CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 15 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito gli interventi pronunciati questo giovedì pomeriggio nella settima Congregazione generale dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.
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– Rev. P. Boulos TANNOURI, O.A.M., Superiore Generale dell’Ordine Antoniano Maronita (LIBANO)
La situazione socio-politica in Medio Oriente non è destinata a migliorarsi. Perciò l’emigrazione rimane la scelta più facile per scappare da tale situazione. La Chiesa non deve limitarsi alla logica puramente umana, al contrario, ispirandoci al Vangelo, essa deve indicare la scelta giusta anche se difficile: “Entrate dalla porta stretta” dice il Signore. È dovere dunque della Chiesa educare i fedeli ad accettare la croce e portarla con dignità. Però l’insegnamento non è l’unico mezzo per rafforzare la fede e la speranza dei fedeli. Ispirata dall’esempio del profeta Geremia che compra il campo del suo cugino quando la città santa stava sotto assedio, la Chiesa è così chiamata a compiere atti di questo tipo: atti profetici per dare speranza ai fedeli.
[Testo originale: italiano]– S. E. R. Mons. Chucrallah-Nabil HAGE, Arcivescovo di Tiro dei Maroniti (LIBANO)
Una lotta solidale con gli altri: la fondazione ADYAN (Instrumentum Laboris 106).
L’uomo in Medio Oriente, che sia cristiano o di un’altra religione, si trova in una situazione di precarietà davanti ai diversi mali d’ordine politico, economico, giuridico, sociale e morale (IL 106). Di fronte a questo stato di cose, il cristiano non può condurre una lotta solitaria, ma piuttosto solidale con tutti i cittadini.
La fondazione ADYAN (religioni) mi sembra un esempio concreto e significativo di questa lotta comune dei credenti. Creata da alcuni cristiani e da alcuni musulmani libanesi nel 2006, ADYAN mira, attraverso la sua azione, a promuovere una conoscenza illuminata delle religioni, un approccio integrale di vita comune e una solidarietà tra i credenti. Perciò offre studi interreligiosi e sviluppa da un lato ricerche teologiche nel dialogo e dall’altro crea reti interreligiose in cui credenti di diverse confessioni si trovano uniti nella ricerca di una comprensione più adeguata della propria fede e di una autenticità di vita e di testimonianza.
Attraverso programmi educativi, la fondazione aiuta i giovani a vivere la propria fede in modo personale. Inoltre essa contribuisce allo sviluppo di una morale sociale comune fondata sul rispetto dei diritti umani.
Attraverso i film che produce, essa mette in risalto i modelli di solidarietà intercomunitari.
Per consolidare la solidarietà spirituale a livello della base, si commemora ogni anno l’evento di Assisi del 1986, riunendo rappresentanti di tutte le religioni del paese attorno ai valori spirituali come per esempio:
la pace, la riconciliazione ecc… ADYAN non è forse un segno di speranza per tutti noi?
– S. Em. R. Card. Peter Kodwo Appiah TURKSON, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (CITTÀ DEL VATICANO)
1. LA CONOSCENZA DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA:
Dalla lettura dell’ Instrumentum Laboris di questo sinodo, emerge la necessità di diffondere maggiormente la conoscenza del Vangelo e della Dottrina Sociale della Chiesa fra i cristiani, e non solo, nei paesi dell’ area medio-orientale. Quindi, secondo il senso del par. 26 (Instr. Laboris), la conoscenza del sito del PCGP potrebbe essere favorita come strumento al servizio delle Chiese locali per l’approfondimento della Dottrina Sociale della Chiesa. A questo proposito, il PCGP si impegna di completare la traduzione in Arabo del Compendium della Dottrina Sociale della Chiesa.
Inoltre, si potrebbe, visto l’intento del PCGP di istituire una summer school presso questo Dicastero, pensare di invitare e coinvolgere anche sacerdoti provenienti dal Medio Oriente nel senso del desiderio espresso in par. 26 (Instr. Laboris). Un’ altra iniziativa che potrebbe essere promossa dal PCGP è quella di portare la dottrina sociale della Chiesa direttamente in Medio- Oriente, organizzando, ad esempio, un simposio di presentazione della Caritas in veritate.
2. LIBERTÀ RELIGIOSA
Al par. 37, si lege: “In Oriente, libertà di religione vuol dire solitamente libertà di culto …. ” etc. Visto il tema del Messaggio della Pace 2011 (Libertà Religiosa, via per la pace), occorrerebbe, prima di tutto, ribadire il fatto che libertà religiosa autentica include la libertà di predicare e di convertire. Inoltre, è da notare che in alcuni paesi, il discorso sulla libertà religiosa è sempre visto con diffidenza. Per questi, la libertà religiosa implica relativismo religioso, indifferentismo e la negazione del patrimonio religioso del paese. La Chiesa Cattolica affrontava lo stesso problema al riguardo dell’ interpretazione di “Dignitatis Humanae” del Vat.II ( la Dichiarazione sulla libertà religiosa) anni fa. Ma come ci insegna Papa Benedetto XVI, “La libertà religiosa non significa indifferentismo, e non implica l’uguaglianza di tutte le religioni” Civ. 55). Infatti, non c’è nessun conflitto fra la libertà religiosa e la forte difesa dell’ identità religiosa d’una persona contro il relativismo. La libertà religiosa riguarda il privilegio (libertà) d’un credente di formare, vivere ed annunciare la sua esperienza religiosa, senza coercizione dello Stato, ma colla possibilità di contribuire alla costruzione dell’ ordine sociale.
Quindi le Chiese e le religioni di minoranza in Medio-Oriente non devono subire discriminazione, violenza, propaganda diffamatoria (anti-cristiana), la negazione di permessi di costruire edificii di culto, e di organizzare funzioni publiche. Infatti, la promozione delle Risoluzioni contro Diffamazione delle Religioni nel quadro dell’ Organizzazione delle Nazioni Unite non deve limitarsi a Islam (Islamofobia) nel mondo occidentale. Essa deve includere Cristianesimo (Cristianofobia: la religione e le comunità dei credenti) nel mondo Islamico.
Si può pure promuovere l’adozione, sempre nel quadro dell’ ONU, d’una risoluzione sulla Libertà religiosa come alternativa alla risoluzione sulla Diffamazione delle Religioni.
3. MIGRAZIONE:
Nella sezione relativa all’immigrazione internazionale in Medio Oriente in particolare al paragrafo 49 e 50 si affrontano temi che stanno particolarmente a cuore a questo PCGP:
– Il tema dell’ immigrazione, come fenomeno mondiale (emigrazione & immigrazione).
– Il tema del lavoro decente per i lavoratori domestici, che sono prevalentemente donne.
Qui si coniugano esigenze legate al rispetto della dignità umana, dei diritti umani e diritti dei lavoratori nonché esigenze legate al rispetto del credo religioso.
4. FORMAZIONE DEI GIOVANI PROMOTORI DELLA PACE
Infine, in virtù delle tante ostilità presenti nell’area mediorientale, il par.69 sottolinea l’importanza di “formare i giovani a superare queste barriere e ostilità interne, e a vedere il volto di Dio in ogni essere umano, per collaborare insieme ad edificare una città comune accogliente”. Il PCGP potrebbe pensare di privilegiare nella scelta degli stagieres e dei partecipanti alle summer schools degli studenti provenienti dal Medio Oriente che, ritornati in patria, possono agire da portavoce di un messaggio di pace fra i giovani, specie di peace practitioner (cfr. Laura Villanueva e il suo peace Field Japan).
In conclusione, come sostenuto al paragrafo 115, la più grande testimonianza che i cristiani possono dare in campo sociale, in Medio Oriente come nelle restanti parti del mondo, è quello della gratuità dell amore verso l’uomo. L’invito al dono e alla gratuità da parte di Papa Benedetto XVI nell’ enciclica Caritas in veritate è, infatti, un invito ad assumere un atteggiamento fraterno, un’attitudine a promuovere la crescita del prossimo, un’ attitudine alla r
icerca del bene comune.
– Rev. Raymond MOUSSALLI, Protosincello del Patriarcato di Babilonia dei Caldei (GIORDANIA)
Noi siamo parte della storia e della cultura di questa regione medio-orientale, e se saremo costretti ad abbandonarla perderemo la nostra identità nella prossima generazione. Per questo spero che dal Sinodo emerga la necessità di una più stretta collaborazione tra i capi delle varie Chiese nel dialogo reciproco con i fratelli musulmani moderati. Come sappiamo le nostre chiese con il clero in Iraq vengono attaccati. C’è una deliberata campagna per cacciare i cristiani al di fuori del paese. Ci sono piani satanici dei gruppi fondamentali estremisti che non sono solo contro i cristiani iracheni in Iraq, ma i cristiani in tutto il Medio Oriente.
I cristiani Caldei Cattolici sono la maggior parte della comunità dei profughi che ha come riferimento il vicariato del Patriarcato della Chiesa Caldea, sono circa 10.000 persone; inoltre ci sono Assiri-Siri-Armeni e altri circa 10.000 che vivono in Giordania con 350.000 musulmani iracheni profughi. Sono in condizioni di estrema povertà e senza alcuna speranza di tornare nella terra dei propri antenati. Da anni sono in situazioni di grande tribolazione spesso culminanti in atti di vera e propria persecuzione. Come Chiesa siamo impegnati con la Caritas, la missione pontificia, altre organizzazioni (educazione – catechismo – sanità – sociopastorali…) ma i nostri mezzi sono limitati. La maggior parte delle comunità dei profughi ci hanno consegnato alcuni documenti che contengono testimonianze scritte indirizzate a rappresentanze diplomatiche di paesi occidentali (in particolare Stati Uniti e Australia) e all’Ufficio di Amman dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Profughi (UNHCR) al fine di ottenere il riconoscimento dello status di rifugiati. Secondo le loro fonti sono registrate circa 50.000 persone.
Vogliamo sensibilizzare la comunità internazionale che non può restare in silenzio davanti al massacro dei cristiani in Iraq, i Paesi di tradizione cattolica, affinché facciano qualcosa per i cristiani iracheni, a cominciare dalla pressione sul Governo locale. Stiamo attraversando un tempo catastrofico per l’emigrazione delle famiglie e la perdita del nostro popolo che parla ancora la lingua aramaica pronunciata da nostro Signore Gesù Cristo.
– S. E. R. Mons. Edmond FARHAT, Arcivescovo titolare di Biblo, Nunzio Apostolico (LIBANO)
A parte il fatto che in Medio Oriente non siamo un “piccolo resto”, anche se l’espressione è biblica, questa conclusione è molto incoraggiante. Non siamo il piccolo resto, ma la mano tesa della Chiesa che comunica alla sua fonte d’Acqua Viva e testimonia la sua gioia ai fratelli più lontani. Il suo posto e la sua missione non dipendono né dalla benevolenza degli uni né dalla tolleranza degli altri. E mi permetto di fare due considerazioni, una sul passato e l’altra sul futuro dei cristiani in Medio Oriente.
Il passato recente ci ha fatto vivere grandi prove di fede che il Documento non esita a definire come “la mancata risoluzione del conflitto israelo-palestinese, il non rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani, l’egoismo delle grandi potenze” (118) con tutte le loro conseguenze negative come l’emigrazione e lo scoramento. La situazione del Medio Oriente oggi è come un organo vivente che ha subito un trapianto che non riesce ad assimilare e che non ha avuto specialisti che la curassero. Come ultima risorsa l’Oriente arabo musulmano ha guardato alla Chiesa credendo, come dentro di sé pensa, che sia capace di ottenergli giustizia. Non è stato così. È deluso, ha paura. La sua fiducia si è trasformata in frustrazione. È caduto in una crisi profonda. Il corpo estraneo, non assimilato, lo corrode e gli impedisce di occuparsi del suo stato generale e del suo sviluppo. Il Medio Oriente musulmano nella sua schiacciante maggioranza è in crisi. Non può farsi giustizia. Non trova alleati né sul piano umano né sul piano politico, meno ancora sul piano scientifico. È frustrato. Si rivolta.
La sua frustrazione ha avuto come effetto le rivoluzioni, il radicalismo, le guerre, il terrore e l’appello (da’wat) al ritorno agli insegnamenti radicali (salafiyyah). Volendo farsi giustizia da solo il radicalismo ricorre alla violenza. Crede di fare più scalpore se si attacca ai corpi costituiti. Il più accessibile e il più fragile è la Chiesa. Non conoscendo la nozione di gratuità, esso accusa i cristiani di avere dei pensieri nascosti di proselitismo, di essere complici delle potenze imperialiste. Dall’Iraq alla Turchia, al Pakistan fino all’India, le vittime si sono moltiplicate. Si tratta sempre di innocenti e di servitori volontari (mons. Luigi Padovese, Andrea Santoro in Turchia, l’avvocato assassinato con la sua famiglia in Pakistan, Mons. Claverie e i religiosi e le religiose in Algeria, i sacerdoti, i religiosi e i fedeli innocenti, assassinati durante la guerra del Libano). Si tratta di facili prede.
Per il futuro il testo ci raccomanda di non aver paura. Ciò non vuol dire che dobbiamo essere indifferenti. Ma è il momento della purificazione e dei dolori del parto, anche nella società musulmana. Sta a noi continuare il nostro cammino in queste condizioni. È la nostra missione. È il nostro ruolo che nessun altro può svolgere al posto nostro. Si tratta di parlare non solo di Dio Onnipotente, ma anche di Gesù Cristo suo Figlio, in arabo. Non solo non bisogna avere paura, ma bisogna trasmettere il messaggio alle generazioni future. Bagnata dal sangue dei suoi martiri, incoraggiata dai suoi maestri, santi e beati, la Chiesa in Medio Oriente fiorirà come la vigna del Signore e porterà molti frutti.
Oggi, la Chiesa subisce ingiustizie e calunnie. Come nel Vangelo molti partono, altri si stancano, o fuggono. I frustrati e i disperati si vendicano sugli innocenti. Dietro alle uccisioni materiali e alle sconfitte più cocenti c’è il peccato. È questo “potere anonimo al quale servono gli uomini, dal quale sono tormentati gli uomini e perfino trucidati”, come ha detto il Santo Padre all’inizio dei nostri lavori (11 ottobre 2010).
Quando Gesù è morto “il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono” (Mt 27,51-52). Il Male credeva di aver vinto. Nel momento della sua Risurrezione e della sua vittoria sulla morte, era l’alba discreta. Si è alzato senza frastuono. Ha fatto rotolare la pietra senza far rumore. Non c’erano testimoni. La Vita non ha bisogno di testimoni. È Maestro e Signore. Farà così anche per la sua Chiesa in Medio Oriente.
L’azione di Dio continua nella storia. La Chiesa in Medio Oriente vive in questo momento la sua Via Crucis e la sua via di purificazione che porta al rinnovamento, alla risurrezione. Le sofferenze e le angosce del presente sono i gemiti di una nuova nascita. Se durano è perché questo genere di demoni che tormentano la nostra società si scacciano solo con la preghiera. Forse non abbiamo ancora pregato abbastanza!
– S. E. R. Mons. Youssef ABOUL EL KHER, Vescovo di Sohag dei Copti (REPUBBLICA ARABA DI EGITTO)
I. Introduzione
A livello di tutte le eparchie e delle istituzioni educative ecclesiali sono stati compiuti degli sforzi comuni per prendersi cura della preparazione dei catechisti a livello personale e quotidiano, e a livello della Chiesa, al fine di assumere la responsabilità del servizio della catechesi.
II. Diversi ambiti di lavoro nel campo del servizio dell’educazione religiosa.
1. Gli istituti di insegnamento religioso
In tutte le eparchie sono stati aperti istituti per la formazione religiosa.
2. Una Commissione incaricata dal Consiglio dei Patriarchi e dei Vescovi cattolici si dedica alla preparazione e alla pubblicazione di un test
o unico per l’istruzione religiosa, destinato all’insieme delle confessioni cattoliche in Egitto.
3. Un sacerdote e un laico della Chiesa cattolica hanno partecipato al Comitato istituito dal Ministero dell’Educazione e dell’Insegnamento in Egitto per aggiornare i metodi d’insegnamento cristiano.
4. La Segreteria generale delle scuole cattoliche si preoccupa di seguire e di formare gli insegnanti della scuole che dipendono da essa e che hanno la responsabilità dell’istruzione cristiana.
III. Le sfide e le difficoltà
1. Le situazioni economiche preoccupano le famiglie, considerate primo fondamento e luogo primario nel quale cresce il grano della fede.2. I mezzi della tecnologia moderna e dell’informazione attirano le menti dei bambini e dei giovani e portano a un cambiamento della scala delle virtù evangeliche.
3. La minoranza cattolica è attirata dal fanatismo religioso e confessionale come pure da molteplici seduzioni. Inoltre, le difficoltà confessionali incentrate sulle questioni liturgiche, come quelle di battezzare di nuovo e di impedire la comunione, non si occupano delle cose essenziali e creano scandalo e dispersione.
4. La superficialità del programma scolastico, la mancanza o debolezza di attitudine degli insegnanti di educazione religiosa fanno sì che quelli delle altre materie insegnino l’educazione religiosa come volontari.
IV. La prospettiva futura
1. C’è bisogno di unificare maggiormente gli sforzi al servizio della catechesi a tutti i livelli e di perseverare nella redazione e pubblicazione di libri unificati.
2. L’apertura del cuore e la libertà dal fanatismo religioso e confessionale offre l’opportunità di creare occasioni di lavoro comune e di focalizzarsi su ciò che ci unisce.
3. È necessario occuparsi di più dei giovani e accompagnarli affinché siano aggiornati riguardo ai cambiamenti del nostro tempo a partire dalle virtù evangeliche.
“Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio […] lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo” (At 2, 46-47).
– S. E. R. Mons. Grégoire Pierre MELKI, Vescovo titolare di Batne dei Siri, Esarca Patriarcale del Patriarcato di Antiochia dei Siri (GERUSALEMME)
Su richiesta dell’Assemblea degli Ordinari cattolici della Terra Santa, parlerò della migrazione e della Terra Santa. Il fenomeno della migrazione esiste da sempre. Nel caso della Terra Santa, ci limiteremo alla situazione che prevale attualmente, e ciò fin dal XIX secolo.
Le cause sono sempre le stesse, politiche ed economiche. Finché non sarà risolto il conflitto israelo-palestinese, non dobbiamo sorprenderci di vedere altri cristiani prendere la via dell’esodo.
Essendo la prima causa dell’emigrazione, il conflitto in questione deve indurre le parti che si affrontano sul campo così come le Istanze internazionali a lavorare molto per una soluzione equa e durevole di questo conflitto.
D’altra parte occorre segnalare altri fattori che hanno contribuito alla diminuzione del numero dei cristiani in Terra Santa: la denatalità delle coppie, il matrimonio in età avanzata, la riunificazione delle famiglie, il proseguimento degli studi all’estero, ecc. E le divisioni politiche e religiose esistenti ne sono anch’esse una ragione valida.
Benefico da certi punti di vista per i Paesi che accolgono i nostri emigranti, l’emigrazione costituisce un duro colpo non solamente per la presenza e la testimonianza dei cristiani in Terra Santa, ma anche per la vita sociopolitica in generale, poiché priva i Paesi d’origine di potenziali che avrebbero potuto accelerare il loro progresso e sviluppo.
Questa situazione ci chiama in causa tutti. Occorre fare qualcosa. Ecco alcune piste da proporre:
– fare appello alle Istanze internazionali perché facciano pressione sulle parti interessate in vista di una soluzione rapida del conflitto;
– fare appello alle Chiese presenti perché operino seriamente sulla via del riavvicinamento e dell’unità;
– avviare più progetti concreti e comuni come gli alloggi, la creazione di posti di lavoro, gli ospedali, ecc.- farsi carico a livello pastorale dei cristiani africani e asiatici venuti da noi…
– S. E. R. Mons. Paul DAHDAH, O.C.D., Arcivescovo titolare di Are di Numidia, Vicario Apostolico di Beirut dei Latini (LIBANO)
Nel testo dell’Instrumentum laboris sono chiaramente espressi i fondamenti teologici, trinitari, cristologici ed ecclesiologici della comunione ecclesiale. Essi sono alla base della vita sacramentale e dell’impegno dei battezzati nelle attività necessarie per la crescita della Chiesa nella fedeltà e nella santità e per lo sviluppo delle attività di servizio e di testimonianza in seno alla società degli uomini. Sono anche il punto di riferimento della legislazione che gestisce le relazioni tra i membri della Chiesa, gerarchia e fedeli, tra le Chiese cattoliche e con le loro Chiese sorelle.
Il testo menziona gli organismi ecclesiali già istituiti per favorire e sviluppare la comunicazione tra le Chiese orientali cattoliche al livello globale, poi al livello dei patriarcati e infine a quello delle eparchie. Sottolinea il ruolo fondamentale del patriarca, poi del vescovo, per favorire la comunione, la coesione, l’unità nella diversità. Il testo non manca di sottolineare la “grave responsabilità spirituale e morale” dei ministri di Cristo e delle persone consacrate (n. 58).
In apparenza tutto è stato detto, tutto è chiaro; ma il testo suggerisce che la realtà è lontana dall’ideale così presentato e che c’è ancora molto da fare per realizzare la comunione. L’organigramma delle istituzioni ecclesiali e la legislazione che regola tali strutture sembrano perfetti, ma questa bella macchina funziona? Al n. 55 leggiamo: “Per promuovere l’unità nella diversità, occorre superare il confessionalismo in ciò che può avere di limitato o esagerato, incoraggiare lo spirito di cooperazione tra le varie comunità, coordinare l’attività pastorale e stimolare l’emulazione spirituale e non la rivalità”. Altrove (n. 58) si legge: “molti fedeli auspicano, da parte loro, una maggiore semplicità di vita, un reale distacco in rapporto al denaro e alle comodità del mondo, una pratica edificante della castità e una purezza di costumi trasparente”.
Il testo ci appare tranquillizzante e timido; ma si legge una chiara denuncia dei danni che causano il confessionalismo e il clericalismo, le meschinerie, la sete di guadagno, la ricerca di potere, gli agi e i titoli dei membri del clero e dei religiosi e delle religiose, che si comportano senza complessi come funzionari e notabili. Questi comportamenti non possono che causare scandalo, disgregazione della comunione, disaffezione e contestazione della Chiesa e della religione cristiana e favorire le sette di ogni genere.
In molte situazioni pastorali particolari, i fedeli fanno fronte ad atteggiamenti problematici del clero che riguardano concretamente la comunione ecclesiale:
– la pratica domenicale nella chiesa più vicina, qualunque sia questa vicinanza (locale, affettiva, linguistica o altra)
– la celebrazione del matrimonio nella Chiesa della sposa e non in quella del marito;
– la catechesi e la prima comunione in una parrocchia diversa da quella solita, per questioni di lingua e di cultura;
– il passaggio di un fedele a un’altra Chiesa cattolica;
– le tariffe talvolta esorbitanti chieste per i sacramenti (battesimi, matrimoni, ecc.).
In queste e in altre situazioni, il clero e i religiosi spesso dimostrano di non aver compreso che cosa sia la “comunione ecclesiale”.
– S. E. R. Mons. Ruggero FRANCESCHINI, O.F.M. Cap., Arcivescovo di Izmir, Amministratore Apostolico del Vicariato Apostolico dell’Anatolia, Presidente della Conferenza Episcopale di Turchia (TURCHIA)
La piccola Chiesa di Turchia, a vol
te ignorata, ha avuto il sue triste momento di fama con il brutale assassinio del Presidente della Conferenza Episcopale Turca, Mons. Luigi Padovese. In breve, voglio chiudere questa spiacevole parentesi cancellando insopportabili calunnie fatte circolare dagli stessi organizzatori del delitto. Perché di questo si tratta: omicidio premeditato, dagli stessi poteri occulti che il povero Luigi aveva, pochi mesi prima, indicato come responsabili dell’assassinio di Don Andrea Santoro, del giornalista armeno Dink e dei quattro protestanti di Malatya; cioè un’ oscura trama di complicità tra ultranazionalisti e fanatici religiosi, esperti in strategia della tensione. La situazione pastorale e amministrativa del Vicariato dell’ Anatolia è grave. I motivi sono:
1) Le divisioni all’interno della comunità cristiana, già fragile di per sé;
2) La gestione dell’ economia di tutto il Vicariato;
3) La gravissima scarsità di personale missionario.
Cosa chiediamo alla Chiesa? Semplicemente quello che ora ci manca: un Pastore, qualcuno che lo aiuti, i mezzi per farlo, e tutto questo con ragionevole urgenza.
Il peso della gestione straordinaria di questa situazione è stato finora sostenuto esclusivamente
dall’Archidiocesi di di Smirne.
Siamo una Chiesa antichissima, tanto povera quanto ricca di una tradizione che solo Gerusalemme e Roma possono vantare. Non cominceremo certo adesso a lamentarci o piangere miseria, non è nostro uso, e lungi da noi anche solo il pensiero di rivendicare un’attenzione particolare per via dell’uccisione del Presidente della nostra Conferenza Episcopale; ma certo un’attenzione particolare merita la nostra gente e chi ha versato il sangue.
Perdonate lo sfogo: vi preghiamo di condividere con noi questa situazione che può essere superata, a breve, almeno in due aspetti: la nomina di un nuovo pastore e un sostegno economico.
L’invio di personale missionario dipende evidentemente da altri fattori che possono esigere tempi più lunghi ma questo non deve indurci a credere che non sia un aspetto meno urgente.
La Chiesa di Anatolia è a rischio di sopravvivenza, e questa è una situazione di cui vi faccio partecipi con un tono di gravità e urgenza. Voglio tuttavia rassicurare le Chiese vicine, in particolare quelle che soffrono persecuzione e vedono i propri fedeli trasformarsi in profughi, che come CET saremo ancora disponibili all’accoglienza e all’aiuto fraterno, anche oltre le nostre possibilità; così come siamo aperti ad ogni collaborazione pastorale con le Chiese sorelle e con i musulmani di una laicità positiva, per il bene dei cristiani che vivono in Turchia, e per il bene dei poveri e dei profughi numerosi in Turchia.
La culla della Chiesa delle origini, possa essere la casa della Chiesa unita.
Sono poi intervenuti i seguenti Uditori e Uditrici:
– Sig.ra Rita MOUSSALLEM, Membro del Movimento dei Focolari (Opera di Maria) (LIBANO)
L’Opera di Maria o Movimento dei Focolari è presente nel Medio Oriente sin dal 1967. E’ radicata nella cultura del posto, in comunione stretta con la Chiesa universale e con le chiese locali, sotto la premura e la benedizione dei Patriarchi e Vescovi del luogo. Conta circa 15.000 tra membri e aderenti cattolici di vari riti.
Spronata a rievangelizzarsi continuamente dal contatto vivo con la Parola di Dio, cerca di affrontare i dolori e le sfide del Medio Oriente alla luce di essa. Seguendo gli insegnamenti della Chiesa, i suoi membri s’impegnano a testimoniare il Vangelo nella società dove vivono. La spiritualità di comunione che la caratterizza porta a fare l’esperienza del Risorto tra i Suoi, che infonde coraggio di fronte alle innumerevoli sfide. Non poche famiglie, tentate dall’emigrazione, forti del sostegno della comunità hanno deciso di rimanere nei propri Paesi per costruire insieme agli altri un futuro migliore. Molte le storie coraggiose di perdono e di riconciliazione che risultano di sprone per tanti. Gesù crocefisso e abbandonato, fonte inesauribile di amore e vita nuova, è per i suoi membri risposta e via, mezzo insostituibile per diffondere una cultura della Resurrezione.
Numerosi fratelli ortodossi condividono con i membri cattolici dell’Opera di Maria la sua spiritualità. Inseriti ciascuno nella propria chiesa, fortemente legati dalla carità di Cristo, vivono ed operano insieme per la realizzazione del testamento di Gesù: “che tutti siano uno” (Gv 17,21).
Con alcuni musulmani ed ebrei si fa una profonda esperienza di dialogo della vita e dell’esperienza religiosa, vivendo e lavorando insieme per la fratellanza universale e la pace.
– Sig. Saïd A. AZER, Membro del Pontificio Consiglio per i Laici (REPUBBLICA ARABA DI EGITTO)
Migliaia di giovani e adulti, membri di più di venti movimenti apostolici – come pure del Cammino Neocatecumenale – partecipano in modo vivo ai servizi della Chiesa in Egitto, attraverso l’ascolto della Parola di Dio e la celebrazione dei santi sacramenti.
Ma ogni giorno devono affrontare tentazioni costanti, cosa che minaccia la loro fede.
Le sfide più importanti alle quali fanno fronte i membri di tali movimenti sono:
– l’emigrazione come conseguenza di una fede superficiale;
– i quotidiani e internet;
– il mondo che va verso una “cultura della morte”, come aveva detto Sua Santità Papa Giovanni Paolo II. Per fare qualche esempio: il matrimonio fra omosessuali, il divorzio-lampo, l’aborto, i costanti attacchi alla famiglia cristiana;
– molti cristiani non si interessano più alle liturgie, non ascoltano più;
– la Messa domenicale da sola non basta più per la crescita della fede;
– il perdono e la conversione sono valori che non esistono più nella vita quotidiana;
– la mancanza di unità tra i membri del clero, insieme alla loro formazione umana e spirituale talvolta inaccettabile, spesso scandalosa;
– per i giovani, l’essere circondati da un ambiente anti-evangelico.
La soluzione, dinanzi a queste sfide, consiste nella presa di coscienza, da parte dei membri di queste comunità, del senso della loro presenza, dell’importanza della loro missione e della loro vocazione cristiana per la Chiesa e il paese in cui vivono. Il Cammino Neocatecumenale, per esempio, ha l’esperienza viva di alcuni membri che hanno cancellato l’idea di emigrare, di giovani che hanno abbandonato la droga, di matrimoni ricostruiti, di apertura alla vita per quanto riguarda il numero di figli, di migliaia di ragazzi e di ragazze in tutto il mondo che donano la propria vita per le vocazioni sacerdotali e i monasteri, come pure di comunione con le altre Chiese.
– Sig. Naguib KHOUZAM, Direttore Generale del “SETI Center” – Caritas Egitto (REPUBBLICA ARABA DI EGITTO)
Contributo qualitativo cristiano
Al paragrafo 115, nel campo sociale la nostra testimonianza più importante è l’amore complementare per l’essere umano, e ciò può essere osservato nelle istituzioni educative: scuole, università, comitati e istituzioni per lo sviluppo, progetti economici, centri di formazione, centri sanitari. Tutti devono essere accessibili a tutti, senza discriminazioni su base sessuale, di fede, sociale o economica, concentrandosi soprattutto sui poveri e gli sfollati. E questa testimonianza della Chiesa esige:
1. Qualità attraverso l’impegno ad assicurare la qualità per mezzo di criteri specifici che indicano la qualità di tali contributi e attraverso il monitoraggio e la valutazione. E tutto ciò viene fatto secondo lo spirito della chiamata alla perfezione.
2. Rafforzamento attraverso l’aiuto ai partner che lavorano con noi e una buona distribuzione delle responsabilità, attraverso un’istituzione costante che sia incentrata sullo spirito di lavoro in aggiunta alle necessarie capacità.
3. Responsabilità attraverso la tolleranza e stabilendo le basi e praticando la valutazione dei meriti e
l’applicazione di sanzioni. E questa responsabilità deve essere a tutti i livelli.
Suggerimenti per la testimonianza della Chiesa cattolica nel mondo sociale:
1. Chiediamo alla Chiesa di dichiarare guerra alla povertà e all’ignoranza.2. La Chiesa deve fare tutto il possibile per realizzare l’uguaglianza, la giustizia, e per difendere la dignità e i diritti umani di ogni persona.
3. Alla Chiesa si chiede di aiutare le nuove generazioni, a impegnarsi per il proprio paese attraverso lo sviluppo della società.
4. Alla Chiesa si chiede di lavorare nel campo del sociale attraverso un potenziamento di qualità e la responsabilizzazione.
– Rev.da Suora Karima TAMER HENDY AWAD, R.B.P., Superiora Provinciale delle Religiose di Nostra Signora della Carità del Buon Pastore (REPUBBLICA ARABA DI EGITTO)
La Chiesa in Medio Oriente è più interessata delle altre alla conservazione della sua vocazione principale che consiste nello sviluppo di sante vocazioni; e questo perché è dall’Oriente che è venuto l’annuncio del Vangelo ed è ugualmente in Oriente, nei deserti dell’Egitto, che erano presenti i primi semi delle vocazioni e l’inizio della vita eremitica, sorgente del monachesimo, con i suoi grandi fondatori: Antonio, Macario e Pacomio. La pastorale apostolica delle vocazioni deriva dal cuore stesso dell’identità di ciascuna congregazione e della sua spiritualità. La Chiesa è consapevole delle numerose necessità del mondo e del ruolo apostolico che essa deve svolgere.
È perciò che si occupa della pastorale delle vocazioni e della loro scoperta e chiede, dunque, alle nostre congregazioni di presentare questo lavoro apostolico, dandogli il diritto di essere conosciuto con rispetto. La Chiesa è anche convinta che Cristo stesso chiama chi vuole, perché Egli continua a chiamare oggi come ieri e si serve di noi per far arrivare ai cuori il suo messaggio. Lo scopo della pastorale delle vocazioni è quello di aiutare il giovane a scoprire la propria vocazione nella vita cristiana, sia essa nel matrimonio o nella vita monastica, e a scoprire i modi di rispondere a questa chiamata. Se il giovane scopre la sua vocazione alla vita consacrata, la Chiese deve aiutarlo a scegliere una missione qualunque. Per la Chiesa, dunque, si tratta di aiutare i giovani a discernere la volontà di Dio e il suo progetto nella loro vita. Infatti, se i giovani cercano una spiritualità solida, oggi devono affrontare il problema dell’assenza di criteri relativi alle virtù e alla condotta da seguire. C’è un grande divario tra il livello scientifico dei giovani e la loro situazione a livello psichico, cristiano e affettivo, e ciò a causa della dissoluzione della famiglia. È per questo che il discernimento delle vocazioni è diventato un problema arduo. La pastorale vocazionale deve essere ecclesiale, cioè inserita in una programmazione pastorale d’insieme, aperta su tutte le vocazioni e comunitaria, riguardante le comunità monastiche e sacerdotali.
– Prof. Marco IMPAGLIAZZO, Ordinario di Storia Contemporanea presso l’Università degli Studi per Stranieri di Perugia, Presidente della Comunità di Sant’Egidio (ITALIA)
È nell’interesse delle società musulmane che le comunità cristiane siano vive e attive nel mondo mediorientale. Un Medio Oriente senza cristiani significherebbe la perdita di una presenza interna alla cultura araba, capace di rivendicare il pluralismo rispetto all’islam politico e all’islamizzazione. Senza di loro l’Islam sarebbe più solo e fondamentalista. I cristiani rappresentano una forma di resistenza a un “totalitarismo” islamizzante. La loro permanenza in Medio Oriente è nell’interesse generale delle società della regione e dell’Islam.
Tra i cristiani e il Medio Oriente c’è un bisogno di sicurezza per il futuro. Questa sicurezza non verrà dalla protezione occidentale. Si è visto nella storia dolorosa dell’Iraq. La “sicurezza” viene dal riconoscimento della maggioranza dei musulmani. Non soltanto dal riconoscimento dei diritti, ma anche da un consenso sociale e culturale che esprima la volontà di vivere insieme. Questo processo esige dalle comunità cristiane di essere “minoranze creative”. Benedetto XVI ha affermato: “normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa”.
Non è opportuno dire: siamo poco numerosi, non dobbiamo essere troppo esigenti. La Chiesa non esiste senza missione, dimensione alla quale non può rinunciare. La prospettiva della minoranza creativa indica una via d’uscita: la creatività. La creatività spazza via la paura. Non viene dal numero, dal potere politico. La creatività viene dall’amore. Deve essere sempre più imitazione di Gesù. Dobbiamo amare di più! Anche essere fedeli alla tradizione significa essere creativi. In Medio Oriente non c’è solo da difendere un passato cristiano, ma anche da affermare una visione del futuro, partendo dalla convinzione che i cristiani hanno in questo una vocazione storica: comunicare il nome di Gesù, viverlo e, in tal modo lavorare per costruire in modo creativo una civiltà del vivere insieme di cui il mondo intero ha bisogno. C’è qui il dovere del dialogo. Parlo a nome della Comunità di Sant’Egidio, che dal 1986 continua a realizzare l’intuizione avuta da Giovanni Paolo II ad Assisi, quando ha riunito i leader religiosi e li ha invitati a pregare l’uno accanto all’altro per la pace nella convinzione che dalla fede religiosa possono scaturire grandi energie di pace. C’è un aspetto spirituale della pace, che è la fine della guerra, ma anche l’arte di vivere insieme in armonia. Le Chiese in Medio Oriente possono essere artefici di una civiltà del vivere insieme, esemplare a livello mondiale, nella misura in cui reintegrano e rivendicano con voce alta e forte il senso della loro missione.
– Prof. Sobhy MAKHOUL, Segretario Generale dell’Esarcato Maronita Cattolico di Gerusalemme, del Territorio dell’Autorità Palestinese e della Giordania (ISRAELE)
– Ho scoperto che il cristianesimo non è innanzitutto una religione, bensì l’AVVENIMENTO storico, singolare ed irripetibile, dell’Incarnazione del Verbo di Dio: Gesù Cristo.
– Riconoscere questo EVENTO è facile: come riconoscere il volto di un amico tra la folla. Perché ogni uomo è stato creato per questo incontro: come Giovanni e Andrea, la samaritana, Zaccheo e il centurione.
– Oggi, come in ogni angolo del mondo, in questo mondo “dopo Cristo e senza Cristo” come ha scritto C. Péguy, anche noi, cristiani della Terra Santa del Medio Oriente, abbiamo bisogno di incontrare QUI ED ORA lo sguardo di Cristo per ripartire da Lui. Tutto il resto ci sarà dato in più, abbiamo il bisogno di rinascere, come Nicodemo, per ritrovare letizia e gusto per la nostra vita e perciò poterla mostrare, a tutti coloro che incontriamo.
– Ricordiamoci infatti che noi GIÀ siamo luce del mondo e sale della terra e che tutto l’uomo e tutti gli uomini attendono Cristo, come ci ha ricordato Giovanni Paolo II nella sua prima enciclica “Redemptor hominis”.
– Il cristiano è chiamato nel mondo a riconoscere la presenza del Cristo e a partire da Lui nell’affrontare ogni circostanza. Diversamente, i problemi appariranno sempre inesorabili e senza soluzione. Il nostro punto di partenza e di giudizio è originale: il Signore presente nella Sua Chiesa qui ed ora. Solo così possiamo diventare davvero utili al mondo.- Mancanza della pace. Conseguenza ovvia dell’assenza di giustizia in Medio Oriente. Le potenze mondiali che vantano di essere i difensori della libertà e dei diritti umani sono i primi a sacrificare i deboli e le minoranze sul tavolo delle trattative per il loro interesse politico ed economico.
– Nella realtà politica mondiale attuale, l’unico garante per la presenza
cristiana è la Santa Sede, perciò chiediamo più incisività e dinamismo su questo versante.
– Sig. Jacques F. EL KALLASSI, Direttore Generale di “Télé-lumière” e Presidente del Consiglio di Amministrazione di “Noursat” (LIBANO)
– L’informazione è il primo potere, l’arma del secolo, origine prima della conoscenza.
– Urgenza di creare una strategia nuova ed universale dell’informazione.
– L’informazione ha il dovere di educare i giovani cristiani e musulmani.
– Nutrire lo spirito dell’accettazione dell’altro: nutrire lo spirito di libertà, la libertà dello spirito, la libertà d’espressione, la liberà della donna.
– Il fatto di diffondere attraverso l’informazione la voce che i cristiani sono una minoranza ha come obiettivo non solamente di far sì che essi lascino l’Oriente, ma anche di cancellare la civiltà cristiana dalla storia.
– L’informazione è la prima introduzione al cambiamento.
– La prima introduzione al cambiamento e alla prosperità consiste nell’occuparsi dell’essere umano.
– L’informazione deve dire che le religioni, gli Stati e i regimi devono essere tutti a servizio dell’uomo e non l’uomo al loro servizio.
– L’informazione deve diffondere il fatto che la presenza cristiana in Oriente non è solo per noi stessi, ma rappresenta la fedeltà alle nostre patrie, una comunione con l’altro e un’apertura nei suoi confronti.
– L’informazione deve diffondere il fatto che ogni popolo ha il diritto di conoscere il suo patrimonio e la sua cultura storica e di conservarla.
– L’informazione è in grado di porre dei limiti alla violenza e al terrorismo, al disordine in materia di sicurezza, alla droga e alla cultura della morte, alle violazioni ambientali.
– Sig.ra Pilar LARA ALÉN, Presidente della “Fundación Promoción Social de la Cultura” (SPAGNA)
Durante il mio primo viaggio in Libano nel 1992 mi resi conto della situazione del Paese e dei cristiani e la raccontai a Monsignor Álvaro del Portillo, all’epoca prelato dell’Opus Dei, che mi rispose che quello era uno degli argomenti che stavano più a cuore a Papa Giovanni Paolo II. Nel 1996 ebbi l’occasione di avere una conversazione con Sua Santità Giovanni Paolo II, che mi disse che il Libano è una terra di martiri e che “Finché essa avrà santi, ci saranno cristiani”. Mi chiese anche di lavorare per aiutare i cristiani della Terra Santa a non abbandonarla, perché essa non diventasse un museo.
Attualmente la Fondazione è presente in 41 Paesi e in 4 continenti. Nei 5 Paesi del Medio Oriente, la nostra zona prioritaria, abbiamo gestito più di 98 programmi con un giro di affari di oltre 60 milioni di euro.
Dopo questi anni di esperienza sul campo, vorrei fare alcuni commenti sulla situazione; in Medio Oriente assistiamo alla scomparsa di intere comunità cristiane, nell’indifferenza del mondo intero, specialmente dell’Europa. Allo stesso tempo la guerra fa parte della vita quotidiana; la povertà non è affatto l’unica causa dei conflitti, lo è piuttosto il fattore religioso. Infine, i cristiani continuano a vivere attorno alle loro Chiese, anche se, a volte, si tratta di un semplice formalismo sociale.
La conclusione è che la presenza dei cristiani è fondamentale per la pace e la riconciliazione, ma essi dovrebbero operare senza escludere la religione dalla vita pubblica, come è successo in Europa, perché questo non è affatto utile allo sviluppo. I valori religiosi ci permettono di progredire contemporaneamente sul piano sociale e personale. Di conseguenza i cristiani devono adeguare i loro comportamenti al loro credo, superare l’odio e i rancori e ricercare il perdono. Essi non dovrebbero affatto predicare, a parole, il messaggio evangelico e, nei fatti, la vendetta e la lotta armata.
Ciascuno ha l’obbligo di procurarsi una formazione che gli permetta di acquisire le condizioni adatte a progredire nella vita professionale e cristiana.
INTERVENTO DELL’INVITATO SPECIALE, SIG. MUHAMMAD AL-SAMMAK, CONSIGLIERE POLITICO DEL MUFTI DELLA REPUBBLICA (LIBANO)
Quando sono stato invitato al Sinodo Speciale per il Medio Oriente, mi sono posto due domande. La prima è: perché questo Sinodo è dedicato ai cristiani d’Oriente? E la seconda: perché invitare un musulmano al Sinodo, che ruolo posso svolgervi ora e nel futuro?
Per quanto riguarda la prima domanda, cercare di rispondere solleva numerosi interrogativi.
Innanzitutto, se la situazione dei cristiani d’Oriente fosse stata positiva, ci sarebbe stato bisogno di convocare questo Sinodo? E poi, questo Sinodo può garantire la loro serenità e confermare il loro radicamento nella terra dei loro padri e dei loro avi, questa terra da cui è scaturita la fede cristiana per abbracciare il mondo intero?
Personalmente, in quanto musulmano, ritengo importante l’attenzione che il Vaticano riserva ai problemi dei cristiani in generale e dei cristiani d’Oriente in particolare, questo Oriente fonte e culla del cristianesimo. Allo stesso tempo, spero che l’iniziativa del re dell’Arabia Saudita, Abdallah Ben Abdel Aziz a favore del dialogo interreligioso e interculturale possa richiamare l’attenzione del mondo arabo e islamico verso questa causa, in tutte le sue dimensioni, nazionali, religiose e umane, affinché queste due iniziative, quella del Vaticano e quella dell’Arabia Saudita, possano completarsi a vicenda, in vista della risoluzione dei problemi dei cristiani d’Oriente, consapevoli del fatto che si tratta di un’unica questione islamo-cristiana.
Per quanto riguarda la seconda domanda, non credo di essere stato invitato al Sinodo per essere edotto sulle difficoltà dei cristiani in alcuni stati dell’Oriente. La nostra sofferenza in quanto orientali è una sola. Noi condividiamo le nostre sofferenze. Le viviamo nel nostro ritardo sociale e politico, nella nostra recessione economica e dello sviluppo, nella nostra tensione religiosa e confessionale. Tuttavia, prendere il cristiano come bersaglio a causa della sua religione, anche se si tratta di un fenomeno nuovo e contingente per le nostre società, può essere molto pericoloso, soprattutto se c’è reciprocità. Si tratta di un fenomeno estraneo all’Oriente, di un fenomeno in contraddizione con le nostre culture religiose e le nostre costituzioni nazionali, poiché questo fa emergere due fatti gravissimi:
innanzitutto, un tentativo di lacerare il tessuto delle nostre società nazionali, di demolirle e di sciogliere i legami del loro complesso tessuto costruito da molti secoli, in secondo luogo un tentativo di mostrare l’Islam sotto una luce diversa rispetto a quella reale, in contrapposizione con ciò che esso professa e in contraddizione con ciò su cui esso si basa essenzialmente, cioè la concezione delle differenze tra i popoli come uno dei segni di Dio nella creazione e come espressione viva della volontà di Dio, nonché l’accettazione della regola del pluralismo e del rispetto della diversità e della fede in tutti i messaggi divini e in ciò che Dio vi ha rivelato. Il Sacro Corano dice: “Non sono tutti uguali. Tra la gente della Scrittura c’è una comunità che recita i segni di Allah durante la notte e si prosterna. Credono in Allah e nell’Ultimo Giorno, raccomandano le buone consuetudini e proibiscono ciò che è riprovevole e gareggiano in opere di bene. Questi sono i devoti” (3, 113, 114).
Due aspetti negativi sono la causa del problema dei cristiani d’Oriente:
il primo riguarda la mancanza di rispetto dei diritti dei cittadini nella piena uguaglianza di fronte alla legge in alcuni paesi. Il secondo riguarda l’incomprensione dello spirito degli insegnamenti islamici specifici relativi ai rapporti con i cristiani che il Sacro Corano ha definito “i più predisposti a amare i credenti” e ha giustificato questo amore affermando “che ci
sono tra di loro sacerdoti e monaci e che essi non si riempiono d’orgoglio”.
Questi due aspetti negativi, in tutto ciò che comportano come contenuti intellettuali e politici negativi, e in tutto ciò che implicano come atteggiamenti relativi agli accordi e alla loro applicazione e che provocano come azioni preoccupanti e nocive, fanno del male a tutti – cristiani e musulmani – e ci offendono tutti nella nostra vita e nel nostro destino comuni. Per questo, siamo chiamati, in quanto cristiani e musulmani, a lavorare insieme per trasformare questi due aspetti negativi in aspetti positivi: in primo luogo, attraverso il rispetto dei fondamenti e delle regole della cittadinanza che opera l’uguaglianza prima nei diritti e poi nei doveri. In secondo luogo, ostacolando la cultura dell’esagerazione e dell’estremismo nel suo rifiuto dell’altro e nel suo desiderio di avere il monopolio esclusivo della verità, e rafforzando e diffondendo la cultura della moderazione, dell’amore e del perdono, in quanto rispetto della differenza di religione e di fede, di lingua, di cultura, di colore e di razza e poi, come ci insegna il Sacro Corano ci rimettiamo al giudizio di Dio riguardo alle nostre differenze. Sì, i cristiani d’Oriente sono messi alla prova, ma non sono soli.
Sì, i cristiani d’Oriente hanno effettivamente bisogno di aiuto e di appoggio, ma ciò non deve avvenire favorendone l’emigrazione o il ripiegamento su se stessi e neppure attraverso il venir meno da parte dei loro compagni musulmani, ai propri doveri nazionali e morali nei loro confronti. Facilitare l’emigrazione significa costringerli a emigrare. Ripiegarsi su se stessi significa soffocare lentamente. Rinunciare al dovere di difendere il diritto dell’altro a una vita libera e dignitosa significa ridurre l’umanità dell’altro e abbandonare i pilastri della fede.
La presenza cristiana in oriente, che opera e agisce con i musulmani, è una necessità sia cristiana che islamica. È una necessità non solo per l’Oriente, ma anche per il mondo intero. Il pericolo di un calo di questa presenza a livello quantitativo e qualitativo è una preoccupazione sia cristiana che islamica, non solo per i musulmani d’Oriente, ma anche per tutti i musulmani del mondo. Non solo, io posso vivere il mio Islam con qualunque altro musulmano di ogni stato e etnia, ma in quanto arabo orientale, non posso vivere la mia essenza di arabo senza il cristiano arabo orientale. L’emigrazione del cristiano è un impoverimento dell’identità araba, della sua cultura e della sua autenticità.È per questo che sottolineo ancora una volta qui, dalla tribuna del Vaticano, ciò che ho già detto alla venerabile Mecca, ossia che sono preoccupato per il futuro dei musulmani d’Oriente a causa dell’emigrazione dei cristiani d’Oriente. Conservare la presenza cristiana è un comune dovere islamico nonché un comune dovere cristiano.
I cristiani d’oriente non sono una minoranza casuale. Essi sono all’origine della presenza dell’Oriente prima dell’Islam. Sono parte integrante della formazione culturale, letteraria e scientifica della civiltà islamica. Sono anche i pionieri della rinascita araba moderna e hanno salvaguardato la loro lingua, quella del Sacro Corano.
Come sono stati in prima linea nella liberazione e nella ripresa della sovranità, oggi sono in prima linea anche nell’affrontare e nel resistere all’occupazione, nel difendere il diritto nazionale violato, a Gerusalemme in particolare e nella Palestina occupata in generale.
Ogni tentativo di affrontare la loro causa senza considerare questi dati autentici e radicati nella coscienza delle nostre società nazionali, porta a conclusioni errate, fonda giudizi errati e conduce quindi a soluzioni errate.
È quindi importantissimo che questo Sinodo non sia solo un grido di sofferenza cristiana che risuona in questa valle di dolore qual è il nostro Oriente sofferente. La speranza si basa sulle fondamenta pratiche e scientifiche che il Sinodo getta a favore di un’iniziativa di cooperazione islamo-cristiana comune che possa proteggere i cristiani e tutelare i rapporti islamo-cristiani, affinché l’Oriente, luogo di rivelazione divina, sia ancora degno di innalzare lo stendardo della fede, della carità e della pace per se stesso e per il mondo intero.
INTERVENTO DELL’INVITATO SPECIALE, AYATOLLAH SEYED MOSTAFA MOHAGHEGH AHMADABADI, PROFESSORE DELLA FACOLTÀ DI DIRITTO DELL’UNIVERSITÀ “SHAHID BEHESHTI” DI TEHERAN; MEMBRO DELL’ACCADEMIA IRANIANA DELLE SCIENZE (IRAN)
Nel corso degli ultimi decenni, le religioni si sono trovate di fronte a nuove situazioni. L’aspetto più importante di questo fatto è la diffusa confusione dei loro discepoli nel contesto reale della vita sociale, come pure nelle arene nazionali e internazionali. Prima della Seconda Guerra Mondiale, e nonostante gli sviluppi tecnologici, i seguaci delle diverse religioni vivevano di solito all’interno dei propri confini nazionali. Non esisteva l’enorme problema dell’immigrazione né la vasta espansione della comunicazione che unisce gruppi sociali tanto differenti tra loro. Il mondo inoltre non era diventato quel “villaggio globale” che “lega” insieme tanti destini! Ma oggi siamo testimoni dei grandi cambiamenti occorsi dalla metà del secolo scorso e tale trasformazione prosegue a un ritmo incredibile. Ciò non ha avuto soltanto un effetto qualitativo sui rapporti tra le religioni, ma ha altresì condizionato i rapporti tra i diversi segmenti delle religioni e perfino tra i loro seguaci. È indubbio che nessuna religione può rimanere indifferente di fronte a questa situazione di rapidi cambiamenti.
Al termine del secondo millennio, il multi-culturalismo all’interno delle società è stato ovunque più o meno accettato. Fino ad allora la comprensione di una società multi-culturale era ben diversa da quella che sperimentiamo oggi. Una cultura appena entrata a far parte di una società poteva essere accolta soltanto come “la nuova Cultura” e non sulla base del proprio merito e pregio. Oggi invece sono sempre di meno le società e i gruppi che difendono una società culturale monolitica. L’esperienza dei Balcani ha dimostrato che il dominio culturale ed etnico di un gruppo rispetto agli altri non può essere difeso quando non tiene conto di altri gruppi esistenti all’interno della propria società. Questa è un’importante necessità reale e non un’isolata percezione intellettuale.
Nelle società in cui sono esistiti diversi gruppi etnici con le proprie lingue e religioni, per il bene della stabilità sociale e della sanità etnica, occorre che ognuno rispetti la loro presenza e i loro diritti. La concordanza di interessi e il benessere sociale a livello nazionale e internazionale sono tali che nessun gruppo o paese può essere trascurato. E questa è la realtà del nostro tempo. Come abbiamo detto, il rispetto reciproco tra le religioni rispecchia questo nuovo status raggiunto e in futuro occorrerà necessariamente prendere in considerazione queste nuove condizioni. Tutti condivideranno il destino gli uni degli altri. Oggi questa idea è condivisa da molti opinionisti e gradualmente un numero sempre maggiore di persone prenderà confidenza con questa realtà. Un requisito fondamentale di questo modo di pensare è quello di mettere da parte il nostro punto di vista classico, formale e condizionato su altre religioni e culture per poter avere una visione più obiettiva. Dobbiamo guardare alle altre culture con comprensione, rispetto e simpatia.
Allo stesso tempo è innegabile che esistano ancora punti di vista prevenuti e reazionari, che derivano da modi di pensare pieni di pregiudizi storici, espansionisti e che tendono alla supremazia politica e culturale. Ritengo tuttavia che alla lunga questo modo di pensare discriminatorio e sciovinistico diminuirà fino a scomparire.
Oltre a queste trasformazioni, hanno avuto luogo altri cambiamenti
culturali e intellettuali, anche se soprattutto nell’ambito del mondo occidentale e industrializzato. Ciò ha generato una sorta di riserva mentale e di dubbi, perfino su quelle istanze che precedentemente sembravano “inevitabili”. Adesso sembra diffondersi un desiderio e un interesse crescente di scoprire gli “altri”, altre culture e modi di vivere, altre filosofie e religioni. Tale desiderio, lungi dall’essere una curiosità, è piuttosto una necessità interiore e spirituale. Ciò avviene più frequentemente fra i giovani e i pensatori di queste società. Il fatto rilevante è che questo movimento condizionerà certamente la comprensione spirituale delle religioni di ciascuno. Va notato tuttavia che la tendenza più diffusa oggi è l’attenzione riservata alle fedi asiatiche e alle nuove sette religiose generate da società industrializzate con fondamenti soprattutto spirituali. Questi gruppi si arricchiscono quotidianamente di nuovi seguaci.
Non dobbiamo forse considerare inoltre quale sia la situazione ideale per i credenti e i seguaci? Qual è la migliore condizione raggiunta? Sembra che il mondo ideale sia uno stato in cui i credenti di ogni religione, liberamente e senza preoccupazioni, timori o obblighi, possano vivere secondo i principi fondamentali e le usanze dei propri costumi e tradizioni. Tale diritto universalmente riconosciuto dovrebbe essere messo effettivamente in pratica dagli stati e dalle comunità.
Inoltre i credenti di ogni fede dovrebbero avere il diritto di interpretazione della propria religione, nella misura in cui tale interpretazione sia fondata sullo spirito scientifico e fondamentale di quella religione. La verità è che quei credenti hanno una migliore percezione e diritto di interpretazione della propria fede di chiunque altro. È inutile osservare che naturalmente ogni fede deve avere la propria esegesi aggiornata, senza la quale il compito sarebbe difficile. A nessuno è consentito dare un’interpretazione per conto di altri e decidere per loro conto. Ogni fede ha la propria logica e il proprio metodo fondati sulle sue esigenze e sul proprio tempo. Ogni adattamento e conformità al di fuori di questo contesto che non venga riconosciuto dai fedeli, non ha legittimità, quindi non sarà né efficace né duraturo.
È bene per l’essenza di ogni religione e dei suoi fedeli che i discepoli di ciascuna fede possano esercitare i propri diritti senza vergogna e paura e vivere in conformità al proprio retaggio storico e alla propria cultura. La stabilità del mondo dipende dalla stabilità dell’esistenza di gruppi e società piccoli e grandi.Questa stabilità può essere raggiunta soltanto quando tutti possono vivere senza timore e senza minacce da parte degli altri. È questo l’elemento più importante per raggiungere la stabilità e la pace etica e sociale. È nostro dovere promuovere queste condizioni.
Il rapporto fra l’Islam e il Cristianesimo, basato sulle ispirazioni e le proposizioni del sacro Corano, dacché l’Islam si è stabilito in Arabia Saudita, si è fondato sull’amicizia, il rispetto e la comprensione reciproca. Nel sacro Corano Gesù viene definito come la “Parola di Dio” e credere in lui è stato stabilito come base per i credenti, al punto che ogni dubbio riguardo alla sua guida è stato denunciato. “.. troverai che i più prossimi all’amore per i credenti sono coloro che dicono: « In verità siamo nazareni», perché tra loro ci sono uomini dediti allo studio e monaci che non hanno alcuna superbia.” Mâ ida Sura, cap. 82.
“… Quando gli angeli dissero: ” O Maria, Allah ti annuncia la lieta novella di una Parola da Lui proveniente : il suo nome è il Messia , Gesù figlio di Maria, eminente in questo mondo…” Al – ‘Imrân Sura, cap. 45.
È un peccato che in alcuni periodi nei passati 1400 anni, talvolta a motivo di considerazioni politiche, questi rapporti abbiano vissuto momenti bui. Ma non bisogna incolpare né l’Islam né il Cristianesimo di azioni illegittime di alcuni individui o gruppi. Secondo gli insegnamenti del Corano, in molti paesi islamici, soprattutto in Iran, come è stato anche stabilito per legge, i cristiani vivono fianco a fianco in pace con i loro fratelli musulmani. Essi godono di tutti i diritti legali come ogni altro cittadino ed esercitano liberamente le proprie pratiche religiose. Per concludere, vorrei cogliere questa occasione per esprimere la mia gratitudine al Santo Padre, Papa Benedetto XVI per le sue osservazioni provvidenziali e vitali nei suoi discorsi a Gerusalemme e ad Istambul sull’importanza di un rapporto continuo, salutare e amichevole tra cristiani e musulmani. Questo approccio e questi comportamenti sono essenziali per tutti i credenti e certamente importanti per la pace nel mondo.
Grazie e che Dio vi benedica.