Cristiani in Terra Santa: la vocazione di rimanere nella patria di Gesù

Parla Sua Beatitudine Fouad Twal, Patriarca latino di Gerusalemme

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di Carmen Elena Villa

CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 15 ottobre 2010 (ZENIT.org).- “La presenza dei cristiani a Terra Santa non è qualsiasi presenza”, ha detto questo pomeriggio Sua Beatitudine Fouad Twal, Patriarca latino di Gerusalemme. Una presenza che debe essere in primo luogo “la testimonianza di un evento salvifico e tutta la vita di Gesù”, ha affermato il presule.

Il Patriarca, nato in Giordania 70 anni fa, ha partecipato questo venerdì pomeriggio a un incontro con i giornalisti nella Sala Stampa della Santa Sede, nel contesto del Sinodo per il Medio Oriente, in svolgimento dal 10 al 24 ottobre.

Il Patriarcato latino di Gerusalemme estende la sua giurisdizione ai fedeli di rito latino presenti in Israele, Giordania, Cipro e l’Autorità Nazionale Palestinese. Ha 65 parrocchie e 77.000 fedeli.

Per Sua Beatitudine Twal, il tema dei cristiani in Terra Santa, che rappresentano solo il 3% della popolazione, dev’essere un centro di attenzione per la Chiesa universale, perché si tratta “dei discendenti della prima comunità formata da Gesù Cristo stesso”.

Il Patriarca di Gerusalemme ha chiamato la comunità cristiana di Terra Santa “La Chiesa del Calvario”, e ha detto che la presenza dei cristiani in Terra Santa “è una missione, è una vocazione”, e che Dio li chiama in modo particolare a “portare questa croce”.

“Ogni missione nella vita dell’uomo comporta sacrificio”, ha detto il Patriarca.

Di fronte a una domanda formulata da ZENIT sul ruolo della donna nella missione apostolica della Terra Santa, ha ammesso: “Senza la donna non possiamo neanche camminare”. Attualmente in quella zona ci sono 73 comunità religiose femminili, che per il Patriarca rappresentano “un tesoro”.

Vittime dell’occupazione israeliana

Vari interventi sinodali si sono riferiti al dramma dell’occupazione israeliana, che per il Patriarca “è odiosa, fa male a israeliani e palestinesi”: “l’occupante ha paura dell’occupato e quest’ultimo non fa che alimentare l’odio nell’attesa di trovare il momento per liberarsi e vendicarsi”.

“Se due Stati non sono possibili, anche a causa delle colonie israeliane”, ha detto, “io sono disposto con i leader palestinesi ad accettare uno Stato solo dove i palestinesi abbiano diritto al voto”. “Questa è la sfida, più che la creazione di due Stati”, ha segnalato.

“Ci sono generazioni di palestinesi e di israeliani nati e cresciuti sotto l’occupazione”, ha proseguito il Patriarca. “Che generazioni stiamo formando? Abbiamo famiglie che vivono nella serenità o nell’odio?”.

Quanto al tema del muro israeliano, ha detto che “non è un fattore di sicurezza”, quanto piuttosto un “segno tangibile di un altro muro, quello della paura e dell’ignoranza”.

Necessità di educare al dialogo

Il Patriarca latino di Gerusalemme ha detto di aver partecipato lo scorso anno a una commissione in cui sono stati studiati i libri di religione in uso nelle scuole locali, e ha lamentato che “le istituzioni scolastiche non hanno voluto prendere in considerazione i nostri libri cristiani”. “Così facendo non si arriva ad una cultura di pace”, ha avvertito.

Monsignor Twal ha poi ricordato il consiglio per la situazione interreligiosa presente a Gerusalemme, composto da capi religiosi cristiani, musulmani ed ebrei. Ogni sei mesi c’è un incontro con tutti i ministri all’interno dei Paesi arabi per studiare insieme il modo per fermare il fondamentalismo religioso che non permette il dialogo.

Relativamente al Sinodo, il Patriarca ha ammesso di non aspettarsi “miracoli del giorno dopo”, e che saranno necessari “tempo e pazienza per non accontentarci solo dell’evento, ma per apprezzarne i contenuti e soprattutto le parole e le esortazioni che Benedetto XVI vorrà rivolgerci”.

“Abbiamo seminato e bisogna dare il tempo alla Provvidenza di far maturare i frutti del Sinodo”, ha detto.

Il Patriarca ha quindi concluso la sua conversazione con i giornalisti condividendo un aneddoto relativo alla celebrazione dell’Anno Nuovo. Mentre era riunito con il Presidente israeliano Shimon Peres, “c’erano 12 ragazzi dai 10 ai 13 anni che hanno cantato in ebraico, arabo e inglese. 4 ebrei, 4 islamici, 4 cristiani, con le uniformi della scuola”.

“E io dicevo a Peres: ‘Qual è il cristiano, il musulmano e l’ebreo?’”, al che Peres non ha saputo rispondere. “Se questi piccoli possono giocare insieme e non c’è nessuna differenza tra di loro, perché noi non lo facciamo?”, si è chiesto.

Alla fine del Sinodo, Fouad Twal, che parla perfettamente lo spagnolo ed è stato Nunzio Apostolico in Perù, Honduras e Germania, si recherà in alcuni Paesi latinoamericani per visitare le comunità della diaspora e favorire così la comunione con i cristiani di Terra Santa.

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ZENIT Staff

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