Lo scorso giugno, Cipro visse giornate intense, memorabili quando S. S. Benedetto XVI visitò l’isola. Preghiamo perché l’effetto spiritualmente benefico della visita possa continuare.
Cipro fa parte del Patriarcato di Gerusalemme. Esistono quattro parrocchie: tre amministrate dai Francescani di Terra Santa, una da un sacerdote del Patriarcato.
Il numero dei cattolici latini è esiguo. Le quattro parrocchie, assieme a quattro congregazioni religiose femminili lavorano soprattutto per i migranti e anche per i turisti.
I migranti costituiscono una ricchezza aggiunta per la Chiesa di Cipro. La pastorale verso di essi è particolare e delicata. Essi rimangono pochi anni e sono liberi generalmente solo la domenica. Ma l’azione pastorale deve essere condotta come se rimanessero permanentemente nella parrocchia. La catechesi è fondamentale, soprattutto per la preparazione ai sacramenti. I gruppi ecclesiali (Legio Mariae, carismatici, neo-catecumenali, Ordine Francescano Secolare, gruppi nazionali di preghiera, ecc.) possono essere un aiuto importante per il contatto con i fedeli, la loro conoscenza e per la collaborazione nelle attività parrocchiali.
L’azione pastorale deve ispirarsi alla carità e all’accettazione indiscriminata, seguendo l’esempio di Gesù.
– S. E. R. Mons. Béchara RAÏ, O.M.M., Vescovo di Jbeil dei Maroniti (LIBANO)
Al n. 34 dell’Instrumentum laboris leggiamo: “In Libano, i cristiani sono divisi sul piano politico e confessionale e nessuno ha un progetto che possa essere accetto a tutti”. Non esiste una divisione sul piano confessionale, bensì una diversità di Chiese sui iuris cattoliche, ortodosse ed evangeliche, avendo ciascuna il proprio patrimonio liturgico, teologico, spirituale e disciplinare. Esiste per contro una divisione sul piano politico che non riguarda l’essenza, bensì le opzioni strategiche. Per quanto riguarda l’essenza, i cristiani sono d’accordo circa alcune costanti nazionali, definite nel documento detto “Le costanti”, pubblicato dal Patriarcato maronita il 6 dicembre 2006, accettato e firmato dai capi dei partiti politici cristiani. Queste costanti sono state sviluppate in un altro documento, pubblicato nel 2008 con il titolo: Carta dell’azione politica alla luce dell’insegnamento della Chiesa e della specificità del Libano.
In quanto alle opzioni politiche, la divisione dei cristiani è basata sulla strategia relativa alla protezione di dette costanti e della presenza efficace ed effettiva dei cristiani. Questa divisione è causata dalle condizioni politiche attuali, sia interne sia regionali e internazionali.
Esiste infatti nel mondo arabo una forte divisione tra sunniti e sciiti, evidente, a livello regionale, nella coalizione, da parte sunnita, tra Arabia Saudita, Egitto e Giordania, e da parte sciita tra Iran e Siria. Questa divisione si è trasformata in conflitto cruento tra sunniti e sciiti in Iraq. A livello internazionale il confitto si colloca tra gli Stati Uniti e i suoi alleati a favore dei sunniti da una parte, e l’Iran dall’altra, a causa delle sue ambizioni regionali e del suo programma nucleare. In Libano è nel conflitto politico tra sciiti e sunniti che si colloca la divisione dei cristiani. Per salvare il regime libanese e la sua presenza effettiva, una parte ha scelto l’alleanza con i sunniti, un’altra parte quella con gli sciiti e una terza parte invita alle buone relazioni con i sunniti e gli sciiti e a non farsi trascinare in una politica degli assi regionali e internazionali.
Il progetto politico accettabile per tutti consiste nel perfezionare lo Stato civico, i cui elementi si trovano nelle “Costanti”, nella “Carta dell’azione politica” e nella Costituzione. È questo che distingue il Libano dagli altri paesi del Medio Oriente, che hanno tutti dei regimi religiosi.
– S. E. R. Mons. Gregory John MANSOUR, Vescovo di Saint Maron of Brooklyn dei Maroniti (STATI UNITI D’AMERICA)
La Prefazione dei Lineamenta ci ricorda che le circostanze in cui si profuse l’impegno missionario dei primi cristiani sono molto simili a quelle odierne. Agli albori della Chiesa le piccole comunità cristiane del Medio Oriente affrontavano numerose sfide ed erano in minoranza. Oggi, dopo secoli di storia, siamo ancora in minoranza e le sfide che affrontiamo sono molte.
Dalla prospettiva di un Maronita che vive negli Stati Uniti, tutte le volte che mi reco in visita in Medio Oriente, osservo con grande apprezzamento il modo in cui i cattolici fanno una profonda differenza nelle vite di quanti li circondano. Le scuole, le università, gli ospedali, le cliniche, i centri di riabilitazione per la tossicodipendenza, gli ospizi, gli orfanatrofi e altre strutture da loro gestite sono aperti a tutti, musulmani, ebrei e cristiani. Questi cattolici sono “il sale della terra” e la “luce del mondo” (Mt 5, 13-14).
Come i primi cristiani, anche noi affrontiamo sfide che sembrano insuperabili e le nostre probabilità di riuscita sembrano limitate. Ma noi viviamo nella fede, non nella visione (cfr Cor 5, 7). Forse non riusciremo mai a convincere con le parole i nostri vicini musulmani o ebrei che la nostra presenza è veramente una benedizione per loro, ma abbiamo sempre a disposizione il medesimo antidoto che ha aiutato i primi cristiani a sopravvivere e a superare tutte le sfide: la partecipazione al generoso Spirito Santo di Dio e l’amore apostolico tra di noi hanno il potere di renderci ancora capaci di essere “un cuor solo e un’anima sola” (At 4, 32).
– S. B. Nerses Bedros XIX TARMOUNI, Patriarca di Cilicia degli Armeni, Arcivescovo di Beirut degli Armeni (LIBANO)
La Parola di Dio che è stata scelta come tema per questa Assemblea sinodale, “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola” (At 4,32), è un faro venuto a rischiarare la via che dobbiamo percorrere per la nostra vita di fede, di testimonianza cristiana, con i nostri confratelli non pienamente uniti alla Sede di Pietro e con gli altri fratelli, anche se di fede diversa.
Il ritorno alla prima comunità cristiana ci mostra che i primi cristiani non hanno avuto una vita facile, esente dalle difficoltà e dalle avversità; al contrario, hanno subito oltraggi e persecuzioni. Ma questo non ha impedito loro di proclamare integralmente l’insegnamento di Gesù e di perdonare.
Troviamo situazioni simili nel contesto attuale. I cristiani non illuminati dallo Spirito Santo credono di dover essere risparmiati dalle difficoltà. Si tratta di un fatto importante da sottolineare; in questo senso occorre rievangelizzare i nostri fedeli proponendo loro la fede vissuta nei primi secoli del cristianesimo.
Ciò non significa che non sia necessario lottare per ristabilire la giustizia e la pace in Medio Oriente. Ma sarebbe sbagliato sostenere che, senza questa giustizia e questa pace, il cristiano non può vivere pienamente la sua fede o che deve emigrare. Peraltro, nessuno emigra per la ricerca di una vita cristiana migliore.
Il cristiano convinto di essere chiamato, per il battesimo, a testimoniare la sua fede e che conduce una vita cristiana in comunità non ha come prima preoccupazione la ricerca del benessere materiale o della pace e neppure la fuga dai problemi per la tranquillità sua e dei suo cari. Anzi, prendendo esempio dalla testimonianza dei suoi antenati del Medio Oriente, lavora in gruppo con altri confratelli cristiani, per testimoniare con la vita e con l’esempio, per rendere più convincente il messaggio d’amore di Gesù.
Partendo da questo principio, il cristiano impegnato del Medio Oriente vivrà, sotto la guida del vescovo e in comunione con gli altri cristiani, per far progredire lo spirito di comunione dei primi cristiani che avevano “un cuor solo e un’anima sola” (At 4,32) e che mettevano i
loro beni in comune, come fanno oggi i membri di alcune comunità quali i Neocatecumenali, i Focolari e il Rinnovamento Carismatico, diffusi in diversi paesi del Medio Oriente.
Ai discepoli che vivranno secondo questi principi, Gesù promette “Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Mt 5,12).
– S. E. R. Mons. Paul HINDER, O.F.M. Cap., Vescovo titolare di Macon, Vicario Apostolico di Arabia (EMIRATI ARABI UNITI)
I due vicariati della Penisola arabica, comprendenti Kuwait, Bahrein, Quatar, Emirati Arabi Uniti, Oman, Yemen e Arabia Saudita, non hanno cristiani nativi. I 3 milioni di cattolici su una popolazione di 65 milioni di abitanti sono tutti lavoratori migranti provenienti da un centinaio di Nazioni, per la maggior parte dalle Filippine e dall’India. Circa l’80% sono di rito latino, gli altri appartengono alle Chiese Cattoliche Orientali. Entrambi i vicari apostolici sono di rito latino; l’Ordine dei Frati Minori Cappuccini ha lo ius commissionis per il territorio; i due terzi degli 80 sacerdoti sono Frati Cappuccini di India, Filippine, Europa e America, appartenenti a differenti riti.
La speciale situazione nei Vicariati del Golfo:1. Presenza cattolica nei Paesi arabi con l’islam come religione di stato: leggi severe sull’immigrazione (restrizione del numero dei sacerdoti) e sistema di sicurezza. Diritti individuali e assistenza sociale molto limitati. Nessuna libertà di religione (nessun musulmano può convertirsi, ma i cristiani sono benvenuti nell’islam), limitata libertà di culto in luoghi designati, concessi da governanti benevoli (eccetto in Arabia Saudita). Troppo poche chiese, affluenza molto elevata, in una sola parrocchia fino a 25.000 fedeli il venerdì con 10 o più messe. La distanza dalla chiesa, il lavoro, le leggi che regolano i campi, rendono la partecipazione impossibile per molti. La Chiesa cattolica è rispettosa della legge e ha la fiducia del governo.
2. Unità della Chiesa cattolica nella diversità dei riti e delle nazionalità. La Chiesa deve adattare le sue strutture e l’attività pastorale ai limiti imposti dalle circostanze esterne. Il Rescritto ex audientia approvato da Papa Giovanni Paolo II nel 2003 e confermato da Papa Benedetto XVI nel 2006 conferisce la giurisdizione su tutti i fedeli di qualsiasi Chiesa, rito o nazionalità, ai due Ordinari sotto la cui unica giurisdizione lavorano tutti i sacerdoti dei vicariati. Gli Ordinari hanno l’obbligo che i fedeli delle altre Chiese sui iuris possano praticare e osservare le norme del loro rito, cosa che essi fanno nel modo migliore. Il Rescritto ha aiutato a mantenere e promuovere l’unità, a evitare la frammentazione e a fornire a tutti i fedeli cattolici il miglior ministero pastorale possibile. Tutti i sacerdoti devono prestare servizio a tutti i fedeli, assistiti dalle migliaia di volontari laici nella catechesi, nel ministero fra i giovani e le famiglie, nell’apostolato negli ospedali e nelle prigioni e nel lavoro sociale.
Per mezzo di relazioni fraterne fra i due Vicari Apostolici e i capi delle Chiese orientali sui iuris si rafforzerà la comunione e si concluderanno accordi di collaborazione nel rispetto della situazione particolare allo scopo di rendere più vivace la testimonianza della Chiesa nel Golfo, che è una Chiesa esclusivamente pellegrina e migrante.
– S. E. R. Mons. Nicolas SAWAF, Arcivescovo di Lattaquié dei Greco-Melkiti (SIRIA)
I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale… Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera… A dirla in breve, come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani” (Lettera a Diogneto).
Viviamo in un mondo secolarizzato e globalizzato in cui il numero di uomini che non sono interessati alla questione di Dio o che agiscono senza riferimenti cristiani è smisurato rispetto al numero ridotto di coloro che si professano cristiani e credenti.
Coloro ai quali è rivolta la catechesi devono stabilirsi in una doppia relazione: relazione d’appartenenza a una comunità fondata sull’unità della fede e relazione (d’appartenenza) a una comunità fondata sull’unità dell’accettazione del pluralismo e della diversità.
La fede cristiana si considera sempre nel campo delle culture umane.
In Medio Oriente manchiamo di una catechesi che tenga conto della nostra cultura araba, delle nostre tradizioni cristiane e della ricchezze liturgiche.
Manchiamo di un programma catechetico per i catecumeni.
Chiediamo uno sforzo nella formazione spirituale dei seminaristi.
– S. E. R. Mons. Guy-Paul NOUJAIM, Vescovo titolare di Cesarea di Filippo, Vescovo ausiliare e Sincello per Sarba (LIBANO)
L’Instrumentum Laboris (76), citando il Vaticano II, dichiara che la divisione dei cristiani è fonte di scandalo e danneggia la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo. Successivamente (78), ricorda che Sua Santità, Papa Giovanni Paolo II, ha auspicato una nuova forma di esercizio del primato che non danneggi la sua missione e che sia ispirato alle forme ecclesiali del primo millennio, le quali, benché diverse, non impediscono ai cristiani di sentirsi a proprio agio in tutte queste forme, sia che riguardino la spiritualità, la vita morale o la struttura.
Ecco l’invito a rivedere il ruolo e il posto dei patriarchi d’Oriente in funzione delle origini. Un principio reggeva all’epoca l’organizzazione della Chiesa: per uno stesso spazio, una sola giurisdizione. La Chiesa, da cui ne erano scaturite altre più o meno centrali, ne assicurava l’unità essendo elevata al rango di patriarcato. Il concilio di Nicea nel 325 parla di tre patriarcati: Roma, Alessandria e Antiochia. Nel V secolo, la Pentarchia è organizzata secondo il seguente ordine: prima di tutto il Papa di Roma, poi il patriarca di Costantinopoli, poi quello di Alessandria, poi quello di Antiochia e infine quello di Gerusalemme.
Un ritorno all’unità implica quindi una teologia e un’organizzazione giuridica della Chiesa che ridiano ai patriarchi d’Oriente i privilegi dei primi tempi della Chiesa universale, presso il Papa, capo di tutta la Chiesa. Le principali difficoltà per un simile progetto sono:
– la fondazione, dal primo millennio, di nuovi patriarcati;
– l’esistenza, per una stessa sede, di più patriarchi cattolici e di uno ortodosso;
– una curia romana con prerogative non ben definite rispetto a quelle dei patriarchi.
Proposta: Sua Santità incarichi una commissione, composta da esperti teologi, storici e pastori, per proporre soluzioni concrete a queste difficoltà e la Chiesa si impegni a applicarle senza attardarsi.
– S. E. R. Mons. Elie Béchara HADDAD, B.S., Arcivescovo di Sidone dei Greco-Melkiti (LIBANO)
La vendita dei terreni dei cristiani in Libano sta diventando un fenomeno pericoloso che rischia di minacciare la presenza cristiana fino ad annientarla nei prossimi anni. Per porre rimedio a questo fenomeno, proponiamo di:
– creare una strategia di solidarietà tra le Chiese legate alla Santa Sede.
– Modificare il discorso della Chiesa nei confronti dell’Islam al fine di distinguere nettamente tra Islam e fondamentalismo. Ciò favorisce il nostro dialogo con i musulmani in modo da aiutarci a perseverare nella nostra terra.
– Passare dal concetto di aiuto ai cristiani d’Oriente al concetto di sviluppo per radicarli nelle proprie terre e trovare loro un lavoro.
La nostra esperienza nella Diocesi di Saïda è emblematica in questo senso.
– Rev. P. Khalil ALWAN, M.L.M., Segretario Generale del “Conseil des Patriarches Catholiques d’Orie
nt” (C.P.C.O.) (LIBANO)
Il paragrafo 55 dell’Instrumentum Laboris non ha preso in considerazione il ruolo fondamentale che il Consiglio dei Patriarchi Cattolici d’Oriente ha svolto nel rafforzamento della comunione tra le Chiese cattoliche e nell’incoraggiamento del dialogo ecumenico e interreligioso.
Enumerate le attività del CPCO, nei suoi vent’anni di esistenza, a livello di teologia pastorale, di ecumenismo, di pastorale comune e di coordinamento tra le Chiese cattoliche, ho notato che esso ha ancora una difficoltà a livello di comunicazione. Propongo all’Assemblea sinodale:
– la modifica degli statuti del CPCO per permettere alle assemblee dei Vescovi di ogni paese di essere rappresentate nel congresso annuale del CPCO e per fare in modo che il loro rappresentante abbia il potere di trasmettere e di eseguire le decisioni all’interno della sua assemblea.
– L’organizzazione dei congressi dei Patriarchi e dei Vescovi cattolici in Medio Oriente.
Infine, constato che le autorità ecclesiastiche, cioè i dicasteri romani e le conferenze episcopali in Occidente e le loro associazioni sembrano ignorare questa istanza per mancanza di informazione. Per questo, propongo anche che il CPCO sia inserito nell’Annuarium Pontificium, come tutte le istanze pontificie e altre.
– S. E. R. Mons. Antoine AUDO, S.I., Vescovo di Alep dei Caldei (SIRIA)
Curare la formazione spirituale e intellettuale dei futuri sacerdoti
I. Formazione
Malgrado la diminuzione del numero delle vocazioni, mettere alla prova i candidati prima di ammetterli in seminario.
Formare i seminaristi al significato profondo di ciascuna liturgia ed essere capaci di apertura all’universalità della Chiesa. Nella teologia, basarsi sul Vaticano II, rispondere alle questioni della modernità nel contesto arabo-musulmano, prestando particolare attenzione all’uso corretto della lingua araba. Infine, seguendo e sulla base dei suggerimenti di Benedetto XVI, dare importanza a una formazione dottrinale solida e viva, che si traduca nella vita quotidiana. La dimensione pastorale: imparare a pregare, insegnare il catechismo, seguire le famiglie, ascoltare le confessioni sono elementi vitali di questa formazione.
II. Accompagnamento pastorale e spirituale durante l’esercizio del ministero sacerdotale.
a. Vigilare che il sacerdote sia mosso dalla passione di annunciare la buona novella.
b. Assicurare una formazione permanente di qualità.
c. Prodigare mezzi di rilettura del servizio pastorale e del progresso spirituale e umano (ritiro annuale, sessioni, ecc.). Ricordare che il sacerdote è innanzi tutto un uomo di Dio.
III. Assicurazione, compatibilità trasparente
a. Considerare con obiettività le necessità dei sacerdoti ed arrivare a una compatibilità trasparente della diocesi che aiuti a sviluppare la fiducia fra i sacerdoti e i fedeli.
b. Che la Congregazione per le Chiese orientali aiuti ogni patriarcato e diocesi a creare un sistema di assicurazione per la malattia e la vecchiaia. Le risorse ci sono, mancano le competenze e il rigore.
– S. E. R. Mons. Berhaneyesus Demerew SOURAPHIEL, C.M., Arcivescovo di Addis Abeba, Presidente del Consiglio della Chiesa Etiopica, Presidente della Conferenza Episcopale (Etiopia e Eritrea) (ETIOPIA)
L’Etiopia ha circa 80 milioni di abitanti, metà dei quali di età inferiore ai 25 anni. La grande sfida che il Paese affronta è la povertà con le sue conseguenze, quali la disoccupazione. Molti giovani, desiderosi di fuggire la povertà, cercano con ogni mezzo di emigrare. Quelli che emigrano nel Medio Oriente sono per lo più giovani donne che vanno, legalmente o illegalmente, in cerca di un impiego come lavoratrici domestiche, perché la maggior parte di esse non ha alcuna formazione professionale. Per poter facilitare il viaggio, i cristiani cambiano i loro nomi cristiani in nomi musulmani e si vestono come musulmani, in modo da facilitare la procedura dei loro visti. In questo modo i cristiani sono indirettamente forzati a rinnegare le loro radici e la loro eredità cristiane.
Secondo i dati del Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali e dell’Organizzazione internazionale dell’Emigrazione, 13.498 lavoratori etiopici sono emigrati in Medio Oriente fra il settembre del 2005 e l’agosto del 2006 (www.americanchronicle/Ethiopia Human Trafficking Hub in the Horn of Africa.html). Le loro destinazioni sono di solito Libano, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Yemen e Arabia Saudita. In media circa 12.500 etiopici partono ogni anno per il Medio Oriente.
Anche se ci sono casi eccezionali in cui i lavoratori sono trattati bene e con gentilezza, la grande maggioranza è vittima di sfruttamento e abusi. Molti si vergognano di ritornare in Etiopia, dove le loro famiglie si aspettano che ritornino con molto denaro; comunque alcuni sono costretti a ritornare disperati, malati e con disturbi mentali. Sembra che ai cristiani che muoiono in Arabia Saudita non sia permesso di esservi seppelliti; i loro corpi sono trasportati in volo in Etiopia per la sepoltura. Si potrebbe chiedere alle autorità saudite di concedere un cimitero per i cristiani
dell’Arabia Saudita?
Molti etiopici si rivolgono alle Chiese cattoliche del Medio Oriente per aiuto e assistenza. Desidero ringraziare le gerarchie cattoliche del Medio Oriente che stanno facendo del loro meglio per assistere le vittime di abuso e sfruttamento. Siamo grati, per esempio, per il grande lavoro della Caritas del Libano. La moderna emigrazione è considerata come una “moderna schiavitù”. Ma ricordiamo che gli emigrati di oggi saranno domani cittadini e leader nei Paesi ospiti o nella loro patria.
– S. E. R. Mons. Youssef Anis ABI-AAD, Arcivescovo di Alep dei Maroniti (SIRIA)
“Non possiamo accogliere quelli che Dio mette sul nostro cammino se non accogliamo Dio in persona”. “Più scopriamo Dio, più scopriamo la santità dell’uomo”.
Il luogo privilegiato dell’accoglienza dei nostri fratelli, in questo caso i nostri fratelli musulmani è sicuramente la preghiera.
Si tratta di una preghiera chiamata contemplativa.
Contemplare è innanzitutto contemplare Dio Trinità. Contemplare è anche contemplare, nello Spirito, la vita degli uomini, e offrirla a Dio con le sue gioie e le sue pene, i suoi progressi e i suoi regressi… sempre tenendo presente che non vediamo tutto della vita dell’altro, che rimane per noi un mistero.
Nella contemplazione, ci accade di incrociare, in un istante fuggente, un riflesso dello sguardo di Dio sulla gente. È un istante di grazia, un istante di gioia, poiché questo sguardo è creatore, salvatore e pieno d’amore.È essenziale cercare di stabilire una presenza con i nostri fratelli musulmani e anche con gli altri con i quali viviamo: presenza semplice, umile, fraterna, che potrebbe favorire il dialogo sotto ogni forma e una comprensione reciproca.
– S. E. R. Mons. Bohdan DZYURAKH, C.SS.R., Vescovo titolare di Vagada, Vescovo di Curia di Kyiv-Halyč (UCRAINA)
Desidero richiamare l’attenzione su un aspetto particolare della pastorale vocazionale, cioè quello della formazione dei Padri Spirituali chiamati a svolgere la loro missione nei Seminari e negli istituti di formazione dei Religiosi. Il Padre spirituale svolge un ruolo determinante nel discernimento di ogni vocazione, ha una precisa e fondamentale responsabilità nel cammino di maturazione di ogni vocazione che, a mio parere, non cessa certamente al momento dell’ordinazione sacerdotale o dell’emissione dei voti perpetui. Pongo, pertanto, una domanda: quanto ci preoccupiamo di formare i futuri Padri Spirituali per i Seminari e per gli Istituti Religiosi? Ho l’impressione che molto spesso la scelta venga operata sulla base di urgenze immediate e sul
l’idea che quel tal sacerdote sia abbastanza adatto perché pare che abbia una buona vita spirituale personale. Ma il resto delle competenze richieste e non meno importanti, dove lo mettiamo? Mi permetto, perciò, di raccomandare a noi tutti la massima attenzione alla formazione di questa preziosa ed insostituibile figura della pastorale vocazionale, assicurando a persone tendenzialmente adatte di tutti gli strumenti della teologia, della psicologia e di quant’altro richiesto attraverso percorsi formativi specialistici.
Anzitutto desidero esprimere la più profonda gratitudine ai Vescovi Latini per la fraterna accoglienza riservata ai nostri fedeli, per la premura che essi esprimono nei loro confronti, ma, ovviamente non si tratta semplicemente di garantire un “ambito liturgico” e di “rafforzare – cito testualmente – il legame con i fedeli delle Chiese orientali cattoliche nei Paesi d’emigrazione”, ma di qualcosa di più importante e profondo. Gli Eparchi nell’esercizio del loro ministero non possono semplicemente limitarsi a queste garanzie e neppure ad una mera “visita”. Chiedo: un padre può esaurire la sua naturale funzione nei confronti di figli lontani attraverso una “visita”? La risposta è troppo ovvia, perché la espliciti. Allora è necessario approfondire responsabilmente questo tema della paternità dei Patriarchi e dei Vescovi eparchiali ed individuare gli strumenti giuridici e organizzativi che, in scontata collaborazione con gli Ordinari locali, portino ad un effettivo esercizio della loro responsabilità ministeriale laddove vivono i propri fedeli.
Indirizzo la mia attenzione agli Ordini contemplativi, ricordandone l’estrema importanza, tanto da sentire il dovere di citare l’esempio del nostro grande Metropolita il Servo di Dio Kyr Andrea Szeptycky che volle, lui Basiliano, la costituzione dei Monaci Studiti in Ucraina, definendone la missione caratteristica di vita di preghiera e contemplazione come “polmone della vita della Chiesa”. Mi permetto di ricordare a tutti i venerandi Padri Sinodali questo dono singolarmente prezioso, sì che ne sentiamo sempre l’esigenza e ne coltiviamo premurosamente la presenza e la crescita per il bene di tutte le componenti delle nostre Chiese.
– S. E. R. Mons. Virgil BERCEA, Vescovo di Oradea Mare, Gran Varadino dei Romeni (ROMANIA)
Molti aspetti uniscono la nostra Chiesa con le Chiese sorelle del Medio Oriente: anzitutto il suo essere un “piccolo gregge”. Anche la Chiesa Greco-Cattolica in Romania vive la sua missione in uno stato di minoranza; una presenza che è però vigorosa nella storia del nostro Paese, in quanto esprime quella felice e provvidenziale sintesi del suo essere in piena comunione con la sede di Pietro, con la ricchezza dei tesori della tradizione spirituale, liturgica e disciplinare bizantina.
Cari fratelli d’Oriente, insieme a voi siamo chiamati ad affrontare le sfide dei nostri tempi: la forte ondata di emigrazione e la globalizzazione con tutte le sue provocazioni ed i suoi idoli, di cui ci ha parlato il Papa Benedetto XVI e che tutti noi siamo chiamati a smascherare. Inoltre, tale situazione di emigrazione – che mai abbiamo sperimentato nella storia del nostro popolo romeno – in cui, da una popolazione di 22 milioni di cittadini, quasi 5 milioni si trovano ora in Europa e nel mondo, apre anche la possibilità di un confronto fecondo e di un mutuo arricchimento.
L’immigrazione nella condivisione valorizza tutti; pertanto, teniamo sempre fisso lo sguardo su Gesù, il primo che ha dovuto trasferirsi nella terra d’Egitto, per chiedere e ricevere da Lui quello slancio sempre rinnovato e che dobbiamo comunicare ai nostri fedeli e alle nostre comunità.
– S. E. R. Mons. Youhanna GOLTA, Vescovo titolare di Andropoli, Vescovo di Curia di Alessandria dei Copti (REPUBBLICA ARABA DI EGITTO)
Rapporti con le Chiese ortodosse nei nostri paesi:
Esse rappresentano le nostre radici, le nostre antenate; sono loro ad aver lottato per difendere la fede cristiana e conservarla per noi fino a oggi. Sono loro ad aver sacrificato martiri, santi, grandi teologi. Perciò, l’unità della Chiesa, che è la preghiera della Chiesa, resta sempre la speranza della storia cristiana.
Rapporti con i cittadini musulmani:
Il Medioevo ci ha lasciato frutti amari fatti di odio e di disprezzo, una vera tragedia.
Possiamo, insieme, cristiani e musulmani, scrivere una nuova pagina di storia, d’amore, di rispetto e di perdono per costruire insieme per le generazioni future un avvenire senza tragedie.