In Italia serve “un federalismo autenticamente solidale”

Lorenzo Ornaghi alla 46ma Settimana Sociale dei Cattolici Italiani

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di Roberta Sciamplicotti

ROMA, venerdì, 15 ottobre 2010 (ZENIT.org).- In un contesto come quello italiano,  in cui tra Nord e Sud del Paese si verificano “squilibri territoriali di carattere strutturale”, soprattutto “deficit e carenze nell’offerta e nella qualità di servizi rilevanti e spesso essenziali per il benessere della popolazione e per lo sviluppo economico delle aree territoriali del Meridione”, serve “un federalismo autenticamente solidale”.

Lo ha affermato questo venerdì il professor Lorenzo Ornaghi, Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, alla 46ma Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, in svolgimento a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre.

“Un federalismo bene inteso e correttamente applicato costituisce la principale e forse ormai unica soluzione alle lacerazioni che, anziché comporsi, spesso si allargano e moltiplicano tra il Nord e il Sud dell’Italia”, ha dichiarato, sottolineando che invece “un federalismo ideologicamente inteso e realizzato è inevitabilmente destinato a spezzare l’unità sostanziale del nostro Paese”.

Per Ornaghi, un federalismo autenticamente solidale potrebbe avere due importanti effetti positivi per il futuro che si intende costruire.

In primo luogo, richiamerebbe sia il Nord che il Sud “a far crescere e praticare quella virtù della ‘responsabilità’ – spesso evocata e raramente praticata – non solo nei confronti dell’intero Paese, ma anche rispetto a se stessi: ‘pensare (e provvedere) a se stessi’ – responsabilmente, non egoisticamente, e quindi in un convinto orizzonte solidale”.

“In secondo luogo, per essere applicato con successo, un federalismo solidale comporterà di necessità la formazione e il radicamento di un ceto politico che, se vorrà essere realmente ‘territoriale’, dovrà saldamente raccordarsi alle diffuse rappresentanze sociali” e “operare in comune con esse”.

Paradosso

Nel suo intervento, Ornaghi si è chiesto se ci sia “il rischio di uno ‘spaesamento’ dei cattolici”, visto che il cattolicesimo italiano “sembra impigliato in un paradosso, tanto pernicioso quanto ingiustificabile”, “rispetto allo stato attuale dell’Italia”.

Lo spaesamento dei cattolici, ha constatato, “non è troppo dissimile da quello che avvertono anche coloro che cattolici non sono o non si sentono”, perché è “conseguente alla convinzione o alla sensazione (poco importa quanto corrispondente, l’uno e l’altra, ai fatti della realtà) che la politica, dopo essere entrata così pervasivamente in ogni ambito della vita collettiva e anche individuale, non sia più in grado di offrire risorse e dare strumenti per cambiare in meglio le condizioni della società”.

“Ciò che in Europa rischia di far stagnare i regimi democratici è proprio la politica”, ha proseguito Ornaghi.

“Quanto più le istituzioni democratiche nel loro ordinario funzionamento e le azioni (o decisioni) del ceto politico sembrano incapaci o impossibilitate a contrastare e correggere le immagini ‘negative’ della politica, tanto più si allarga la frattura tra i cittadini e chi, essendo rappresentante e volendo essere sentito come rappresentativo dei propri elettori, ai diversi livelli di stratificazione politica ci governa o ambisce a farlo”.

Quali soluzioni?

In questo contesto, “lavorare già da oggi al futuro che ancora possiamo costruire richiede ai cattolici italiani, credo, l’intelligenza e la capacità di individuare e curare i ‘luoghi’ – ambientali e generazionali – in cui sta crescendo, pur magari indistinta, la domanda di sentirsi ascoltati e politicamente rappresentati”, ha commentato.

“Richiede l’intelligenza e la capacità di saper collegare e magari aggregare tutte quelle ‘aree’ dove, subito sotto la superficie delle odierne rappresentazioni della politica, maggiormente si condensa il bisogno di una risposta – ‘pubblica’, anche perché autenticamente ‘popolare’ – alla necessità crescente di non essere soli, di sentirsi uniti ad altri, di pensarsi ed essere realmente soggetti ‘partecipanti’ delle politiche, anziché destinatari generici e passivi”.

“Richiede, infine e particolarmente, un rinnovato impegno a far crescere la classe dirigente dell’incombente domani, ad attrezzare già nei ‘luoghi’ dell’amministrazione e della rappresentanza – con una educazione specifica e non generica – alle competenze indispensabili per la politica, a preparare i giovani all’esercizio di quella leadership che difficilmente può essere inventata e mai improvvisata”.

“Pur stando dentro la politica di oggi, al futuro che intendiamo costruire dobbiamo guardare con una visione che è innanzitutto – e genuinamente – ‘cattolica’”.

Senza una visione di questo tipo, “ogni pur rinnovata forma della nostra presenza pubblica e politico-partitica (trasversalmente ai partiti, o anche – in termini quantitativamente prevalenti – dentro un solo partito) diventerebbe una mera ‘parte’ fra la pluralità delle parti, destinata, più che a ‘contare’, a essere contata”.

Ogni volta che l’etica non è “costitutiva” della politica, ha sottolineato Ornaghi, “anche la sfera sociale è più debole nell’affermare la sua eticità complessiva, così come più gravoso e pubblicamente assai meno efficace è l’operare eticamente dei singoli che la compongono”.

Per questa ragione, occorre muovere “i primi, piccoli ma indispensabili passi” con “un lavoro in comune con tutte quelle ‘parti’ della società disponibili a perseguire un obiettivo – un ‘bene’ autentico – più alto degli interessi frazionali”.

“Solo così abiteremo ogni ‘spazio pubblico’, con la convinzione e la responsabilità di dovere e sapere impiegare al meglio i talenti di cui in abbondanza disponiamo”, ha concluso.

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ZENIT Staff

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