CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 15 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito gli interventi pronunciati questo venerdì mattina nell’ottava Congregazione generale dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.
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– S. Em. Makarios TILLYRIDIS, Metropolita di Kenya (KENYA)
In questo giorno speciale, è per me un grande onore, un onore che mi fa sentire profondamente umile, parlare davanti a Lei. È per me una benedizione poter prendere la parola in sua presenza, Sua Santità, da questa regione che sarà sempre unica nella storia del cristianesimo, perché è qui che la creazione ha tratto le sue origini. Per la maggior parte del mondo, il Medio Oriente è una regione instabile. Ma noi, in quanto credenti nel Vangelo di Cristo, la pensiamo diversamente, perché la nostra convinzione si fonda sugli insegnamenti del Principe della Pace.
Santità, le sue parole illuminate, quando ha parlato recentemente alla società britannica, hanno espresso questa convinzione. “Per questo vorrei suggerire che il mondo della ragione ed il mondo della fede – il mondo della secolarità razionale e il mondo del credo religioso – hanno bisogno l’uno dell’altro e non dovrebbero avere timore di entrare in un profondo e continuo dialogo, per il bene della nostra civiltà”. Questo messaggio è applicabile ed è molto rilevante per il Medio Oriente, dove la riconciliazione, l’amore e la comprensione sono realmente essenziali per la convivenza e la cooperazione pacifica.
San Tommaso d’Aquino una volta ha detto che a motivo delle diverse condizioni degli esseri umani, accade che alcune azioni siano virtuose per certe persone, giuste e appropriate, mentre le medesime azioni sono immorali per altri e inaccettabili. Ciò è chiaro in una situazione quale quella di questa regione, dove abita una mescolanza di religioni e culture, dove il credo di una persona non è simile a quello del suo prossimo. In Medio Oriente, libertà di religione di solito significa libertà di culto e non libertà di coscienza, vale a dire libertà di cambiare la propria religione in favore di un’altra. La situazione che si presenta qui è una situazione in cui la religione rappresenta una scelta sociale e perfino nazionale, e non individuale. Il cambiamento di religione è visto come un tradimento verso la società, fondata in gran parte sulla tradizione religiosa. Dobbiamo tuttavia ricordare sempre che ciò non chiude fuori l’amore necessario per l’unità e per la cooperazione di tutte le Chiese cristiane in Medio Oriente. È molto importante che noi pastori coltiviamo la fratellanza, in un amore sincero, ricordando le parole di Madre Teresa: se volete che un messaggio di amore sia ascoltato, dovete diffonderlo. Siamo chiamati quindi a diffondere un messaggio di amore a tutti quelli che ci circondano e che condizionano la nostra vita in molti modi.
Per quanto riguarda la comunità delle nostre sorelle e dei nostri fratelli musulmani, come pure la comunità ebraica, che convivono con noi, non possiamo che rispettare il loro credo e il loro modo di vivere. Dobbiamo coltivare il rispetto e la stima per tutte le fedi che ci circondano, mentre predichiamo il messaggio di amore e di pace in mezzo alle diverse religioni. La cooperazione con i non cristiani è molto importante per sanare ingiustizie passate e per promuovere la convivenza pacifica. Come pastori nella grande vigna di nostro Signore, vi incoraggio a procedere in umiltà, amore e comprensione, nel promuovere il grande mandato di nostro Signore in Mt 28, 19-20. Nell’umiltà, il messaggio di nostro Signore verrà sicuramente ascoltato da tutte le razze, i credi e le culture che ci circondano in questa regione.
Lasciatemi esprimere ancora una volta la mia sincera gratitudine per questo invito speciale, soprattutto a Sua Santità Papa Benedetto XVI. Auguro a tutti voi la pace dal nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. Che Egli ci mantenga sempre uniti nella fede.
– S. Em. Georges KHODRE, Metropolita greco ortodosso di Byblos, Botrys e Mont Liban (LIBANO)
Il mio intervento riguarda il seguente tema: “questa comunione all’interno della Chiesa cattolica si manifesta mediante due segni: il battesimo e l’Eucarestia nella comunione con il Vescovo di Roma”.
L’ambiguità di questa affermazione ruota intorno all’uso del vocabolo Chiesa cattolica e del legame dell’Eucaristia con il Papa. Ora, l’espressione inizia con Sant’Ignazio di Antiochia e designa la comunione in una Chiesa locale unita nella fede ortodossa al suo Vescovo a tal punto che la liturgia lo cita senza far riferimento a nessun’altra autorità ecclesiale. La citazione del Vescovo di Roma nella liturgia, al di fuori della propria diocesi, introduce l’idea della Chiesa universale di cui parla l’Instrumentum Laboris ripetuta anche nella messa d’inaugurazione di questo Sinodo. Il vocabolo introduce una nozione numerica, spaziale, sociologica mentre la Chiesa cattolica è costituita anch’essa localmente prima di tutto dal Signore come Suo Corpo. La Chiesa universale non ha forse come corollario l’esistenza di un Vescovo universale che eserciterebbe una giurisdizione sul mondo indipendentemente dall’Eucaristia, unico segno di comunione tra i cristiani. È l’Eucaristia che fa di noi ovunque “un popolo eletto, un sacerdozio reale, una nazione santa”.
Citando il Papa di Roma all’interno delle liturgie orientali, cerchiamo di invitare queste Chiese a una pratica che l’Oriente non hai mai conosciuto.
– S. Em. Mar Gregoios Yohanna IBRAHIM, Metropolita di Alep (SIRIA)
Innanzi tutto S.Em. Gregorios ha presentato i saluti di Sua Beatitudine il Patriarca a Sua Santità Benedetto XVI, auspicando la buona riuscita del Sinodo dei Vescovi. In seguito, ha toccato tre argomenti importanti, che sono:
1. L’emigrazione dei cristiani dal Medio Oriente, che ha definito una malattia mortale, dicendo che fino adesso questo tema non ha ricevuto la dovuta attenzione; prova ne è che l’emigrazione continua in modo imponente dappertutto. Il numero dei cristiani diminuisce ogni giorno e affinché questo male possa essere curato e si possano trovare soluzioni adatte a mettere fine a questo fenomeno è necessaria una conferenza speciale.
2. Per quanto riguarda il cammino ecumenico, S. Em. ha avanzato un nuovo suggerimento a Sua Santità il Papa, ovvero separare la comunione dall’autorità. In questo modo tutta la Chiesa entra in un’unica comunione e l’unità nella fede torna a essere quella che era prima dell’epoca delle divisioni.
3. Per quanto riguarda i rapporti con i mussulmani, S.Em. ha asserito che il nemico più pericoloso che cristiani e mussulmani devono affrontare è l’ignoranza, che spesso è ciò che domina il discorso religioso creando tensioni, instabilità e conflitti tra cristiani e mussulmani. Ha suggerito che la Chiesa cristiana promuova il pensiero illuminato e si affidi ai moderati.
Per concludere, ha dato i seguenti suggerimenti:1. Anche se forse questo argomento è già stato toccato da alcuni padri sinodali in questa assemblea, sono questi la sede e il momento per sottoporlo alla vostra attenzione onde procedere a un rapido approfondimento e tradurlo in realtà: si tratta di una richiesta generale di tutti i cristiani in Medio Oriente, ovvero trovare una soluzione per unificare la data della Festa di Pasqua. I cristiani attendono con impazienza di vedere la propria unità rappresentata da questo simbolo. Dunque, sarà questo venerabile Sinodo a prendere la decisione di unificare la Festa di Pasqua? Sua Beatitudine il Patriarca Gregorios Laham lo ha più volte annunciato, anzi è andato vicino a realizzare il sogno di tutte le Chiese del Medio Oriente di unificare la Festa di Pasqua. Questo può essere il primo passo verso la tanto anelata unità cristiana.
2. Le nostre Chiese sono radicate nella persecuzione e noi in Oriente siamo i figli dei martiri. Non dobbiamo dimenticare i martiri del XX e del XIX sec
olo, che furono vittime di massacri disumani, o ciò che noi Siri chiamiamo Sifo. La mia proposta è che Vostra Santità adotti l’idea di una festa unica per i martiri cristiani a livello universale e ciò non ha bisogno d’altro che del consenso di tutte le Chiese cristiane, affinché si stabilisca un giorno per la celebrazione della Festa dei Martiri dappertutto. Avremo fatto così un altro passo verso l’unità cristiana e, allo stesso tempo, perpetueremo la memoria dei nostri santi martiri ogni anno.
– S. E. Armash NALBANDIAN, Vescovo di Damasco, Primate (SIRIA)
1. Emigrazione.
Noi, come chiese cristiane, stiamo soffrendo a causa di un grande problema che riguarda l’emigrazione dei nostri fedeli credenti. Ciò non è causato da ragioni o circostanze politiche ed economiche dei paesi in cui viviamo, sebbene siano molte le difficoltà create dal conflitto israelo-palestinese, dalla guerra in Iraq, o dall’instabilità politica del Libano e di altri paesi mediorientali. La causa principale dell’emigrazione spesso è il piano delle politiche occidentali o internazionali, quando ignora l’esistenza dei cristiani in Medio Oriente e in Terra Santa, e quando accusa i nostri paesi o le nostre società di essere terroristici. Un paese islamico non significa automaticamente un paese terrorista.
2. Dialogo con l’Islam.
Ogni giorno testimoniamo la nostra fede cristiana, quando siamo costretti a chiarire lo spirito del messaggio del Vangelo, il messaggio d’amore, pace, tolleranza eccetera in paesi non cristiani, a causa della politica internazionale che vorrebbe dichiarare quasi tutti i paesi mediorientali terroristi e fondamentalisti islamici. Il dialogo interreligioso spesso necessita di grandi sforzi per trovare una via comune insieme ai nostri fratelli e alle nostre sorelle musulmani, nonché per accettare e rispettare il fatto che anche l’Islam contiene i principi d’amore, pace, solidarietà e la testimonianza di un Dio misericordioso, il Creatore onnipotente. Possiamo soltanto aspettarci che le Chiese occidentali alzino la voce o compiano degli sforzi contro i politici e tutti coloro che vogliono usare la religione per giustificare una guerra di interessi politici ed economici. L’autorità morale della Chiesa ha il suo peso e il suo valore sul piano delle decisioni politiche internazionali.
3. Dimensione ecumenica.
In Medio Oriente esiste fra le Chiese di varie confessioni un rapporto molto sano, vitale ed ecumenico. Nutriamo la forte speranza che l’Assemblea Speciale per i Vescovi del Medio Oriente ci offrirà nuove opportunità per trovare nuovi percorsi per il dialogo ecumenico, la collaborazione e la testimonianza del messaggio del Vangelo. Ma sentiamo un peso quando leggiamo, al paragrafo (9) dei Lineamenta, la seguente affermazione: “Dopo le divisioni e le separazioni, furono intrapresi periodicamente degli sforzi per ricostituire l’unità del Corpo di Cristo. In questo sforzo d’ecumenismo si formarono le Chiese cattoliche orientali”. Le nostre Chiese esistono in paesi che sono stati la culla del Cristianesimo. Sono i custodi viventi delle nostre origini cristiane. Queste terre sono state benedette dalla presenza di Cristo stesso e dalle prime generazioni di cristiani. Dobbiamo accettare i fatti storici, ma permetteteci di non parlare di “sforzi ecumenici”.
Auspichiamo che in seno a questa Assemblea Speciale per i Vescovi del Medio Oriente abbia luogo una riorganizzazione delle Chiese cattoliche e un rinnovamento della testimonianza della fede. Ma la missione, e così l’esistenza delle chiese cattoliche, può o deve essere intesa soltanto nella comunione ecumenica e nell’unità con le altre Chiese della regione.
– S. E. Shahan SARKISSIAN, Vescovo di Alep, Primate degli Armeni in Siria (SIRIA)
In “Christianity at the Crossroads in the Middle East” pubblicato nel 1981, Sua Santità Aram I si esprimeva già in questi termini: “Il Medio Oriente è stata la culla della Chiesa ma la presenza cristiana è ancora oggi minacciata. In questa regione che è stata la fonte della cultura cristiana e del pensiero teologico, la cultura e l’identità cristiane si indeboliscono. La Chiesa lotta anche per la sua esistenza e la sua sopravvivenza in Medio Oriente”. Questa preoccupazione che Sua Santità aveva espresso molto prima costituisce ancora oggi più che una realtà. Esistono situazioni in cui gli sforzi della Chiesa rimangono limitati. Ciò significa che è naturalmente impossibile cambiare in modo drastico le condizioni che ci circondano. Tuttavia, come Chiesa, potremmo determinare insieme dei processi relativi al nostro futuro impegno in vista di un rinnovamento e di una solidarietà interna più efficace. Vorrei portare all’attenzione del Sinodo le seguenti priorità:
1. Dovremmo manifestare più concretamente e più chiaramente l’unità delle Chiese che costituisce oggi più che mai un imperativo per il Medio Oriente. Nel rispetto delle differenze ecclesiologiche, le Chiese devono sempre essere insieme, programmare insieme e operare insieme.
2. Il rispetto e la comprensione reciproci costituiscono le basi del dialogo e della convivenza islamo-cristiana. Occorre approfondire la convivenza con l’Islam pur rimanendo fedeli alla propria missione e alla propria identità cristiana.
3. La testimonianza cristiana è la vocazione stessa della Chiesa. Rilanciare e promuovere l’educazione cristiana, il rinnovamento spirituale e la diakonia, l’evangelizzazione interna e la trasmissione dei valori cristiani ai giovani, la partecipazione attiva dei laici alla vita e alla vocazione della Chiesa, tutto ciò è considerato prioritario.
4. Dovremmo sottolineare l’importanza della cooperazione ecumenica istituzionale nonché del dialogo teologico bilaterale. La riforma e la riorganizzazione del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente costituiscono oggi una priorità maggiore rispetto a quella a cui sono già votate le Chiese membri.
Questo Sinodo è considerato, in un certo senso, da Sua Santità Aram I il Sinodo di tutte le Chiese mediorientali, poiché viviamo nelle stesse condizioni, condividiamo gli stessi problemi e ci troviamo di fronte alle stesse sfide. Perciò dobbiamo concentrarci collettivamente sulla presenza e la testimonianza cristiane in Medio Oriente e dedicarci insieme alla riorganizzazione e al rinnovamento del nostro impegno e della nostra missione.
– S. E. Michael LANGRISH, Vescovo di Exeter (REGNO UNITO)
Porto il saluto di Sua Grazia l’Arcivescovo di Canterbury. Ci preoccupa l’emigrazione dei cristiani in molte regioni del Medio Oriente e le circostanze che rendono difficile la loro permanenza e il loro prosperare. Su questa situazione c’è troppa ignoranza tra i cristiani dell’Occidente. Gli anglicani cercano di fare la loro parte, insieme alle Chiese storiche del Medio Oriente, per aumentare la consapevolezza dei governi e dei media, come pure dei loro stessi membri. Cerchiamo di operare insieme in un impegno profetico con le scritture, sicuri della speranza e della verità del Verbo incarnato di Dio. Questi argomenti sono stati discussi dall’Arcivescovo e dal Santo Padre nel corso della recente visita apostolica del Papa nel Regno Unito. Attraverso lo studio, la preghiera, la tutela, il pellegrinaggio e attraverso il pieno inserimento delle Chiese cattoliche d’Oriente nel nostro dialogo ecumenico, così come avviene per le nostre sorelle e i nostri fratelli ortodossi, cerchiamo di crescere nella capacità, per grazia di Dio, di restare strettamente uniti, in un sol corpo, all’unico Signore da cui siamo chiamati e santificati.
[Testo originale: inglese]– S. Em. Mar Gregoios Yohanna IBRAHIM, Metropolita di Alep (SIRIA)
Messaggio del Rev. Dr. Olav Fykse Tveit, Segretario Generale del Consiglio Mondiale delle Chiese.
È un onore e un privilegio per il Consiglio Mondiale delle Chiese (WCC) prendere la parola in questa venerabile assise sinodale riunita in Assembl
ea Speciale per il Medio Oriente, che rappresenta un’effettiva opportunità di spronare i cristiani della regione, ortodossi dell’Est e dell’Oriente, cattolici ed evangelici, nella loro presenza e testimonianza.
È stata questa la sollecitudine e lo sforzo della famiglia ecumenica negli ultimi anni, perché tutti noi crediamo fermamente che la nostra fede apostolica è radicata sia nei luoghi in cui ha avuto luogo l’evento della salvezza, sia nella regione da cui la Buona Novella si è diffusa all’ecumene (a tutto il mondo abitato). Nello stesso tempo la nostra fede è sollecitata e tenuta in vita grazie alla nostra comunione e solidarietà con i nostri fratelli e sorelle della regione. Sappiamo che le nostre sorelle e i nostri fratelli continuano a testimoniare la medesima fede, perché Dio non “ci ha dato uno spirito di timidezza ma di forza, di carità e di prudenza” (2 Tm 1, 7). Vediamo che questo spirito li conferma nella loro risolutezza e speranza, nella loro battaglia per una pace giusta, per la dignità umana, la libertà e l’uguaglianza fra i cittadini. È vero, lo Spirito invita tutti noi ad azioni concrete mentre affianchiamo i nostri membri e le Chiese sorelle della regione nella missione che Dio ha loro affidata.
Le Chiese che fanno parte del WCC hanno affermato con chiarezza che, in quanto cristiani, siamo chiamati a pregare e operare per una pace giusta in Gerusalemme, fra tutte le persone che vi abitano e nell’intera regione. Sappiamo che Gerusalemme ha uno speciale significato per tutti e sappiamo che l’attuale conflitto israelo-palestinese ha un impatto molto negativo su tutta la regione e ben al di là. Riteniamo inoltre che una giusta pace per Gerusalemme in futuro potrebbe avere un effetto molto positivo anche sulle Chiese e sulla loro presenza e testimonianza nella regione.
Già nel giugno del 2007, il WCC ha convocato una conferenza ecumenica internazionale di pace ad Amman, dove i capi delle Chiese di Gerusalemme hanno rivolto alle loro sorelle e ai loro fratelli in Cristo questo urgente appello: quello che è troppo è troppo, basta parole senza opere, è tempo di agire. Noi, Chiese e partners ecumenici di tutto il mondo abbiamo loro promesso che insieme agiremo, pregheremo, parleremo, opereremo e rischieremo vita e reputazione per costruire insieme a voi ponti di pace duratura tra i popoli di questo martoriato e bellissimo luogo per porre fine a questi decenni di ingiustizia, umiliazione e insicurezza, per porre fine ai decenni che hanno generato rifugiati e sottoccupati. Lavoreremo con voi alla ricerca e al raggiungimento della pace. Abbiamo lasciato passare troppo tempo. Il tempo non ha giovato alla causa della pace, bensì a quella dell’estremismo. Questo è il nostro obiettivo urgente che non può più aspettare”.
Nel corso della mia recente visita a Gerusalemme, sono stato nuovamente sollecitato dai Capi delle Chiese locali a sostenere la fine dell’occupazione, che porterà giustizia e pace a vantaggio sia dei palestinesi che di Israele, e a ristabilire la loro umana dignità. Questa è l’esigenza più urgente che abbiamo udito anche dai cristiani palestinesi, che ci sfidano con la loro parola di fede, speranza e amore dal profondo della loro sofferenza. Il loro documento “Kairos” infonde speranza laddove sembra non esserci più alcuna speranza. Esso esprime la loro fede in Dio che ama allo stesso modo tutti i popoli della regione. Fa appello a una resistenza che affonda le sue radici nella logica dell’amore che cerca e impegna l’umanità dell’occupante.
Il vostro venerabile Sinodo rappresenta un’opportunità unica dataci da Dio per amplificare l’appello corale della Chiesa cattolica e renderlo udibile, così da portare pace e giustizia a tutti. Il Sinodo sta suscitando grandi aspettative senza precedenti in tutti i cristiani del Medio Oriente, soprattutto gli iracheni e i palestinesi, che soffrono per gravi tribolazioni. Occorre infatti che tutti i cristiani della regione rinnovino i loro impegni ecumenici e diano nuovo impulso allo strumento privilegiato a tale scopo, rappresentato dal Consiglio delle Chiese del Medio Oriente.
Adesso è il momento di agire insieme. Per noi cristiani ciò deve fondarsi su tre imperativi fondamentali: un imperativo etico e teologico per una pace giusta, un imperativo ecumenico per l’unità nell’azione e l’imperativo del Vangelo per una ricca solidarietà e amore per il nostro prossimo.
Operiamo insieme e uniamoci nel nostro sincero appello ai governi interessati della regione e del mondo affinché una pace giusta, autentica e duratura regni nell’intera regione.
Preghiamo e operiamo insieme affinché i cristiani in Medio Oriente continuino a essere il “sale della terra” (Mt 5, 13) e la “luce del mondo” (Mt 5, 14).
Accompagniamo le Chiese della regione nel loro compito di trasformare la società.
Preghiamo e operiamo insieme per rafforzare la loro comune presenza e testimonianza.
Che Dio nostro Padre benedica voi e il vostro Sinodo. Che Suo Figlio, il nostro comune Signore Gesù Cristo, vi guidi e illumini le vostre menti e i vostri passi durante le vostre deliberazioni. Che lo Spirito Santo vi rafforzi e mantenga voi e le vostre Chiese particolari nell’amore del Padre.
– S. B. Mar Gewargis SLIWA, Metropolita di Baghdad e Iraq (IRAQ)
Sono lieto di portarvi i saluti e le preghiere del nostro Patriarca Sua Santità Mar Dinkha IV.
Tutti i cristiani del Medio Oriente e soprattutto i cittadini cristiani dell’Iraq sono al corrente di questi incontri. Tutti loro la considerano un’assemblea spirituale e santa e ritengono che qualsiasi cosa – e in qualunque momento – noi chiediamo a Dio per la loro salvezza e felicità, Lui la concederà. Per questo motivo ritengo che questa assise rappresenti per noi una grande responsabilità se non si otterrà ciò che essi si aspettano; dobbiamo essere consapevoli che la loro fede e la loro appartenenza alla Chiesa ne verranno influenzate.Continuiamo, tutti noi, con i nostri diversi giardini, belli e santi, a operare insieme in amicizia, fratellanza e spiritualità, a innaffiare le radici del cristianesimo in questo nostro paese, a salvare il nostro mondo da molti temibili disastri, a vivere con rispetto e amicizia insieme ad altri credenti nel nostro onnipotente Dio ovunque noi siamo, a essere cittadini buoni e rispettati nel paese e a essere buoni vicini di quanti vivono nel bisogno.
Tutti i popoli del mondo, tutti i governi, tutte le Chiese e tutte le organizzazioni umanitarie, ovunque nel mondo, sanno ciò che sta avvenendo in Iraq e comprendono chiaramente le circostanze inattese e le orribili situazioni che affliggono il popolo iracheno in generale, e soprattutto i cristiani iracheni dall’invasione del 2003.
I problemi e le sofferenze dei cristiani in Iraq sono diversi da quelli di altri cristiani nei paesi del Medio Oriente.
Dobbiamo impegnarci a individuare e studiare per comprendere le ragioni che hanno causato circostanze tanto inattese e orribili e riconoscere cosa ci sia dietro a tutto questo affinché questa assemblea possa trovare la soluzione che metta fine a ciò che sta accadendo nel nostro paese e che impedisca ai cristiani iracheni di pensare di abbandonare la regione.
La situazione esige misure e azioni rapide, sagge e urgenti. Altrimenti i cristiani iracheni, stanchi e sofferenti, non si ispireranno e non riporranno più speranza in queste assemblee e diranno: “Fino a quando dovremo aspettare?” e quindi si prepareranno ad abbandonare questa culla della civiltà e del cristianesimo.
Per me questo importante incontro rappresenta un’opportunità per chiedere a voi, cari sorelle e fratelli, a seconda delle vostre posizioni e responsabilità, di fare pressioni sulle organizzazioni internazionali umanitarie e politiche, affinché salvino il popolo iracheno in generale da questa distruzione e creino circostanze pacifiche che tutelino l’esistenza dei cristiani nel paese. Ciò contribuirà ad arginare la migrazione dei cristiani e non darà più preoccupazioni a
quei governi occidentali che si chiedono se accoglierli o meno.
Auguro a questa felice assemblea un esito pieno di successo e di frutti, affinché rafforzi la fede e la speranza dei nostri credenti della santa Chiesa.
– S. Em. R. Card. Jean-Louis TAURAN, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso (CITTÀ DEL VATICANO)
L’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi rappresenta un’opportunità e una sfida!
Una opportunità, perché essa dovrebbe permettere di comprendere meglio:
– che i conflitti irrisolti della regione non sono affatto causati da motivi religiosi, ne è testimonianza la presenza fra noi di rappresentanti dell’ebraismo e dell’islam;
– l’urgenza di un riflessione a tre (ebrei, cristiani e musulmani) sul posto occupato dalle religioni nelle società mediorientali.
Una sfida, cioè quella di offrire ai cristiani del Medio Oriente orientamenti concreti:
– non siamo timidi nel reclamare non solo la libertà di culto, ma anche la libertà religiosa: la società e lo Stato non devono né costringere una persona ad agire contro la propria coscienza, né impedirle di agire secondo la propria coscienza;
– investiamo di più nelle nostre scuole ed università frequentate dai cristiani e dai musulmani: esse sono laboratori indispensabili del vivere insieme;
– chiediamoci se facciamo abbastanza, a livello di Chiese locali, per incentivare i nostri cristiani a rimanere sul posto: alloggio, spese per la scuola e la salute. Non ci si deve attendere tutto dagli altri…
Un suggerimento
La valorizzazione della letteratura arabo-cristiana potrebbe svolgere un ruolo nel dialogo fra cristiani e musulmani; soprattutto nella sua dimensione culturale (n. 96) si dovrebbe almeno insegnarla nelle nostre scuole parallelamente con la letteratura araba.
– S. E. R. Mons. Giacinto-Boulos MARCUZZO, Vescovo titolare di Emmaus, Vescovo ausiliare di Gerusalemme dei Latini, Vicario Patriarcale di Gerusalemme dei Latini per Israele (ISRAELE)
1.È assolutamente il più grande bisogno della Chiesa in Medio Oriente. La formazione è la priorità pastorale che il Sinodo speciale per il Medio Oriente dovrebbe adottare. Certo, il Medio Oriente cristiano ha un forte attaccamento alla fede. Ma questa è ereditaria, sociale e confessionale. Per rendere la nostra fede più personale, impegnativa e vivente, abbiamo bisogno di una mediazione culturale storica della fede.
2. Il metodo migliore per questa operazione pastorale di fede e di chiesa, ne sono convinto, è quella tradizionale e sempre nuova: Vedere, giudicare, agire. Vedere la realtà, i cambiamenti e i “segni dei tempi”; giudicare la realtà alla luce della Parola di Dio e della fede, e fare un buon discernimento; finalmente passare alla vita programmando delle piste di azione e d’impegno. È il metodo del Vangelo, dell’Incarnazione, del cammino di Emmaus, della tradizione della Chiesa soprattutto orientale, del Vaticano Il e, del resto, anche del nostro Instrumentum Laboris.
3. È veramente un metodo efficace? Sì, storicamente e attualmente. Nel settimo e ottavo secolo, le Chiese d’Oriente si sono salvate perché han saputo fare questa grande mediazione culturale e storica della fede. Questa mediazione ha salvato letteralmente la presenza cristiana nel MO, mentre è sparita in altri paesi. Questa mediazione ci ha dato la “Teologia araba cristiana”, un patrimonio inestimabile della Chiesa in Oriente. Attualmente, in Terra Santa tutte le Chiese cattoliche hanno compiuto un’altra grande mediazione culturale e hanno fatto l’esperienza di un Sinodo pastorale diocesano che ha letteralmente ravvivato e rinnovato la nostra fede, e ci ha dato un”Piano generale pastorale” comune, per questo tempo.
4. Essendo il metodo migliore nei momenti di novità e cambiamento, la mediazione culturale della fede è pure quella più indicata per la nostra situazione in Israele dove abbiamo due grandi novità storiche di Chiesa:
a) Una comunità araba palestinese che vive in minoranza fra una maggioranza di ebrei;
b) la nascita di una “Comunità cattolica di espressione ebraica”.
– S. E. R. Mons. Riccardo FONTANA, Arcivescovo di Arezzo-Cortona-San Sepolcro (ITALIA)
Desidero esprimere viva riconoscenza al Santo Padre che, chiamandomi in Sinodo, mi ha permesso di fare questa preziosa esperienza di Chiesa.
Ho l’onore di portare a questa assemblea il saluto e la vicinanza spirituale dei Vescovi italiani. Amo fare riferimento in particolare ai numeri 54 e 59 dell’ Instrumentum Laboris e alla riflessione del paragrafo A, parte seconda, della bellissima Relatio ante disceptationem.
Vi è una attenzione veramente grande nelle nostre Chiese italiane verso i luoghi santi. Nei soli primi sei mesi del 2010 sono partiti 1.600.000 pellegrini diretti in Palestina. A nome dei miei fratelli Vescovi, vengo a dire in Sinodo che è più quanto riceviamo in termini di vita spirituale e di ricerca di fede a favore dei nostri pellegrini, di quanto si riesce a dare con la nostra solidarietà.
Accanto ai pellegrinaggi della tradizione, vi è sempre più frequente l’uso di andare in Terra Santa, alla ricerca della Apostolica vivendi forma.
Una grande attenzione trova nella Chiesa italiana la condizione di vera sofferenza del popolo palestinese e di quella porzione silenziosa di ebrei israeliani che non accettano, in nome della sicurezza, le situazioni discriminatorie che scatenano terrorismo e violenza.
L’assoluta povertà dei cristiani di Terra Santa e del Medio Oriente ha fatto nascere in Italia un sempre più ampio numero di progetti caritativi. A titolo esemplificativo, solo nei primi 5 anni del Millennio, la CEI ha finanziato progetti nell’ area per oltre 25 milioni di euro. Ad essi vanno aggiunti quelli degli Istituti religiosi e delle singole Diocesi.
C’è bisogno di fare di più. Ci viene spesso ripetuto che gran parte delle decisioni che potrebbero aiutare le Chiese del Medio Oriente sono prese in Occidente. La Santa Sede con i suoi canali diplomatici, noi Vescovi con la possibilità di influire sulla pubblica opinione, potremmo far presente ai rispettivi governi che Gerusalemme e le cristianità del Medio Oriente sono tra le priorità irrinunciabili per tutti i cristiani. Tra i frutti di questo Sinodo si spera ci sia di far conoscere meglio alle Chiese d’Occidente quanto nelle Chiese d’Oriente è motivo di sofferenza. Far conoscere è il primo passo per trovare soluzioni. Sensibilizzare e fare opinione è cosa possibile in Occidente e assai utile per il bene comune.
– S. E. R. Mons. Joseph KHOURY, Vescovo di Saint-Maron de Montréal dei Maroniti (CANADA)
L’eparchia San Marone in Canada vuol innanzitutto esprimere la sua gratitudine a Sua Santità Papa Benedetto XVI per la sua sollecitudine nei confronti dei cristiani d’Oriente. Questo Sinodo, per Sua volontà a loro dedicato, susciterà una profonda riflessione sulla loro situazione attuale e sul loro futuro. Interpellerà senza dubbio la coscienza e la responsabilità di ogni cristiano della regione e in particolare quella dei pastori e dei leaders politici e sociali. I lavori dovrebbero anche richiamare una particolare attenzione da parte dell’élite intellettuale e della classe dirigente dei paesi del Medio Oriente.
I cristiani d’Oriente si trovano a casa propria fin dalla notte dei tempi. Testimoni dei primi tempi del cristianesimo, la ricchezza del loro patrimonio spirituale e liturgico è inestimabile. Il loro contributo all’insieme della cristianità, al progresso dei paesi in cui vivono e alla convivialità e al dialogo delle culture sono un dato di fatto. La loro apertura all’Oriente e all’Occidente ha fatto di loro un trait-d’union indispensabile per una migliore conoscenza reciproca.
Impegnati in un dialogo sincero e leale con le altre famiglie religiose della regione e rispettosi della differenza, hanno diritto a una vita dignitosa e sicura. Devono p
oter testimoniare la loro fede liberamente.
Dalla sorte dei cristiani d’Oriente dipenderà gran parte dell’evoluzione del dialogo delle culture e delle religioni e in particolare i rapporti tra l’Oriente e l’Occidente. Vogliamo credere che nel mondo, diventato un villaggio globale in cui paradossalmente fondamentalismi e settarismi sono sempre più violenti e intransigenti, la giustizia, la convivialità e i diritti fondamentali abbiano sempre un posto.
– S. E. R. Mons. Joseph KALLAS, S.M.S.P., Arcivescovo di Beirut e Jbeil dei Greco-Melkiti (LIBANO)
I cristiani del Medio Oriente hanno avuto una sorte diversa da tutti i cristiani del mondo: non avendo mai avuto uno stato proprio e appartenendo a famiglie linguistiche diverse, sono stati sempre mantenuti nell’insicurezza da persecuzioni e oppressioni. Condizionati dallo scontro e dalla supremazia dell’Islam, hanno saputo adattarsi al potere musulmano e contribuire con esso alla costruzione della civiltà. Sottoposti a leggi di segregazione più o meno oppressive nei secoli e talvolta ai margini della comunità, hanno approfondito la propria teologia spirituale nonché la loro cultura umana, facendosi interpreti dei greci per gli arabi e sviluppando le scienze dell’astronomia, della medicina, della matematica ecc….
Questi cristiani, vivendo della fede e perseguendo la conoscenza di Cristo e della “ potenza della sua risurrezione” (Fil 3, 10), sono stati associati, loro malgrado, ai dibattiti dei teologi. Giorno dopo giorno, si scopre che appartengono alla stessa fede dei cattolici e che hanno sempre seguito i loro pastori, eredi degli Apostoli. Non è corretto classificarli tra le correnti teologiche estremiste, causa di eresie e di scismi.
Sono tutti uniti dalla fede vissuta, nell’azione quotidiana, nella speranza della salvezza e nella fedeltà a Cristo. È in questo che sono uniti e che meritano di entrare nella stessa comunione. La loro divisione è, a parer mio, questione di giurisdizione istituzionale. Non si può applicare loro il rigore dogmatico o canonico dell’Occidente, ma piuttosto l’economia pastorale di San Paolo.
– S. E. R. Mons. Patrick Altham KELLY, Arcivescovo di Liverpool, Rappresentante delle Conferenze Episcopali per la Coordinazione Internazionale di supporto della Chiesa Cattolica Romana in Terra Santa (GRAN BRETAGNA)
All’inaugurazione del Sinodo il Santo Padre ha condiviso con noi l’ispirazione e la guida offerte a questo Sinodo dall’insegnamento del Concilio di Efeso del 431: Maria Theotokos, Maria Madre di Dio.
Questa convinzione, garantita dallo Spirito Santo, esige nuovi modi di pensare. L’incontro con gli eventi legati alla Persona, che è il Verbo fatto carne, ha scosso forme preesistenti di osservare, comprendere, giudicare e decidere.
Le preoccupazioni specifiche che emergono in questo Sinodo possono essere individuate con più chiarezza, comprese con maggiore coerenza, giudicate in modo più idoneo, e condurre in tal modo ad azioni più salutari, avendo presenti gli insegnamenti del Concilio di Calcedonia del 451.
– S. E. R. Mons. Thomas OSMAN, O.F.M. Cap., Vescovo di Barentu (ERITREA)
Anche noi viviamo in situazioni estremamente difficili per un complesso intreccio di problemi e di emergenze ambientali, economiche e politiche. L’ esperienza di fraterna comunione che ci è concessa di vivere in questi giorni, riuniti intorno al Santo Padre, è certamente un dono dello Spirito Consolatore per tutte le nostre comunità in Eritrea.
La presenza di una chiesa africana come la nostra, ethio-eritrea, nel contesto di un Sinodo sulla “Chiesa Cattolica nel Medio Oriente” si specifica per una molteplicità di significati. Geograficamente siamo un punto di raccordo tra l’Africa e l’Asia e, proprio per questo, la nostra area è stata lungo i millenni luogo di fecondi incontri fra gruppi umani, culture e religioni fra le due sponde del Mar Rosso.
La componente culturale semitica, venuta a coniugarsi con le pre-esistenti culture nilo-sahariane e cuscitiche già in epoca precristiana e antico-cristiana, ha costituito il terreno su cui si è innestata la predicazione del Vangelo e l’insieme delle tradizioni giudeo-cristiane che fanno parte del modello di Cristianesimo sviluppatosi nel nostro territorio. Non si è trattato di un mera trasposizione di modelli culturali, ma di una vera e propria simbiosi inculturatrice che ha permesso al Cristianesimo, come ha riconosciuto il Sinodo dei Vescovi per l’Africa del 1994, di radicarsi nella “mens” e nell’ humus culturale del nostro popolo. Parte costitutiva di tale simbiosi furono le tradizioni liturgiche. spirituali-monastiche e letterarie originariamente mutuate dalle Chiese copta e siriaca, sviluppatesi poi “in proprio” lungo i molti secoli di isolamento del nostro paese dopo il declino del regno di Aksum, e che hanno dato fecondi frutti nella vita interna delle comunità cristiane e nella diffusione del Vangelo.
Siamo convinti che ancora oggi la nostra regione possa e debba continuare a svolgere la sua missione di “ponte” di incontro fra l’Africa e il Medio Oriente in un arricchente scambio di valori spirituali e culturali, di esperienze e di incontri. come sta avvenendo proprio in questo sinodo. Ciò potrebbe essere facilitato, fra l’altro, con l’istituzione, da realizzarsi possibilmente con la mediazione della Congregazione per le Chiese Orientali, di strutture culturali e di modalità formali e informali di studi, di incontro e di riflessione. Così da poter riproporre, insieme, un’ efficace testimonianza di “unità dei cuori e delle anime” di fronte alla minaccia della mancanza di pace e della varietà di forze disgregatrici che incombono sui nostri continenti.
La possibilità di fare delle due aree del Mar Rosso un laboratorio di pace, di dialogo interculturale ed inter-religioso si gioca infatti sulla capacità delle nostre comunità cristiane di mettere a fondamento della diplomazia formale questa diplomazia dello spirito e del cuore che è, anzitutto, dono dello Spirito di Gesù Cristo, Spirito di pace e di amore.
– Archimandrita Jean FARAJ, B.S., Superiore Generale dell’Ordine Basiliano del SS.mo Salvatore dei Melkiti (UNIONE DEI SUPERIORI GENERALI)
Vorrei semplicemente raccontarvi la nostra umile esperienza nell’Ordine Basiliano del Santissimo Salvatore, la cui casa madre, nata trecento anni fa, si trova nello Shuf, regione conosciuta per il suo pluralismo confessionale (drusi, musulmani e cristiani). Ecco, brevemente, i principi che hanno ispirato la nostra azione:
– Amare: l’amore del prossimo, anche se diverso, ci ha aperto molte porte chiuse e ci ha garantito la continuità per 300 anni.
– Perdonare: per 6 volte nella nostra storia, siamo stati saccheggiati, bombardati e sfrattati dai nostri conventi, dalle nostre parrocchie e dalla nostra regione. Più di 25 sacerdoti e religiosi sono stati martirizzati crudelmente. Perdonare, inoltre, ci sembra l’unica via possibile per andare avanti e per durare.
– Credere: siamo gli ambasciatori di Cristo là dove viviamo. La fede in nostro Signore ci insegna a vivere, non per noi ma per gli altri. La nostra missione è accettare l’altro, così com’è, e soprattutto accettare la croce che è il segno della nostra salvezza.
– Testimoniare: lo stile di vita è più eloquente dei discorsi. Le persone, di qualunque nazionalità o religione, si sentono attratte dai santi. Vengono a pregarli e a chiedere il loro aiuto. Il nostro convento, come anche i vostri, costituisce un luogo di attrazione per le persone che ricercano la pace e l’intercessione divina. Perciò, l’esempio è la garanzia del successo e della continuità.
– Educare: il nostro dovere principale è educare la nuova generazione all’apertura, all’amore, all’accettazione dell’altro e, non solo, ad andare a fondo per vedere l’immagine di Dio in ogni essere umano e ad educare i giovani a scoprire questa immagine in se stessi
e negli altri. Potrei dire persino che siamo stati edificati da alcuni dei nostri fratelli e sorelle di altre religioni: ci hanno insegnato la fedeltà, la generosità, la devozione e il rispetto.
Vorrei concludere dicendo che, se la Chiesa del Medio Oriente vive situazioni molto difficili, o addirittura drammatiche, ha il privilegio di vivere il mistero della Croce, partecipando così alle sofferenze di Cristo, che la condurranno alla Resurrezione.
– S. E. R. Mons. Giuseppe NAZZARO, O.F.M., Vescovo titolare di Forma, Vicario Apostolico di Alep (SIRIA)
Il Vicariato Apostolico di Aleppo cura pastoralmente i fedeli di rito latino che vivono nella Repubblica Araba di Siria. Le origini di questi fedeli risalgono al tempo delle Repubbliche marinare d’Italia: Venezia, Genova, Pisa ed Amalfi. I mercanti di queste Repubbliche avevano stabilito in Aleppo, città strategica posta sulla via della seta che conduceva fino all’Estremo Oriente, i loro empori commerciali, col tempo si stabilirono in città in maniera fissa. I Francescani, presenti ad Aleppo fin dal lontano 1238, si occuparono della loro cura spirituale.
Oggi i fedeli di rito Latino sparsi sul territorio siriano raggiungono circa 12.000 unità. A questi si aggiungono altrettanti fedeli stranieri facenti parte delle Ambasciate, tecnici, e lavoratori di varie categorie. <br>Vivono nel Vicariato di Aleppo una quarantina di sacerdoti, la maggior parie di questi sono Frati Minori della Custodia di Terra Santa ai quali è commessa in modo particolare la cura pastorale dei fedeli.
Abbiamo la grazia di avere in Vicariato due monasteri di religiose contemplative (il monastero delle sorelle Carmelitane in Aleppo) ed il monastero delle Monache Cistercensi della stretta Osservanza (comunemente chiamate Trappiste) che è stato aperto solo da un paio di mesi nella zona di Azeir (Talkalakh). A queste si aggiungono un’altra ottantina di Religiose appartenenti a 12 Congregazioni differenti che, per la maggior parte prestano il loro servizio e la loro collaborazione con i parroci delle diverse chiese Orientali presenti sul territorio.
Il Vicariato Apostolico intende servire i fedeli di rito latino e contemporaneamente tendere la mano ad ogni persona che chiede di cooperare con esso, a servizio della Chiesa tutta di Siria e per la Gloria di Dio.
In questa sede desidero incoraggiare il lavoro svolto dall’Assemblea della Gerarchia Cattolica di Siria. Tuttavia auspico una maggiore collaborazione, soltanto se saremo uniti, se sapremo rispettarci l’un l’altro, daremo alla Chiesa di Siria coraggio per accettare le difficoltà cui va incontro.
La Chiesa di Siria è formata da piccole Comunità, nessuno si può considerare maggiore o più forte dell’altro. Tutti siamo in una medesima e precaria situazione. Questo fa sì che è assolutamente necessario camminare mano nella mano. Dobbiamo unire le nostre forze e sormontare i nostri sentimenti settari per far sì che nella terra che diede i natali nella fede all’ Apostolo Paolo prevalga soltanto il bene comune.
– S. B. Em. Card. Emmanuel III DELLY, Patriarca di Babilonia dei Caldei (IRAQ)
Molti desiderano ascoltare qualche cosa dell’Iraq che oggi occupa nei media un posto importante, ed un poco lo dico subito, esagerato:
Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno parlato in questa aula sull’Iraq e hanno mostrato la loro simpatia verso questo paese che fu la culla dei cristiani e in modo particolare la culla della chiesa caldea, della chiesa orientale nell’impero persiano e che fino a oggi il 78% dei cristiani della Mesopotamia sono caldei cattolici. La popolazione di questo paese attraversato da due famosi fiumi Tigri e Eufrate è di 24 milioni tutti musulmani coi quali viviamo pacificamente e liberamente. A Bagdad solo, capitale dell’Iraq, i cristiani hanno 53 cappelle e chiese. I caldei hanno più di sette diocesi nel paese, il patriarca della chiesa caldea abita oggi a Bagdad.
I cristiani sono buoni coi loro confratelli musulmani, e nell ‘Iraq c’è tra loro un reciproco rispetto. Le scuole cristiane sono ben estimate. Oggi la gente preferisce frequentare queste scuole dirette dagli istituti cristiani e in modo speciale delle religiose.
Nonostante tutte le situazioni politiche e religiose, e l’emigrazione, abbiamo oggi nell’Iraq quasi un milione di cristiani su 25 milioni di musulmani. Abbiamo la libertà di religione nelle nostre chiese.
Il capo religioso vescovo o sacerdote è ben ascoltato e rispettato dai responsabili connazionali.
Abbiamo il nostro seminario, i monaci e le religiose e le suore caldee
Sono anche intervenuti i seguenti Uditori e Uditrici:
– Sig. Epiphan Bernard Z. SABELLA, Professore Associato di Sociologia presso l’Università di Betlemme (TERRITORI PALESTINESI)
Il modello dei dodici discepoli di Gesù andati nel mondo per predicare la Buona Novella deve essere anche il nostro modello nelle Chiese in Medio Oriente. Il loro “piano d’azione” è stata la testimonianza della vita, morte e risurrezione di Gesù Cristo. E questo è anche il nostro “piano d’azione” oggi. La Chiesa in Medio Oriente è costituita da una moltitudine con diverse ricche tradizioni, liturgie e potenzialità, e tutti insieme siamo chiamati ad avere un piano d’azione comune che affronti:
1) La pacificazione nella regione, di modo che una pace giusta e duratura nel conflitto arabo-israeliano possa vedere uno Stato Palestinese con Gerusalemme Est come capitale che viva in pace con se stesso e con i vicini. Dobbiamo lavorare per questa pace anche in seno alle nostre società.
2) Le disuguaglianze sociali, economiche e culturali che risultano nella povertà, nella disoccupazione e nella disperazione per milioni di nostri connazionali. Basiamo il nostro intervento sulla dottrina sociale della Chiesa e facciamo riferimento agli Obiettivi di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite. Sua Santità Papa Benedetto ci ha messo in guardia contro gli idoli come il capitalismo sfrenato con il suo disegno di profitto. La nostra regione è la più ricca e al contempo al più povera del mondo.
3) Emigrazione e immigrazione: occorre prestare attenzione a gruppi particolari, specialmente ai giovani con una formazione e capacità elevate, in grado di competere nel mercato del lavoro mondiale, che sono i più probabili candidati a emigrare. Abbiamo bisogno di loro per rinvigorire la Chiesa e dobbiamo impegnarci per coinvolgerli. Allo stesso tempo dobbiamo rispettare i diritti umani e la dignità degli immigranti che vengono a lavorare in Medio Oriente.
4) La visione del futuro per le nostre società e la nostra regione è basata sulla pari cittadinanza, sulle analoghe opportunità, i diritti umani e la giustizia sociale.
Le Chiese devono fornire un modello di leadership che sostenga le comunità ecclesiali stesse e le loro società. Dobbiamo tutti andare via di qui rafforzati dal Santo Padre per sviluppare strategie che siano utili per le nostre Chiese e allo stesso tempo per le nostre rispettive società. Il modello dei primi discepoli deve darci la speranza oltre che il sostegno della Chiesa universale.
– Prof. Agostino BORROMEO, Governatore Generale dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme (ITALIA)
Il presente intervento è incentrato sul tema dell’emigrazione ( nn. 43-48 dell’Instrumentum Laboris). È evidente che il fenomeno dell’emigrazione dai paesi del Medio Oriente è determinata da fattori sui quali la Chiesa stessa – com’è giustamente sottolineato al n. 44 – non può incidere efficacemente. Oltre ai tradizionali aiuti alle Chiese, si potrebbe tuttavia cercare di porre in essere nuove strategie miranti a creare migliori condizioni di vita a favore dei cristiani.
Cito alcuni esempi: 1) costruzione di alloggi sociali; 2) la creazione di ambulatori medici nelle località distanti dai centri ospedalieri; 3) la concessione di microcrediti, soprattutto per finanz
iare attività che creino nuove fonti di redditi o aumentino quelli già percepiti; 4) l’elaborazione di un sistema di microassicurazioni, con particolare riferimento al settore delle assicurazioni sanitarie; 5) contatti con imprese occidentali al fine di verificare se possano essere interessate a trasferire alcune fasi dei processi produttivi in Medio Oriente.
Naturalmente, queste iniziative dovranno essere poste in opera in stretta collaborazione con le autorità ecclesiastiche locali e sotto il controllo delle singole Chiese. Anche se i risultati potrebbero essere modesti, essi rappresenterebbero comunque una testimonianza concreta della vicinanza dei cristiani di tutto il mondo ai problemi e alle sofferenze dei nostri fratelli e sorelle del Medio Oriente.
– Sig.ra Jocelyne KHOUEIRY, Membro fondatore e Presidente del movimento laicale “La Libanaise-Femme du 31 Mai” (LIBANO)
Vorrei soffermarmi sulla nozione di “presenza”, così come definita nella conclusione dei Lienamenta. Come donna cristiana membro della Chiesa nel mondo arabo e mediorientale, ritengo che la qualità della nostra presenza di cristiani dipenda in larga parte dalla costanza della nostra esistenza dinanzi al Signore nostro Salvatore e dinanzi ai nostri fratelli in questa regione. La conclusione del testo afferma che questa presenza potrebbe diventare importante e rilevante in funzione del nostro comportamento.
Ritengo che siamo chiamati a essere (e non solo a formulare) una risposta attuale, umana e culturale a tante domande poste dalla nostra generazione. Una risposta che rispecchi il senso dell’uomo nuovo e il valore sacro della sua vita. Dobbiamo offrire alle donne, ai giovani, alle coppie, alle famiglie e soprattutto alle persone colpite da disabilità nella nostra Chiesa, l’opportunità di compiere scelte di vita coerenti con il Vangelo e di scoprire la loro missione in seno alla Chiesa e alla società araba e mediorientale. Auspico che si possa dedicare un’attenzione speciale agli aspetti morali, sociali e bioetici che riguardano l’essenza della nostra testimonianza, soprattutto perché la nostra società non è più al riparo dalle macchinazioni che attentano alla dignità del matrimonio, della procreazione e dell’embrione umano. La preparazione al matrimonio e ai valori familiari deve figurare tra le priorità dei nostri programmi educativi e pastorali per aiutare ad affrontare con consapevolezza e responsabilità le derive della società di consumo, che ci invade nonostante le difficoltà esistenziali che viviamo. Che la donna cristiana possa esprimersi e testimoniare la bellezza della fede e del significato autentico della dignità e della libertà è inoltre una testimonianza urgente che interpella la donna musulmana e apre nuove vie al dialogo. Il fatto che le nostre famiglie possano essere sostenute e accompagnate dalla loro Chiesa, madre ed educatrice, al fine di essere, concretamente e liberamente, santuari aperti al dono della vita, soprattutto quando questa è benedetta dall’handicap o dalle difficoltà socio-economiche, non rappresenta una minaccia minore rispetto a quella costante dell’emigrazione. È molto urgente una conversione, a livello della nostra scala di valori e del nostro modo di essere. Siamo chiamati a diventare con Maria servitori della Speranza in questa regione martoriata e vittima di tante ingiustizie. E cosa ci impedisce di affidarle o perfino di consacrarle tutto il Medio Oriente, minacciato da tanti pericoli fatali?
– Sig. Joseph Boutros FARAH, Presidente di “Caritas Internationalis” per il Medio Oriente e Nord Africa (M.O.N.A.) (LIBANO)
A nome della Caritas vi ringrazio per avermi invitato a questo sinodo. Lo considero una chiara espressione della fiducia e dell’apprezzamento del Successore di Pietro per il lavoro sociale e pastorale della Caritas, affidatole dalla Chiesa. Speriamo che la Caritas, attivamente presente in tutti i paesi mediorientali, possa promuovere, sviluppare e rendere attiva la sua missione, ispirata dalla dottrina sociale della Chiesa, attraverso l’interazione, il coordinamento e la solidarietà tra tutti i membri nel mondo intero e con le istituzioni della Chiesa, affinché la nuova evangelizzazione possa avvenire attraverso il lavoro, la guida e il buon esempio al fine di stabilire la giustizia e la pace in tutti i paesi e per tutti i popoli della regione.
La Caritas svolge il suo compito con responsabilità e onestà, osservando umilmente che le ragioni alla base dell’emigrazione dei cristiani e della diminuzione del loro numero nei paesi mediorientali sono:
1. La situazione prevalente di conflitto e di guerra nella regione negli ultimi decenni, specialmente in Palestina e in Terra Santa. È una situazione che ha sempre dimensioni religiose e confessionali, facendo sì che i cristiani della regione si sentano minacciati e si preoccupino per la loro sicurezza, il loro futuro e la loro fede.
2. Quando i cristiani si isolano dagli altri e sono tormentati dalla preoccupazione per la loro esistenza personale e comunitaria, smettono di produrre e di sviluppare, il che peggiora la loro situazione economica e sociale, portandoli ad emigrare.
Appare possibile far fronte a queste due cause attraverso un duro lavoro a livello locale e internazionale per raggiungere la pace tra Israeliani e Palestinesi e Arabi, sostenendo gli sforzi internazionali e civili a favore del dialogo tra culture e civiltà differenti e della riconciliazione. La Chiesa universale può contribuire a questi sforzi, che traggono origine dai suoi dogmi.
Parallelamente al cammino in direzione della pace è necessario lavorare per uno sviluppo a livello economico e sociale per i cristiani, sia per le singole persone, sia per le comunità, attraverso una sintonia intellettuale e pratica con le organizzazioni sociali civili interessate, uno sviluppo che porti la Chiesa universale e locale, attraverso un coordinamento pratico, integrato e integrale tra le sue istituzioni educative, sanitarie, sociali e di sviluppo, a riaccendere la speranza autentica dei cittadini e delle comunità, la speranza in un presente sicuro e sano e in un futuro che possa rispondere alle aspirazioni.
La Caritas s’impegna a rimanere in prima linea nel servizio, come strumento pastorale e sociale della Chiesa, agendo nell’amore secondo la sua guida e i suoi insegnamenti, attraverso migliaia di operatori e di volontari nella regione mediorientale, addirittura decine di migliaia in tutto il mondo, nella maniera appropriata che nasce dalla cultura di solidarietà, comunione e “dialogo dei fatti”, per ottenere la riconciliazione.
Al fine di stabilire la pace, promuovere lo sviluppo e far prevalere la giustizia sociale per tutti i cittadini, specialmente i cristiani, la regione mediorientale deve ritornare al tempo passato di fratellanza e concordia e i cristiani devono rimanere nella loro patria, messaggeri della propria cultura, dei propri valori, della loro civiltà e delle proprie credenze.
– Sig. Tanios CHAHWAN, Membro del Pontificio Consiglio per i Laici, Presidente del Consiglio Nazionale dei Laici del Libano (LIBANO)
La formulazione della modernità nel mondo arabo-musulmano costituisce una problematica allo stesso tempo tragica e complessa: tragica per il fatto che su questa formulazione pesa uno svantaggio grande e complesso, dal momento che la sua comprensione non dipende da un solo fattore, bensì da diversi, di natura endogena ed esogena, che si sovrappongono e sono interdipendenti. Essi funzionano a partire da un contenuto ben determinato e diventano visibili, nel quadro di una dinamica complessa, attraverso azioni e reazioni.
Infatti il movimento della storia fra l’islam e l’occidente è un movimento pendolare di flusso e riflusso. Sulla scia delle tappe storiche, questi fattori – che sono d’ordine storico, ideologico, religioso, sociale, psicologico, psicosociale e culturale – si sono formati e si sono amplificati da una parte e dall’altra.
Fra i fa
ttori endogeni considero:
– “Lo sguardo degli arabi sul loro passato finora molteplice, che ha la tendenza ad essere presentato come un paravento salutare contro le derive culturali”;
– la glorificazione della storia;
– il complesso d’inferiorità degli arabi nei confronti dell’occidente:
– la causa palestinese;
– il conflitto sull’islam fra le componenti dell’islam;
– il sacro nell’islam;
– il rapporto dell’islam con il patrimonio.
Quanto ai fattori endogeni, distinguo:
– “Il discorso dell’occidente sui valori arabo-musulmani, talvolta ambiguo, ma spesso ostile”;
– il complesso prometeico dell’occidente;
– la paura del declino da parte dell’occidente;
– l’avidità dell’occidente nel mondo arabo-musulmano.
Questa Assise Sinodale è chiamata ad aiutare i cristiani d’oriente a impegnarsi di nuovo con i loro connazionali e a dare risposte di speranza che favoriranno lo sviluppo di un processo dinamico di rinnovamento e di rinascita dell’arabità, che prevedrebbe:
– la comprensione e la conoscenza della realtà sociale del mondo arabo in vista della sua trasformazione;
– la riconciliazione culturale fra l’oriente e l’occidente volta a rendere meno fatale la logica del conflitto e dell’opposizione fra di loro, predicata spesso dalla logica del movimento della storia.
– Sig. Hanna ALMASSO, Membro dell’Equipe Nazionale dei Responsabili della J.O.C. Dubai (EMIRATI ARABI UNITI)
Consentitemi di portarvi indietro nel tempo per dare uno sguardo all’opera e alla storia del cardinale Joseph Cardijn, che si spera possa diventare Dottore della Chiesa. Egli riuscì con successo, nel bel mezzo della rivoluzione industriale, a mettere in contatto i giovani lavoratori con il messaggio della nostra fede e con le nostre chiese e comunità attraverso il suo metodo di “vedi-giudica-agisci”, utilizzato nelle campagne di Revisione di Vita e per l’Azione. Attraverso questo metodo i giovani lavoratori imparano a sviluppare la loro vita alla luce del Vangelo e a impegnarsi ad agire e a iniziare a costruire il regno qui in terra. Questi leader giovani e preparati vanno incontro agli altri giovani e diventano loro catechisti, che è proprio ciò di cui c’è bisogno oggi, come è scritto nell’Instrumentum laboris nei paragrafi 53, 62 e 108.
Le situazioni di lavoro in Medio Oriente, a causa della rivoluzione tecnologica possono aver cambiato il modo di lavorare delle persone, ma il modo di essere e il cuore dei giovani d’oggi sono gli stessi, e molti dei problemi sottostanti non sono scomparsi dalle nostre società. Essi hanno bisogno della stessa spiritualità che li mantenga vicini a Cristo e li aiuti a vedere che la Chiesa è presente per sostenerli.
I metodi di Cardijn sono disponibili oggi in molti paesi del Medio Oriente attraverso il lavoro di molte organizzazioni cattoliche come il CIJOC. Tuttavia, come sappiamo per esperienza e come viene raccomandato nei paragrafi 21 e 22 dell’Instrumentum laboris, questi movimenti laici devono essere sostenuti e incoraggiati con tutti i mezzi disponibili. Chiediamo un sostegno costante e crescente della Chiesa per assistere tutti i movimenti laici, poiché qui risiede la promessa di unità per le Chiese in Medio Oriente attraverso il lavoro dei giovani stessi.
– Rev. Mons. Michel AOUN, Vicario episcopale dell’Arcieparchia di Beirut dei Maroniti (LIBANO)
Credo fermamente che questo Sinodo darebbe una risposta alle attese dei nostri fedeli proponendo degli itinerari pastorali forti per adulti che possano condurre i nostri cristiani ad una fede adulta e aiutare le famiglie a essere la prima scuola di fede.
È vero che ogni uomo ha bisogno di sicurezza a tutti i livelli, ma non può attaccarsi alla propria terra se non ha una causa nobile legata alla sua fede e alla sua esistenza in quanto cristiano.
Spesso si parla della prima comunità nella quale si vedeva chiaramente un corpo unito che non è altro che il corpo mistico di Gesù. Non è più possibile, oggi, favorire una pastorale che potrebbe aiutare i nostri fedeli a concepirsi come membra di questo unico corpo e dove potrebbero fare un cammino di fede basato sulla parola di Dio e i sacramenti e sperimentare fra di loro uno spirito fraterno?
Il Santo Padre Benedetto XVI non cessa di incoraggiare i carismi che lo Spirito Santo suscita nelle nuove comunità ecclesiali dove i frutti sono evidenti. Talvolta si obietta che queste comunità rischiano di creare una certa divisione nell’unico corpo diocesano o parrocchiale. Di fronte ad una simile obiezione non posso che indicare la comunione quale condizione per qualsiasi pastorale riuscita. I vescovi e i sacerdoti sono prima di tutto i garanti della comunione e, in nome di questa comunione, vorrei che questo Sinodo li incoraggiasse a discernere i frutti che questi carismi portano alla Chiesa e ad accoglierli come una nuova primavera. Tale accoglienza dovrebbe verificarsi in uno spirito paterno e di comunione per aiutare i fedeli di queste comunità a integrarsi nella pastorale diocesana e parrocchiale, a sentirsi pienamente membra attive dell’unico Corpo di Cristo presente nella Chiesa particolare.
– Rev. Rino ROSSI, Direttore della “Domus Galileae”, Corazin (ISRAELE)
Nel Capitolo primo dell’Instrumentum Laboris, parlando dell’apostolicità e vocazione missionaria, si dice: “In quanto apostoliche, le nostre chiese hanno la missione particolare di portare il vangelo in tutto il mondo”. Sono un presbitero della diocesi di Roma in missione presso il Centro Internazionale Domus Galilaeae, che si trova nella parte alta del Monte delle Beatitudini.
Con i seminaristi e i ragazzi che operano nel nostro Centro, abbiamo visitato tantissime famiglie cristiane dei vari riti della Terra Santa, della Giordania e di Cipro. Abbiamo incontrato tanta sofferenza, gli stessi problemi che si trovano nella chiesa in altre parti del mondo: la crisi in tante famiglie, l’allontanamento dei giovani dalla pratica religiosa, il problema dell’aborto, la chiusura alla vita, il gioco d’azzardo che distrugge famiglie intere, il sogno di poter andarsene all’estero per crearsi una vita più comoda. Non parliamo poi della droga, della pornografia, del dilagare delle sette.
All’apertura della Domus Galilaeae moltissimi ebrei hanno cominciato a visitarci. Solo l’anno scorso ne sono passati più di centomila. Sono attratti dall’accoglienza e dall’estetica della casa. Molti di loro non conoscono la Chiesa né Gesù Cristo. Ci fanno tante domande sulla nostra fede. Tante volte ritornano. Noi sentiamo che dobbiamo accoglierli e servirli come fratelli.
Penso che lo Spirito Santo che abbiamo invocato all’inizio di questo sinodo, ami con un amore immenso i nostri fedeli e li voglia salvare dagli attacchi del demonio che li seduce, come egli sa ben fare. È lui il vero nemico. Ma Cristo ha potere su di lui e questo potere l’ha dato alla Chiesa, a voi pastori. Abbiamo una responsabilità enorme verso le pecore perdute delle nostre parrocchie. Guai a me se non evangelizzassi! I Padri orientali nei primi secoli di fronte alle sfide del loro tempo, in un mondo pagano, hanno elaborato un itinerario di iniziazione cristiana: il Catecumenato. La Chiesa come una madre, in un percorso lento con tappe, gestava nei suoi figli la Vita Eterna. Oggi è necessario offrire ai nostri cristiani un catecumenato adattato alla loro condizione di battezzati.
I pastori della Terra Santa sono coscienti delle sfide che ci attendono oggi e lo posso testimoniare anche con l’iniziativa del Patriarca Latino di Gerusalemme, che in comunione con gli arcivescovi Greco-Melchita e Maronita, ha aperto un seminario missionario Redemptoris Mater, per preparare presbiteri missionari per la Nuova Evangelizzazione.
– Sig. Anton R. ASFAR, Membro del Consiglio dell’Esarcato Patriarcale dei Siro-cattolici di Gerusalemme (ISRAELE)
Essere un
cristiano che vive in Terra Santa è un grande onore, una vocazione e una testimonianza della presenza di Cristo per tutti i cristiani. Dio ci ha concesso questa grande grazia di vivere in Terra Santa; essa implica una grande saggezza che per taluni è evidenti, mentre altri non possono comprenderla né interpretarla. Noi, cristiani di Terra Santa, viviamo in un clima che non si può trovare in nessun altro Paese del mondo. È un clima fatto di pluralismo religioso: da una parte i cristiani, i musulmani e gli ebrei, dall’altra gli arabi e gli israeliani. Chi dice che non possiamo vivere o coabitare in un tale ambiente, abbandoni pure questa terra, perché non merita di essere testimone di Cristo. Sì, noi possiamo vivere in questo spazio sacro della terra, perché là dove c’è sofferenza, ci sono la vita e la testimonianza. Come uno dei Padri ha detto un giorno, ci troviamo in un laboratorio di coesistenza: se ci riusciremo noi, il mondo intero ci riuscirà.
La gioventù cristiana in Terra Santa è una gioventù capace di costruire in modo efficace la società, ma ha bisogno del sostegno continuo e permanente della Chiesa locale e universale. I giovani cristiani in Terra Santa apprezzano molto ciò che la Chiesa fa per sostenere la loro esistenza e la loro appartenenza a questa terra.La Chiesa cattolica in Terra Santa ha operato e opererà sempre per alleviare la sofferenza dei cristiani in Terra Santa, assicurando loro allo stesso tempo istituzioni nell’ambito dell’istruzione, della salute, come anche della pastorale, degli alloggi e dei programmi di sviluppo. Ma, nonostante la sua efficienza, tutti i suoi programmi e progetti volti a confermare i cristiani in Terra Santa, la Chiesa non ha affatto le risorse sufficienti per poter cambiare la realtà che le autorità israeliane impongono al fine di modificare l’aspetto della terra, soprattutto a Gerusalemme. Ringrazio qui Sua Eminenza, il Cardinale Folley, per essersi reso conto di questa situazione e per l’attenzione che dedica ad essa. Nel suo breve discorso, vi ha fatto allusione: “Le infrastrutture controllate dagli israeliani rendono questo difficile”. I terreni nella regione di Gerusalemme sono molto ridotti e molti rischiano di essere espropriati o venduti, ma la Chiesa non ha affatto i mezzi per acquistare quei terreni che le vengono offerti ogni giorno. Questo diminuisce le occasioni di assicurare alle future generazioni la possibilità di abitare e di confermare la loro presenza a Gerusalemme. Tutti apprezzano molto ciò che il Patriarcato latino e la Custodia di Terra Santa fanno in tal senso al fine di conservare la sua identità sacra e ciò che hanno fatto altre Chiese, ma le cifre parlano di una grande richiesta di alloggi da parte dei cristiani a Gerusalemme. Questo scoraggia i nostri giovani e aumenta i loro oneri, soprattutto economici, spingendoli così ad avere meno figli. Infatti negli ultimi tempi si constata una diminuzione del numero di figli nelle famiglie cristiane.
Eccellenze, ecco alcuni auspici:
1. Creare una cassa per la Terra Santa che si chiamerebbe Cassa per il sostegno alla presenza cristiana in Terra Santa, da mettere a disposizione del Consiglio dei Vescovi cattolici in Terra Santa, e che comporterebbe dei meccanismi particolare per raggiungere i seguenti obiettivi:
a) l’acquisto di un numero maggiore di terreni nella regione di Gerusalemme, in particolare, e di Betlemme in generale, a motivo del carattere sacro dei due luoghi e della necessità si salvaguardarvi la presenza cristiana;
b) incoraggiare i giovani a sposarsi, assicurando lor un primo aiuto per formare una famiglia cristiana;
c) assicurare il maggior numero possibile di alloggi.
2. Al fine di ridurre l’onere economico che grava sui credenti nelle due regioni di Gerusalemme e Betlemme, fare in modo che tutti gli abitanti di queste due regioni siano esonerati dalle tasse scolastiche ed universitarie, cosa che rinforzerà la loro presenza nella regione.
Ringrazio Sua Santità il Papa di avermi convocato a questo Sinodo vivo e vitale per la nostra regione e ringrazio tutti coloro che lo costituiscono.
– Dott. Husam J. WAHHAB, Presidente dell’Azione Cattolica di Betlemme (TERRITORI PALESTINESI)
Come testimone cristiano in Terra Santa, constato che la presenza cristiana in Terra Santa è essenziale e vivifica i luoghi santi. Con questa presenza, affrontiamo molte difficoltà, che mettono in pericolo la vita cristiana. Alcune di queste difficoltà sono le divisioni delle chiese, l’emigrazione, l’isolamento, l’instabilità politica e la mancanza di lavoro.
Oltre alle divisioni delle chiese e all’emigrazione, dobbiamo fare attenzione al pericolo di una possibile scomparsa dei cristiani palestinesi da questa società. La nostra preoccupazione quindi riguardo a questa questione vuole innanzitutto evitare ogni egoismo e isolamento, in modo che i cristiani palestinesi non si sentano ingiustamente trattati. Di conseguenza ci schieriamo al loro fianco per impegnarci a farli sentire tutti parte della società.
Il concetto di separazione tra chiesa e stato in Medio Oriente non esiste, in quanto molte leggi e regolamenti sono ispirati dalla religione. I nostri sforzi devono concentrarsi sull’ispirare i legislatori affinché rispettino i cittadini cristiani nella società.
La società cristiana apprezza l’operato della Chiesa negli anni passati e il sostegno continuo alle istituzioni cristiane locali. Inoltre la società araba che la circonda apprezza moltissimo la presenza di istituzioni cristiane, soprattutto delle scuole cattoliche, dell’università di Betlemme, degli ospedali che creano ponti di comprensione e rispetto tra i musulmani e i cristiani, incrementando così il mutuo apprezzamento.
I vescovi, i sacerdoti e i laici devono impegnarsi alla creazione di un’atmosfera che promuova una cultura di giustizia e di pace. Tale atmosfera di giustizia e pace indurrà la generazione futura di giovani a rimanere nel proprio paese.
È vitale che la Chiesa si impegni insieme ai laici nel campo della formazione, soprattutto dei bambini e dei giovani, per l’unità, affinché tutte le vocazioni crescano insieme nella comunione. In questa prospettiva l’Azione Cattolica e altre simili istituzioni sono utili grazie all’impegno di laici e clero, al fine di promuovere l’unità e un sentimento di pace interiore. La Chiesa dovrebbe spianare la strada ai rapporti internazionali con altre chiese e comunità per promuovere i pellegrinaggi in Terra Santa che creano una maggiore solidarietà nei confronti della presenza cristiana.
Il nostro scopo è quello di perpetuare la nostra presenza in Medio Oriente e di mettere a punto programmi che portino un numero sempre maggiore di persone a diventare testimoni del nostro Signore Gesù, a diffondere la Parola di Dio nella nostra comunità e a vivere la nostra vita cristiana con orgoglio per essere esempi viventi per le generazioni future.
– Sig.ra Anan J. LEWIS, Professore di Poesia inglese Vittoriana e Moderna, Dipartimento di Inglese, Università di Baghdad (IRAQ)
Parlando in veste di vergine consacrata (Ordo Virginum) in Iraq, docente universitaria e direttrice della gioventù della Chiesa latina, nonché in rappresentanza del laicato dell’Iraq, vorrei sottolineare il fatto che al di là della sicurezza e della stabilità politica e sociale, non vi è nulla che possa motivare i cristiani iracheni a rimanere e ad essere profondamente radicati nella loro terra e nella loro fede se non il fatto che i pastori della Chiesa diano inizio ad un’autentica cura pastorale e spirituale. I cristiani iracheni hanno adesso l’urgente necessità di essere alimentati dall’amore e abbracciati dal sostegno spirituale di sacerdoti adeguatamente preparati e amorevoli. Le omelie della domenica o le lezioni di catechismo del venerdì per i bambini non sono sufficienti per incoraggiare i laici a r
estare. Invece di raccogliere fondi per ristrutturare cappelle o acquistare edifici vuoti, o decorare cancelli, costruiamo pietre vive e realizziamo piccoli progetti per i giovani di entrambi i sessi, al fine di scoprirne le abilità artigianali e professionali. Tenere riunioni regolarmente con loro e con le loro famiglie, illuminarli sul ruolo sacro che rivestono come laici in Iraq è ugualmente importante; altrimenti, non serve a niente criticare i gruppi protestanti perché cercano di attirare i cattolici alla loro fede. E se tutto ciò suona fantasioso, andarli a trovare potrebbe essere utile!
Tuttavia, i cristiani laici dell’Iraq sono consapevoli che la Chiesa sta facendo autentici sforzi per rendere più profonda la loro fede e migliorare la loro situazione sociale ed economica, nei limiti delle proprie possibilità.Sanno anche che questo fardello non poggia unicamente sulle spalle della Chiesa; il governo iracheno e la comunità internazionale ne portano buona parte, ma restano in silenzio. Pertanto, i cristiani iracheni vivono in condizioni molto dure, in cui ogni istante di sicurezza diventa importante. Tuttavia, i laci cristiani, soprattutto coloro che sono sempre stati consapevoli dell’importanza di testimoniare la propria fede in tempo di pace o di guerra, continuano a voler essere testimoni autentici rafforzando la propria comunione con la chiesa di cui sono parte integrante. Il loro ruolo, che sta diventando più influente di quello del clero, si manifesta nell’aiuto ai poveri e agli ammalati, nell’organizzazione di attività sociali e spirituali per gli anziani e per i giovani, nell’organizzazione di gruppi di preghiera, gruppi per i servizi sociali e sanitari per i bisognosi, come ne esistono nei programmi della Caritas, o nell’aiuto ai parroci nel campo del catechismo o della liturgia. Questi cristiani impegnati, uomini e donne, sanno di svolgere in Iraq un ruolo insostituibile. Benché spesso si trovino davanti alla morte, quando ogni minuto di sicurezza diventa importante, essi contribuiscono al tessuto della società irachena, sforzandosi di lavorare a nome di tutti i cristiani che sono sfollati, segregati, o scossi nella fede, e creando un sentimento di amore e di pacifica coesistenza tra gli iracheni, a prescindere dalla religione o dal sesso.