"Caro Signor Papa": cosa scrivono i fedeli a Giovanni Paolo II

Intervista all’autrice del libro Elisabetta Lo Iacono

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di Federico Bonuccelli

ROMA, domenica, 10 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Perchè ogni giorno migliaia di persone visitano la tomba di Giovanni Paolo II? Quali pensieri, richieste e confidenze intime contengono i numerosi biglietti lasciati sul luogo della sepoltura nelle Grotte Vaticane?

La giornalista Elisabetta Lo Iacono è l’unica persona al di fuori dell’entourage della segreteria della Postulazione per la causa di beatificazione ad aver avuto la possibilità di visionare gli oggetti, i messaggi, le lettere, le fotografie lasciate sulla tomba del Papa e ad aver addirittura scritto un libro sullo speciale rapporto tra i fedeli e Papa Giovanni Paolo II. 

Elisabetta Loiacono è laureata in media e giornalismo all’Università di Firenze. Giornalista professionista, dal 2008 è docente di giornalismo presso la Facoltà teologica San Bonaventura-Seraphicum di Roma. 

ZENIT l’ha intervistata.

Come è nata l’idea di scrivere questo libro?

Loiacono: L’idea di questo libro nasce sulla scia di una mia precedente pubblicazione – “Se mi sbaglio mi corrigerete”. La rivoluzione comunicativa di Giovanni Paolo II – nella quale ho analizzato la metodologia comunicativa di papa Wojtyła, le tante innovazioni scaturite da una innata abilità e da una predisposizione caratteriale che lo portavano naturaliter a instaurare un rapporto immediato con la gente. C’è anche da dire che nelle ripetute visite alla sua tomba, nelle grotte vaticane, rimanevo colpita non solo per il flusso continuo di pellegrini ma soprattutto per la pratica assai frequente di lasciare in quello spazio lettere, biglietti, messaggi. Questo atteggiamento così diffuso mi ha fatto chiaramente intendere che le persone continuano a cercare un dialogo con Giovanni Paolo II, che quanto ha seminato in termini di evangelizzazione, di amore e di carica comunicativa negli oltre ventisei anni di intenso pontificato, séguita a dare frutti. Da qui la volontà di comprendere, più a fondo, quale rapporto esista ancora tra il defunto pontefice e i fedeli, con quale linguaggio si parla a un papa che non c’è più, cosa si chiede, come viene percepito, che tipo di uomo gli si rivolge. L’accoglimento del mio progetto editoriale da parte del postulatore per la causa di beatificazione e canonizzazione monsignor Slawomir Oder mi ha consentito di accedere al materiale raccolto ogni giorno sulla tomba e di leggere migliaia di messaggi, di ogni tipo, deposti da persone provenienti da ogni angolo della terra, poi consegnati e archiviati nella sede della Postulazione. La lettura di quei messaggi rappresentava l’elemento imprescindibile per compiere l’analisi che mi ero prefissa ma ritenevo questo tipo di indagine ancora non completo. Il mio obiettivo era cercare di testimoniare questo straordinario rapporto che va oltre la morte e per questo era necessario anche comprendere cosa accade dinanzi a quella semplice tomba. La cortese disponibilità del cardinale Angelo Comastri, arciprete della basilica di San Pietro e presidente della Fabbrica di San Pietro, mi ha consentito di sostare per molte ore, in fasce orarie e periodi differenti, a fianco di quella tomba, assieme al personale preposto al servizio. Scrutare le persone in volto, cogliere quelle frasi appena sussurrate e soprattutto partecipare alle emozioni che affiorano sui visi non appena si arriva al cospetto di quella sepoltura, ha rappresentato un valore aggiunto per comprendere ancora più a fondo il legame con Giovanni Paolo II.

Se non sbaglio lei è l’unica persona al di fuori di coloro che lavorano nella segreteria della Postulazione per la causa di beatificazione, che ha avuto la possibilità di visionare i messaggi, gli oggetti, le fotografie inviati o lasciati sulla tomba del Papa. Dall’analisi emerge un identikit ben preciso di fedele oppure il fenomeno ha coinvolto un popolo di fedeli variegato?

Loiacono: La Postulazione gestisce con grande rispetto questo materiale così delicato. Ogniqualvolta che arrivano da San Pietro nuovi messaggi e oggetti lasciati sulla tomba di Giovanni Paolo II, ci sono un paio di persone preposte a suddividere il materiale a seconda della tipologia, ovvero fotografie, oggetti di ogni tipo, intenzioni di preghiera, lettere nelle differenti lingue. Un compito impegnativo, svolto con grande discrezione, che consente una attenta archiviazione del materiale. Niente va perso, qualsiasi messaggio, anche scritto sul più piccolo pezzo di carta, viene conservato a testimonianza di questo straordinario rapporto. Dicevo che si tratta di materiale molto delicato in quanto da quelle righe emergono storie di ogni tipo, con particolari molto circostanziati e intimi sulle sofferenze arrecate da malattie, da lutti, da tradimenti, da violenze. Non solo, di frequente quelle lettere sono seguite da nome e cognome del mittente con indirizzo, città di residenza e spesso numero di telefono. Questo è un particolare decisamente straordinario: quanti si rivolgono a Giovanni Paolo II percepiscono un dialogo talmente diretto e personale da lasciare i propri recapiti, proprio come se il papa dovesse contattarli per una parola di conforto o per dare un consiglio su qualsiasi tematica. È evidente che questa confidenza richiede un supplemento di attenzioni in termini di rispetto, di comprensione e, soprattutto, di riservatezza. Lo scenario che si è aperto dinanzi ai miei occhi è stato sorprendente, mai avrei immaginato tanta intensità. Questo mi ha fatto riflettere e quindi agire con ancora maggior discrezione tanto da non riportare alcun elemento che potesse, in qualche modo, ricondurre all’identità di coloro che tessono questo straordinario dialogo con papa Wojtyła. Da questa mole di materiale non emerge un identikit preciso di fedele, tanto più che molti si rivolgono a Giovanni Paolo II e raccontano di non essere credenti. Semmai se vogliamo trovare un elemento comune che lega coloro che scrivono al papa, è l’affetto e la stima verso questo pontefice slavo. Anche in chi ha un approccio critico verso la Chiesa, anche in chi si professa ateo, emergono un rispetto e un appezzamento verso Karol Wojtyła che sono sorprendenti. Essere stato il papa che ha regnato per un quarto di secolo ha avuto sicuramente il suo peso ma c’è molto di più, c’è il riconoscersi in colui che ha portato nel mondo la parola di Dio e che l’ha saputa incarnare appieno in prima persona. C’è la certezza di trovarsi di fronte a un uomo-papa che è sempre stato rigoroso sui principi ma al contempo capace di partecipare e capire le difficili sorti dell’uomo e, per questo, di esercitare la sua paterna comprensione.

Questa sua indagine dalla quale nasce il libro oltre ad aiutare a capire la società ed il vasto popolo dei fedeli cosa ci può raccontare della persona di Giovanni Paolo II e del suo papato? 

Loiacono: Credo che dall’indagine scaturiscano diversi piani di riflessione. Uno, come dici tu, è quello relativo all’immagine che emerge della società. Quelle lettere al papa credo che siano lo specchio fedele di questa società e quindi dell’uomo, di tutte le sue insicurezze, delle cadute, della volontà e del bisogno di guardare a qualcosa di alto cui tendere seppur tra mille contraddizioni, della necessità di appartenere a qualcosa e a qualcuno, di battersi per un ideale, di contare su un approdo sicuro dove poter sempre tornare per ritrovare asilo e comprensione. Quanto alla figura di Giovanni Paolo II, credo si debba parlare più in generale dell’uomo Karol Wojtyła. La vita di questo giovane polacco ha sempre colpito per la coerenza e il coraggio con cui ha saputo e voluto muoversi tra i due opposti totalitarismi del nazismo e del comunismo. Una personalità forte e fortificata dai gravi e precoci lutti familiari, dalla necessità di cavarsela da solo, dalla sete di cultura e di conoscenza, dalla sua attività teatrale, dal perseguire la sua strada nonostante le difficoltà tanto da frequentare il seminario clandestino forte di una fede e di un ideal
e ben saldo. È questa impronta caratteriale che colpisce soprattutto i giovani. E poi c’è tutto il seguito che è storia del pontificato condotto con lo stesso piglio e la medesima forza delle sue convinzioni, tanto da assumere atteggiamenti decisivi in più pagine della storia contemporanea. Nel libro scrivo che Giovanni Paolo II incarna una particolare trinità, quella di uomo, di papa e di santo. La sua storia personale e la sua spiccata capacità comunicativa hanno avvicinato l’uomo all’uomo, consentendo quindi di entrare nella sfera del pontificato e di aprirsi a un orizzonte di fede. A quel punto il passo è breve: la testimonianza di quella fede, dell’amore per l’uomo, per qualsiasi uomo, gli anni della malattia non nascosta tra le stanze del Palazzo Apostolico ma mostrata al mondo come dimostrazione di una condizione della vita, hanno fatto percepire la sua figura come quella di un santo. Un santo della modernità che ha contribuito a dare una chiave di lettura attuale alle tante sfide e ai tanti dubbi di una quotidianità sempre più stretta tra i tentacoli della secolarizzazione e di visioni distorte dell’uomo e della sua vera ricchezza.

Quali sono gli oggetti o le lettere che l’hanno colpita di più o che sono più emblematici per capire il rapporto di Giovanni Paolo II con le persone?

Loiacono: Ci sono più tipologie di messaggi che mi hanno colpita: dalle lettere in cui si comunicano grazie ricevute all’angosciante richiesta di guarigioni. In quest’ultimo caso sono struggenti i tanti appelli rivolti al papa da bambini che, partecipi di un dramma familiare, chiedono il suo sostegno con un linguaggio e una visione del mondo che rende quelle parole ancora più dolorose. Ci sono le richieste di aiuto nei percorsi scolastici, universitari, nel lavoro. E poi ci sono tante richieste che riguardano la famiglia e la coppia nelle difficoltà e incomprensioni quotidiane, domande di intercessioni per trovare la persona giusta con cui passare la vita, non di rado il papa viene messo persino al corrente di cuori agitati e confusi, di storie parallele, cercando di avere da lui qualche indicazione per uscire da situazioni complesse e contraddittorie. Al papa si chiede persino un aiuto per conquistare qualche personaggio dello spettacolo, come accade nella lettera di una ragazza perdutamente innamorata dell’attore Flavio Insinna. Giovanni Paolo II, quindi, è distintamente percepito come un angelo custode al quale si implorano protezione, sostegno e consigli. Tra le diverse tipologie di richieste sono numerosissime quelle con cui si chiede di avere un figlio. Talvolta bastano due righe a concretizzare quella supplica di intercessione, tante altre volte si ripercorrono nel dettaglio le difficoltà incontrate e fa sicuramente un certo effetto leggere quei messaggi nei quali si annuncia di aver ricevuto la grazia tanto attesa. Non a caso in giro ci sono tanti bambini battezzati con i nomi del papa: Karol, Carlo, Carolina, Giovanni, Paolo.

Credo che nemmeno il cronista più freddo potrebbe rimanere distaccato osservando quanto lei hai visto e raccontato. Quanto ha influito questa esperienza sulla sua vita?

Loiacono: Sicuramente tanto, è stata un’esperienza che conserverò per sempre come un grande patrimonio. I primi giorni di ricerca, in realtà, li ho vissuti con grande imbarazzo, da sola in quella grande sala della Postulazione con attorno a me pezzi di vita, di sofferenza, di speranza, confidenze intime. Non è stato facile entrare in quel dialogo così personale, mi sentivo un’intrusa tanto da affacciarsi più volte la tentazione di lasciar perdere, di ritirarmi da un rapporto che affonda le radici negli aspetti più terreni e intimi delle vite per elevarsi poi in una dimensione fortemente spirituale. Per diversi giorni ho vissuto e sofferto questa sensazione ma poi ho capito che quanto stavo facendo poteva rappresentare una straordinaria opportunità per testimoniare questo intenso rapporto di amore e devozione verso Giovanni Paolo II. Ho cominciato quindi a sentire la mia presenza man mano meno ingombrante, quasi eterea, e al contempo ho iniziato a percepire quei messaggi non come lettera morta ma come appelli che, proprio in quel momento, entravano in una condizione diversa. Quella sala, tappezzata con poster di Giovanni Paolo II, sembrava calata in una dimensione lontana da quella terrena. Non c’è stato messaggio che mi ha lasciata indifferente: ogni lettera è rimasta dentro di me con il suo carico di angoscia, di speranza, di forza. Le stesse sensazioni forti che ho provato a pochi centimetri dalla tomba, osservando quanti si soffermano ogni giorno dinanzi a quel semplice sepolcro. Si tratta di un dialogo profondo che si può percepire solo entrando in quegli sguardi che guardano quella lapide ma che vedono ben oltre.

Il libro contiene anche delle testimonianze che permettono di approfondire l’argomento e di attingere a più chiavi di lettura.

Loiacono: Sì, in “Caro Signor Papa” ho inserito più testimonianze che consentono di mettere a fuoco questo grande fenomeno devozionale e, al contempo, di differenziare le chiavi di lettura per disporre di più spunti di riflessione. La prima intervista è realizzata con il cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica papale di San Pietro, che racconta, da “padrone di casa”, questo ininterrotto pellegrinaggio nelle grotte vaticane che, in base ai dati forniti dalla stessa Fabbrica di San Pietro, va dalle diecimila alle diciottomila presenze al giorno. Gli aspetti legati all’attesa beatificazione di papa Wojtyła sono affrontati con monsignor Slawomir Oder che, come postulatore, offre utili elementi alla comprensione del processo oltre che personali aneddoti su Wojtyła. C’è poi un capitolo specificatamente dedicato a un’analisi di questo fenomeno devozionale, attraverso tre distinte chiavi di lettura. La prima è di matrice teologica ed è affidata alle riflessioni del cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica. La seconda intervista mette in luce una visione a carattere sociologico attraverso le considerazioni del professor Sabino Acquaviva, uno dei principali studiosi dell’ambito religioso e del tema del sacro. La terza intervista è stata realizzata con Giuseppe De Carli, lo storico vaticanista della Rai e responsabile della struttura Rai Vaticano, scomparso lo scorso luglio. Una bella testimonianza, tra le ultime rilasciate, per analizzare sotto il profilo giornalistico questo “pellegrinaggio verso l’infinito”, attraverso la lente di un attento e sensibile professionista dell’informazione religiosa. 

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ZENIT Staff

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