I cristiani hanno sempre avuto la loro parte nei sacrifici e nelle prove con i martiri nelle guerre e in ogni sorta di prova.
Dal 2003 i cristiani sono vittima di una situazione cruenta che ha provocato una grande emigrazione fuori dall’Iraq. Non vi sono statistiche certe, ma gli indicatori evidenziano che la metà dei cristiani ha abbandonato l’Iraq e che senza alcun dubbio rimangono solo circa 400.000 cristiani degli 800.000 che vi vivevano. L’invasione dell’Iraq da parte dell’America e dei suoi alleati ha portato sull’Iraq in generale e sui cristiani in particolare distruzione e rovina a tutti i livelli. Sono state fatte saltare chiese; vescovi, sacerdoti e laici sono stati massacrati, molti sono stati aggrediti. Medici e uomini d’affari sono stati rapiti, altri sono stati minacciati, negozi e case sono stati saccheggiati…
Forse la forza con la quale il cristianesimo è stato preso di mira si è un po’ attenuata nel corso degli ultimi due anni, ma restano ancora la paura dell’ignoto, l’insicurezza e l’instabilità e prosegue l’emigrazione, che suscita sempre questa domanda: qual è il futuro dell’esistenza cristiana in questo paese se perdura questa situazione, tanto più che l’autorità civile è debole? Le lacerazioni sono continue tra le diverse componenti religiose e politiche, e ad esse si aggiungono le influenze esterne da parte delle potenze esterne e soprattutto dei paesi vicini.
Sono passati sette anni in Iraq è il cristianesimo vive un’emorragia continua. Dov’è la coscienza mondiale? Tutti rimangono a fare da spettatori dinnanzi a ciò che accade in Iraq, soprattutto nei confronti dei cristiani.
Vogliamo suonare un campanello d’allarme. Poniamo la domanda alla grandi potenze: che cosa c’è di vero in ciò che si dice riguardo ad un piano per svuotare il Medio Oriente dai Cristiani e del fatto che l’Iraq ne sarebbe una vittima?
Ritengo che il sinodo debba studiare con attenzione questo argomento e debba valutare ciò che può essere deciso per iscritto al fine di porre rimedio alla situazione che regna in Medio Oriente.

[Testo originale: arabo]

– S. E. R. Mons. Denys Antoine CHAHDA, Arcivescovo di Alep dei Siri (SIRIA)

La società nella quale viviamo in questo secolo della globalizzazione totale è una società per la maggior parte materialista, che ignora Dio e tutto ciò che è spirituale, convincendo gli uomini che possono trovare la felicità nel denaro, nel potere e nei piaceri di ogni genere.
La Chiesa universale in tutte le sue componenti – e quindi le Chiese in Medio Oriente – e toccata da questo spirito del mondo. Ha perduto un po’ del suo potere di attrarre gli uomini. È per questo che chiedo ai Padri sinodali d’insistere anzitutto sullo spirito di rinnovamento di tutti i battezzati:
1. Il rinnovamento della Chiesa e delle nostre Chiese nello Spirito
Un ritorno al Signore di tutti i battezzati attraverso il distacco dallo spirito del mondo e lo zelo nell’annuncio della Buona Novella nell’amore e nel rispetto di coloro che non condividono la nostra fede. Siamo invitati tutti, senza eccezione, a essere, secondo l’esempio di Giovanni Battista, “voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore” (Mt 3,3). Siamo invitati a essere veri missionari che si nutrono della Parola di Dio.
2. L’unità di tutte le Chiese
Cristo ha chiesto a tutti i battezzati di essere uniti così come lui e il Padre sono una cosa sola. Aveva domandato questa unità ai suoi discepoli affinché fossero un segno che attraesse gli uomini per conoscere il Padre e avere fede in Lui. Aveva voluto che la loro unità fosse un segno per le nazioni, “signum inter gentes”, una luce che attraesse gli uomini verso il Padre e li invitasse a credere in lui. Infatti, la divisione della Chiesa è un atto di infedeltà al suo Fondatore e uno scandalo per coloro che non credono in Gesù.
Ritengo che ciò che ci separa dai nostri fratelli ortodossi è la comprensione del primato di Pietro. Spetta ai teologi trovare una nuova interpretazione. Perché non giungere all’unità nella fede, ma nella diversità? Il sinodo di Gerusalemme del ’49 potrebbe essere la chiave per trovare una soluzione alla divisione delle Chiese. L’importante è porsi in ascolto dello Spirito…
Allora, rinnovati dallo Spirito e uniti nella fede, la Chiesa sarà “significativa”, sarà un “signum inter gentes”, e attirerà gli uomini nel suo seno a far parte del Regno di Dio.

[Testo originale: francese]
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ZENIT Staff

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