L'importanza della stampa cattolica locale

ROMA, sabato, 9 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’intervento pronunciato da don Giorgio Zucchelli, Presidente della Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici), in occasione del Congresso organizzato a Roma, dal 4 al 7 ottobre, dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e che ha riunito più di 200 giornalisti ed esponenti dei media cattolici da oltre 80 Paesi.

Share this Entry

* * *

Ricordo, circa un anno fa, ero ospite in una diocesi della Puglia (nell’Italia meridionale) per promuovere la nascita di un settimanale diocesano. In veste di presidente della Federazione Italiana Settimanali Cattolici (Fisc) cercavo di porre un altro tassello all’obiettivo che la nostra associazione si era posta al Convegno Nazionale della Chiesa Italiana di Verona nel 2006: un settimanale in tutte le diocesi del Paese.

Nell’occasione il vescovo di quella Chiesa mi disse: “Mi sento un pastore senza voce.”

La frase mi colpì.

I vescovi e le Chiese locali hanno bisogno di aver voce. Come? Nelle cattedrali? Certamente!

Ma come può una Chiesa locale (la voce del vescovo significa ovviamente quella della Chiesa locale nel suo complesso, per non cadere in equivoci) parlare a tutti, raggiungere anche le persone che non frequentano più l’Eucaristia o la Catechesi e che sono, purtroppo la maggioranza? Come realizzare la nuova evangelizzazione verso i “lontani”, anche nei nostri territori italiani, con linguaggi consoni all’uomo di oggi? La risposta è semplice, anche se purtroppo – e sembra assurdo – è difficile farla passare: con un giornale!

Niente di nuovo: è quanto fece il patrono di noi giornalisti san Francesco di Sales (1567-1622) quando, non riuscendo a raggiungere le persone con la predicazione, passava a porre foglietti scritti sotto le porte delle case.

Un giornale, ma anche una radio o un sito, meglio ancora un’informazione integrata può essere la voce sul mondo – naturalmente non la sola – di un vescovo e di una Chiesa locale.

Una voce che può arrivare anche là, dove gli strumenti tradizionali della pastorale, non arrivano più. Proprio per questo, noi della Fisc, abbiamo definito i nostri giornali: “avamposti dell’evangelizzazione” e ci siamo posti l’accennato obiettivo: un settimanale in ogni diocesi.

E siamo convinti che i giornalisti che li scrivono non fanno un mestiere, ma svolgono una missione. E non hanno solo delle inclinazioni, ma possiedono un vero e proprio carisma donato dallo Spirito.

Ecco perché voglio parlarvi dei settimanali diocesani d’Italia. Di un’esperienza in atto da oltre un secolo. Sì, perché in Italia gran parte delle diocesi hanno un loro giornale (per lo più settimanale), spesso leader del proprio territorio, con redazioni professionali. Oggi sono 188. E questi settimanali, 44 anni fa, si sono aggregati in un’associazione, la Federazione Italiana Settimanali Cattolici (Fisc), che ho l’onore di presiedere.

Un’esperienza forse unica, nel suo genere, nel mondo intero.

Ve ne voglio parlare, anche perché qui non siamo a scuola e si può copiare.

Con voi voglio anche chiedermi anche quale potrà essere il loro futuro.

LA STORIA

La storia di buona parte delle testate delle diocesi italiane affonda le sue radici nel movimento sociale cattolico, fra gli ultimi decenni del secolo diciannovesimo e i primi del ventesimo. La fioritura prodigiosa di quotidiani (a inizio ‘900 erano 26), di settimanali e di fogli d’ogni genere erano il meraviglioso frutto dell’enciclica Rerum Novarum di papa Leone XIII (1891).

Erano il segno della creatività delle comunità cristiane italiane di fine Ottocento – fortemente impegnate sul fronte sociale – che spesso hanno saputo anticipare la presenza di altri giornali sul territorio, dimostrando grande lungimiranza.

Giornali spesso gloriosi, che hanno combattuto vere e proprie battaglie al tempo dell’unità d’Italia, soprattutto nel ventennio fascista, pagando spesso con censure, requisizioni, licenziamenti di direttori, chiusure o sospensioni delle pubblicazioni, la loro opposizione al regime, difendendo sempre non solo la Chiesa, ma soprattutto la gente, come era stato ben delineato, fin dal 1887, nelle indicazioni finali del VII Congresso Cattolico Italiano di Lucca che indicava ai giornali del Movimento cattolico la linea del “difendere in ogni caso gli interessi della città e della religione” (XXV, p. 19), dove per città si intendevano “le popolazioni di ogni centro piccolo e grande”.

Un secondo impulso è venuto ai settimanali cattolici dopo la caduta del regime e alla riconquista della libertà e della democrazia: quelli già esistenti si sono consolidati e rilanciati. Un terzo momento, certamente determinante, è stato il Concilio Ecumenico Vaticano II che ha dato un forte impulso ai “mezzi di comunicazione sociale” con il decreto Inter Mirifica (approvato il 4.12.1963).

In riferimento alla data di fondazione 58 testate (31%) sono nate del periodo che va dalla seconda metà del secolo scorso al primo periodo postbellico (1867-1922); 10 testate (5.34%) durante il ventennio fascista (1923- 1943); 33 testate (17.64%) dalla liberazione al Concilio Vaticano II (1945- 1965); 86 testate (46%) dal Concilio a oggi. Quest’ultimo dato dà ragione dell’impegno delle diocesi italiane (soprattutto del centro-sud) nel “darsi una propria voce”.

QUADRO STATISTICO ODIERNO

Oggi, all’inizio del terzo millennio, i periodici diocesani sono dunque 188 diffusi nell’intero Paese secondo la seguente distribuzione regionale: Abruzzo 4

Calabria 6

Campania 11

Emilia Romagna 17

Lazio 6

Liguria 2

Lombardia 13

Marche 12

Molise 4

Piemonte 30*</p>

Puglia 9

Sardegna 11

Sicilia 11

Toscana 19*

Triveneto 18

Umbria 8

Valle D’Aosta 1

Missioni Italiane All’estero 6

TOTALE 188

• In Piemonte il settimanale della diocesi di Novara esce in 13 testate diverse con lievi modifiche grafiche

e contenutistiche; in Toscana esiste un settimanale regionale che raggruppa tutte le diocesi (salvo una), che

allegano un proprio dorso.

.

La stragrande maggioranza di tali periodici (il 74%) sono settimanali eccetto i seguenti:

Quotidiani 1

Bisettimanali 2

Quindicinali 14

Mensili 26

On line 5

Agenzia regionale 1

TOTALE 49 (25,92%)

Le diocesi italiane sono 225. Di esse 167 (74,22%) editano uno o più periodici. Per completare il progetto c’è ancora molto lavoro da fare: si tratta comunque per la maggior parte di piccole diocesi. In alcune regioni (soprattutto quelle del nord: Piemonte, Lombardia, Triveneto, Emilia Romagna) tutte le diocesi hanno il loro settimanale (o più settimanali) e propongono giornali di notevole tiratura che arrivano persino alle 30/40.000 copie de Il Cittadino di Monza. Molte testate sono leader nei rispettivi territori.

Nel Centro-Sud la situazione è meno florida, anche se notiamo un fermento significativo e una voglia di rilancio (hanno coperto tutte le diocesi: Toscana e Umbria).

I 188 periodici diocesani diffondono complessivamente circa 800.000 copie, regolarmente vendute in edicola o per abbonamento (solo un giornale, Noi Brugherio della diocesi di Milano, è free press) secondo la seguente tabella: Abruzzo 16.080

Calabria 12.162

Campania 23.000

Emilia Romagna 66.320

Lazio 14.063

Liguria 5.012

Lombardia 119.807

Marche 36.508

Molise 5.000

Piemonte 215.726

Puglia 14.182

Sardegna 33.836

Sicilia 27.104

Toscana 20.016

Triveneto 155.215

Umbria 8.395

Valle D’Aosta –

Missioni Italiane All’estero 20.000

TOTALE 792.426

VOLUME ANNUO TOTALE: 39.621.300

LETTORI settimanali – calcoli tradizionali (x3): 2.377.278

• trattandosi di giornali di famiglia (x4): 3.169.704 Redazioni professionali. Molti giornali hanno redazioni professionali con personale assunto mediante contratti regolari (FSNI o USPI-CONFAPI), dal direttore ai collaboratori. I nostri giornali danno quindi lavoro a centinaia di persone, principalmente giovani.

La questione economica. I settimanali Fisc si pongono l’obiettivo di autosostenersi economicamente mediante la raccolta pubbli
citaria nei diversi territori (la Fisc raccoglie anche pubblicità nazionale). La pubblicità locale è ben diversa da quella nazionale, in quanto percorre strade proprie ed è caratterizzata dalla “prossimità” che permette di avere un “riscontro” positivo o meno dell’investimento pubblicitario. Non entra quindi nel grandi budget nazionali, anche se è molto redditizia.

Una certa percentuale dei nostri settimanali non solo arriva al pareggio, ma registra anche degli utili.

Esistono anche finanziamenti da parte dello Stato che vengono in aiuto ai nostri settimanali. È un contributo pari a € 0.20 per copia, ad alcune condizioni, prima fra tutte che i ricavi pubblicitari delle singole testate non superino il 40% del bilancio economico.

Tale finanziamenti rischiano tuttavia di essere cancellati per la crisi nella quale versano le casse dello Stato italiano. Noi lotteremo perché tali finanziamenti diretti vengano ridistribuiti fra tutte le testate in modo più equo.

Molti giornali, ad esempio quelli politici, ricevono finanziamenti molto, molto più consistenti dei nostri.

La diffusione. Per la stragrande maggioranza le copie dei settimanali diocesani vengono diffuse in abbonamento postale. Canale che oggi s’è fatto difficile e costoso per la crisi di Poste italiane. Dall’aprile scorso lo Stato ha tolto le agevolazioni postali che consistevano in un suo rimborso sulle tariffe postali pari al 50%. I costi si sono quindi raddoppiati. Da mesi la nostra associazione (e questo dimostra l’importanza di associarsi), assieme ad altri gruppi di editori, sta lavorando per un contratto particolare con Poste e per l’approvazione di un decreto (in discussione in parlamento proprio in questi giorni) che possa essere soddisfacente per noi e per l’ente Poste.

Comunque i canali di distribuzioni sono diversi. Anzi il consiglio della federazione è quello appunto di diversificarli. Sono: l’edicola (dà un’immagine positiva e laica del giornale), la chiesa (l’immagine è clericale), la distribuzione privata (sperimentata primo fra tutti dal mio giornale con risultati soddisfacenti).

Siti on line. 72 testate dei settimanali Fisc hanno attivato anche un sito on line, di esse 5 sono solo testate on line.

LA FEDERAZIONE ITALIANA SETTIMANALI CATTOLICI I periodici diocesani italiani presentano anche un’altra caratteristica di estremo interesse. Sono organizzati in un’Associazione denominata Federazione Italiana Settimanali Cattolici (Fisc), nella quale sono rappresentati dai direttori.

È l’unica associazione di direttori esistente in Italia: ed è chiara l’intenzione: a noi non interessano prima di tutto i problemi economici e sindacali, ma i contenuti. E i direttori sono di “responsabili” dei contenuti.

L’8 dicembre 1965 finiva il Concilio Ecumenico. Il primo documento promulgato era stato l’Inter Mirifica sulle comunicazioni sociali.

Ispirandosi a questo testo, poco meno di un anno dopo, il 26 novembre 1966, un manipolo di coraggiosi “testimoni” decise di dare vita alla Federazione Italiana dei Settimanali Cattolici, cioè di aggregare i settimanali diocesani per favorire un loro potenziamento.

Accogliendo i fondatori in udienza particolare lo stesso 26 novembre, al termine della loro prima assemblea Paolo VI disse loro: “La vostra presenza ci parla di una nuova realtà: la federazione Nazionale dei settimanali Cattolici Diocesani. Salutiamo con viva partecipazione questo organo della stampa cattolica”. E parlando dei settimanali sottolineava: “È una formula che merita ogni appoggio, sia per la diffusione del pensiero corrente cattolico, sia per il carattere popolare che ordinariamente e sapientemente la qualifica, sia per la più accessibile possibilità amministrativa, di cui si contenta ed in cui non di rado fiorisce” e parlando della Federazione, affermava: “L’unione diventa una vera corrente di opinione pubblica: diventa uno strumento d’educazione sociale; diventa nel campo cattolico una comunione di animi e di propositi, che non potremmo abbastanza stimare”.

La Fisc, riconosciuta dalla Conferenza Episcopale Italiana, è articolata in delegazioni regionali, con rispettivi responsabili. Esprime un’assemblea formata dai direttori delle singole testate cui spetta di eleggere il Consiglio Nazionale formato da dodici membri eletti e dai responsabili delle delegazioni regionali. Il consiglio nazionale elegge il presidente e i due vice-presidenti, il segretario e i membri delle commissioni con i relativi responsabili. A latere vi è anche l’assemblea degli amministratori che votano un Comitato Tecnico il quale agisce in stretta collaborazione con il Consiglio nazionale.

La Fisc ha sede oggi in via Aurelia 468 a Roma con tre impiegate nei propri uffici, scandisce la sua attività attraverso le assemblee generali dei direttori ogni tre anni, quando si tratta di rinnovare gli organi direttivi. Ma il consiglio nazionale si ritrova quattro volte all’anno e l’esecutivo (il gruppo dei responsabili) numerose volte.

Gli scopi della Federazione sono:

• creare amicizia e comunione tra i direttori e gli amministratori delle testate associate;

• attivare iniziative di collegamento fra le testate, in particolare con un sito internet specifico;

• promuovere attività di carattere culturale, soprattutto gli annuali convegni di studio su tematiche interne o emergenti nel Paese, che si svolgono nelle città sedi dei giornali associati;

• organizzare iniziative editoriali comuni, nonché campagne d’informazione in momenti importanti della vita della Chiesa o del Paese. Ricordo in particolare l’iniziativa delle cosiddette Dieci Parole lanciate in tandem con il quotidiano Avvenire in occasione delle elezioni politiche del 21 aprile 1996; oppure la campagna di informazione e formazione in occasione del referendum sulla legge 40 del 2005 sulla procreazione assistita;

• organizzare la formazione degli operatori, mediante scuole e incontri;

• offrire supporti di tipo tecnico-amministrativo;

• favorire la nascita di nuove testate nelle diocesi non ancora coperte dal settimanale cattolico;

• finanziare progetti regionali di collaborazione o la nascita di nuovi giornali con fondi che la Cei mette a disposizione ogni anno (€ 150.000).

• promuovere gemellaggi e venire in appoggio di giornali soprattutto delle Chiese dell’Est europeo.

La Fisc ha rinnovato gli statuti negli ultimi anni per adeguarli alle nuove normative (Assemblea straordinaria del 24 novembre 2006).

Il 23 marzo 2007 ha costituito la Fisc Servizi srl come proprio braccio operativo con lo scopo di fornire alla Federazione stessa assistenza tecnica, contabile ed organizzativa, prestare servizi amministrativi, tecnici commerciali e finanziari, raccogliere e distribuire alle testate associate pubblicità a carattere regionale o nazionale.

La Fisc Servizi srl sostituisce un precedente Consorzio Nazionale Servizi Informazioni Settimanali (Consis), fondato il 10 ottobre 1986 che – risultato ormai obsoleto per la legislazione attuale – è stato liquidato.

Per completare il quadro devo ricordare che la Fisc, Nel 1988, rendendosi conto della necessità di uno strumento che fornisse informazioni e servizi giornalistici qualificati ad ampio raggio di carattere nazionale soprattutto sulla vita della Chiesa, ma anche del Paese, ha dato vita all’agenzia Servizi Informazione Religiosa (Sir) che è uscita ufficialmente con il primo numero il 13 gennaio 1989. Ne è oggi direttore il dott. Paolo Bustaffa. L’agenzia è un sostegno indispensabile a tutti i settimanali diocesani, pubblica servizi, reportage, offre foto e infografici, documenti ecc.

Oggi il Sir s’è sviluppato notevolmente ed è diventato l’agenzia della Conferenza Episcopale Italiana. Il suo servizio on line (www.agensir.it) è offerto a tutta la stampa italiana ed europea, grazie all’attivazione di un servizio anche europeo bilingue.
Resta comunque uno spazio specifico per i settimanali cattolici che le hanno dato vita.

Questa la mappa. Ma cos’è un settimanale diocesano? Quale il suo valore e

la sua forza?

La forza c’è. L’abbiamo constatata in occasione del referendum del 2005 abrogativo di parti della legge 40/2004 sulla procreazione assistita, quando, in sinergia con il quotidiano Avvenire, abbiamo lanciato una campagna di sensibilizzazione. Ottenendo – non certo solo per il nostro impegno, ma sicuramente anche grazie al nostro impegno – un risultato eccellente. Del resto sul fronte dei valori non negoziabili i nostri settimanali sono sempre in prima fila.

E, seconda testimonianza, un ministro della Repubblica che ha voluto inserire un “libro bianco” nei nostri settimanali, mi diceva giorni fa: “Ovunque andiamo tutti sanno del nostro “Libro Bianco”: abbiamo trovato il canale giusto!” Ma anche l’esperienza dell’Obolo di San Pietro certifica la forte presenza dei nostri settimanali nei singoli territori.

COS’E’ UN SETTIMANALE DIOCESANO.

Ed ora vediamo le caratteristiche di un settimanale diocesano.

Numerosi sono i media cattolici, tramite i quali i credenti diffondono una visione cristiana del reale e della vita (sono nell’ordine di 3.000 le testate cattoliche italiane di ogni genere). Si distinguono dagli altri media per lo spirito che li anima: è lo spirito evangelico che li porta a raccontare e riflettere sull’intera realtà dal punto di vista dei valori cristiani e del Vangelo.

Propongono di fatto una visione del mondo “alternativa” a quelle imperanti, asservite alla notizia-spettacolo e alla notizia-profitto, ricercano costantemente la verità e il bene dell’uomo, danno voce a chi è ritenuto o risulta debole agli occhi del mondo, portano a conoscenza di tutti le innumerevoli e concrete testimonianze d’amore e di solidarietà, privilegiano le “buone notizie”.

Tra i media di ispirazione cristiana, i periodici diocesani (settimanali o mensili; cartacei oppure on line), hanno caratteristiche proprie che ne fanno una realtà peculiare.

• Sono i giornali d’informazione di una diocesi, legati ai propri vescovi – che ne sono sostanzialmente gli editori – mediante un rapporto di fiducia che rispetta la libertà d’azione dei direttori e delle redazioni, pur nell’ambito di un necessario indirizzo condiviso (il punto di vista evangelico e cattolico e il progetto pastorale diocesano: sta qui l’equilibrio possibile tra vescovo e autonomia redazionale che si costruisce giorno per giorno); e le rispettive comunità ecclesiali, di cui sono la voce, facendone trasparire la vitalità e la freschezza e lo slancio della missione.

• Non si chiudono comunque all’interno di una comunità ecclesiale, anzi sono giornali di un territorio (quindi giornali popolari) di cui raccontano la storia e la vita, facendosi soggetti attivi all’interno di esso, punto di riferimento informativo e culturale, strumento di partecipazione popolare.

• Sono finestre aperte sul mondo per favorire uno sguardo ampio dei propri lettori soprattutto sui Paesi del Terzo mondo di cui nessuno parla. E tutti sappiamo che colui di cui non si parla non esiste. Possiamo anzi riformulare l’assioma di Cartesio: “Sono in tv, quindi esisto”.

Come svolge questo servizio di evangelizzazione il settimanale cattolico? Forse deve pubblicare i testi ufficiali della diocesi, dalle omelie del vescovo agli atti delle singole commissioni pastorali? Deve essere – peggio ancora – il palcoscenico del vescovo stesso?

Gioca qui la sua cattolicità e la sua ecclesialità?

No.

In realtà l’operazione è ben più complessa e profonda.

Ci rifacciamo al Concilio Ecumenico, che segnò un punto di svolta anche in questo settore.

SPECCHIO E FARO

Prima del Vaticano II la funzione primaria del settimanale cattolico era ritenuta ancora un’informazione “ad intra”, un giornale della diocesi, non della città o del territorio. La comunità, oltre ad esserne l’emittente, ne doveva essere anche il ricevente e il principale oggetto. Svolgeva quindi una funzione pastorale nel senso stretto del termine.

Nei confronti della città il foglio diocesano si apriva solo in un secondo momento, e ancora con taglio pastorale: quello cioè della comunicazione di valori e di messaggi religiosi, senza una partecipazione dal di dentro della realtà: il soggetto-giornale si identificava con il soggetto-Chiesa che non può confondersi con il mondo.

Erano giornali d’appartenenza che intendevano essere sostanzialmente la voce della Chiesa locale e si ponevano l’obiettivo di rafforzare l’appartenenza alla comunità ecclesiale.

Il Concilio provocò la svolta.

L’Inter Mirifica – il primo documento che i padri licenziarono – si poneva innanzitutto in un atteggiamento positivo nei confronto dei Media… “strumenti meravigliosi” utili per l’evangelizzazione. E aggiungeva che la Chiesa ha il “diritto nativo” non solo di usare i media, ma anche di possederli, in quanto ente sociale. Importante sottolineare l’affermazione del diritto della Comunità cristiana di editare giornali di ogni tipo, soprattutto in riferimento a certe correnti di pensiero che ritengono il possesso di propri media non in sintonia con il pensiero conciliare!

Aggiungeva poi: “La Chiesa cattolica (…) ritiene suo dovere servirsi anche degli strumenti della comunicazione sociale per predicare l’annuncio della salvezza ed insegnare agli uomini il retto uso degli strumenti stessi” (I.M., 3).

E aggiungevano: “Al fine poi di formare i lettori a un genuino spirito cristiano si promuova e si sostenga una stampa specificamente cattolica, tale cioè che (…) venga pubblicata con l’esplicito scopo di formare, favorire e promuovere opinioni pubbliche conformi al diritto naturale, alla dottrina e alla morale cattolica, e di far conoscere nella giusta luce i fatti che riguardano la vita della Chiesa. Vengano infine richiamati i fedeli sulla necessità di leggere e di diffondere la stampa cattolica al fine di poter giudicare cristianamente ogni avvenimento” (ibid., 14).

Il 23 maggio 1971, vedeva la luce l’Istruzione Communio et Progressio, sviluppo esplicitamente voluto dai padri conciliari del decreto Inter Mirifica. Ponendo la questione dell’informazione sotto l’angolatura dell’evangelizzazione, affermava: “L’attività degli scrittori cattolici si rivolge a tutto il vasto campo dell’informazione, della critica, dell’interpretazione di ogni settore e aspetto della vita odierna, e di ogni problema che preoccupa l’uomo d’oggi, ma sempre nella visione cristiana della vita. (…) La stampa cattolica sarà quindi come uno specchio fedele del mondo, e nello stesso tempo, un faro che lo illumini.” (n.138). Stampa cattolica quindi come informazione su tutta la realtà (“specchio del mondo”) con un suo specifico che è quello della visione cristiana della vita (“faro che la illumini”). Ribadendo la necessità del “dialogo all’interno della Chiesa”, la Communio et Progressio sottolineava che tale dialogo deve essere anche “utilmente portato avanti” fra Chiesa e mondo (cfr. n. 139), in quanto “il messaggio della Chiesa è rivolto non solo ai fedeli, ma ha dimensioni universali”. (n. 122).

Da qui venne la svolta.

Dietro queste sollecitazioni nella Fisc si è via via consolidata una tendenza di maggiore apertura, quella di considerare il settimanale diocesano un giornale locale e popolare: come voce cioè del territorio, come attenzione alla concreta vita della gente, alle sue tradizioni, ai suoi valori, alle sue radici, alle sue più autentiche ispirazioni, offrendo spazi perché la gente stessa parlasse di sé e il giornale diventasse voce di chi non ha voce.

I settimanali diocesani sono quindi giornali d’informazione generalista sul territorio, caratterizzati da laicità, interessati all’intera realtà sociale, politica ed ecclesiale per interpretarla da un
punto di vista cristiano. Si ritagliano un target di lettori che coincide con l’intera comunità cittadina locale ed entrano nel concreto dei problemi del territorio con prese di posizioni sui fatti (anche politici) guadagnandosi notevole peso nell’opinione pubblica locale. Di riflesso i loro lettori non saranno solo i cattolici o i frequentanti la comunità ecclesiale, ma tutti.

Ed è proprio qui il nocciolo della questione. Se il settimanale diocesano ha l’obiettivo di informare l’opinione pubblica ai valori cristiani, facendosi “faro di tutta la realtà”, ciò come avviene? Non certo nel proporre soltanto di un certo tipo di contenuti, diciamo ecclesiali. È come se il fascio di luce si stringesse solo su un settore della realtà, illuminandolo fortemente, ma oscurando gli altri.

L’informazione fatta con lo sguardo penetrante della fede è già una forma di evangelizzazione perché diffonde una visione della vita e del mondo ispirata ai valori cristiani. La diffusione totale della luce (una luce comunque forte) significa comunicare una visione della vita che emerge dalla struttura stessa dell’informazione del giornale.

Lo sappiamo, la strutturazione dei contenuti, cioè la loro scelta e la loro organizzazione editoriale risponde sempre a background culturali (il medium è il messaggio). Anche la visione cristiana della vita produce una struttura di contenuti specifica, dove le gerarchie degli interessi e dei valori sono di un certo tipo e spesso ben diverse da quelle di altri prodotti editoriali. Si pensi al posto che dà agli ultimi, al Terzo Mondo, alle categorie di persone di cui nessuno parla. Si pensi all’emarginazione dello spirituale che troviamo nella stampa laica.

Il lettore, frequentando settimanalmente un giornale, quasi per un processo di osmosi, struttura il proprio modo di pensare secondo il modello strutturale del giornale che legge. Se legge un giornale cattolico è probabile che si faccia una mentalità cattolica, un’opinione ispirata al Vangelo. Ed è proprio in questo modo che passa la “cultura cristiana”. Del resto i media oggi non sono solo strumenti, ma sono un ambiente nel quale l’uomo vive. Per questo si comprende come sta proprio qui il punto chiave dell’evangelizzazione.

Naturalmente bisogna subito sottolineare che in un giornale di tal genere c’è e ci deve essere spazio per la comunicazione dei contenuti religiosi, etici ed ecclesiali… perché anche questi fanno parte della vita. Anzi sono un elemento strutturale della vita che di solito tutti gli altri giornali trascurano o addirittura omettono coscientemente. Cosa si saprebbe di eventi ecclesiali anche rilevanti se in Italia non ci fossero il quotidiano cattolico Avvenire, i settimanali, radio tv e altri mezzo “cattolici”? E da quale angolatura viene letta la vicenda della Chiesa italiana da parte di giornali laici?

Detto questo, quali sono i punti di forza dei settimanali diocesani? 1 – SONO AVAMPOSTI NELLA MISSIONE

I periodici diocesani voce delle Chiese locali vanno considerati come elemento strutturale dell’evangelizzazione di una diocesi. Anzi, per la loro conformazione, si propongono come avamposti nella missione perché possono arrivare anche là dove i tradizionali strumenti della pastorale non arrivano e presentano caratteristiche di linguaggio e di appetibilità che possono favorire una notevole penetrazione nei loro ambienti. Realizzano, insomma, l’idea missionaria della nuova evangelizzazione per cui la Chiesa si apre e si rivolge al mondo parlando un linguaggio comprensibile all’uomo d’oggi, per accompagnarlo nel cammino della storia. In particolare: • Aprono al trascendente. In una società che ha perso la dimensione interiore, che vuole escludere il religioso e lo spirituale dal suo orizzonte relegandolo nel privato, il coraggio di proporre una visione di fede della vita e del mondo fa sì che la stampa cattolica si ponga come una vera alternativa culturale.

• Hanno il coraggio servire la verità, smascherando il tentativo di ridurla a semplice confronto di opinioni del tutto relative, imposte a colpi di maggioranza, smontando le false notizie mediante un’operazione di risanamento quanto mai necessaria per la deriva che molti dei grandi media oggi hanno raggiunto e per il loro massiccio imporsi all’opinione pubblica con l’enfatizzazione delle informazioni nelle quali prevale la voglia di “emozionare”, di trascinare gli umori della piazza, senza la minima preoccupazione di offrire l’aiuto di un qualche approfondimento.

• Si fanno – come diceva lunedì il direttore di Avvenire – “cani da guardia” della dignità della persona, dell’intangibilità della vita, dei cosiddetti valori “non negoziabili” che costituiscono la vera “questione sociale” di oggi. Ma anche portando sulla scena informativa e raccontando tutte le concrete violazioni della dignità umana a tutti i livelli.

2 – SONO VOCE DI UN TERRITORIO

I periodici diocesani esprimono il patrimonio vitale e culturale del territorio di riferimento. Lo fanno in diversi modi:

• Raccontano la vita e tutta la vita, civile ed ecclesiale, dell’ambiente sociale in cui sono presenti. Una vita di popolo, radicata nella tradizione cristiana. Di essa raccontano soprattutto gli eventi positivi, tra cui la rivoluzione della carità con cui i credenti e tanti uomini di buona volontà stanno cambiando il mondo.

• Raccontando la vita di tutti, rendono protagonisti coloro che non hanno voce, coloro di cui nessuno mai parla e sono quindi relegati ai margini della società.

• Nel raccontare coinvolgono la comunità a tutti i livelli, i giovani in particolare, speranza della Chiesa e della società.

3 – SONO SOGGETTI ATTIVI DI CITTADINANZA I giornali diocesani si propongono come soggetti attivi nei singoli territori, strumenti tramite i quali si esprime e si realizza la dimensione dell’appartenenza civile e sociale degli uomini.

Informando in modo completo e corretto, rendono infatti coscienti i cittadini dei fatti e dei problemi del loro ambiente, favorendo la partecipazione civile.

Svolgono inoltre un’opera di controllo sociale: contribuiscono cioè al miglioramento della vita comune, assumendosi la responsabilità di farsi pubblica coscienza critica.

Si fanno luogo di presenza e promozione attiva dei vari soggetti sociali; strumenti di espressione della base popolare, attivando la partecipazione alla gestione della cosa pubblica; si propongono come luogo di confronto favorendo la maturazione civile dei lettori. In tal modo i giornali diocesani svolgono un vero e proprio servizio democratico.

A questo livello si pone anche la “questione politica”. I giornali diocesani, inseriti come sono nel Paese e nei singoli territori, non possono non prendere posizione di fronte alle scelte politiche nazionali e amministrative locali. Il superamento del partito unico dei cattolici permette loro di essere più liberi, per cui nell’informazione e nella riflessione sugli eventi non fanno una pregiudiziale scelta di parte, ma – svincolati da ogni condizionamento ideologico, partitico ed economico – s’impegnano (con l’umiltà della limitatezza) a porsi sempre con coraggio dal punto di vista dei valori evangelici e dalla parte del bene comune. I lettori ne sapranno così apprezzare la coerenza, li sentiranno sinceramente “solidali” e attribuiranno loro stima e fiducia.

I settimanali diocesani si pongono, infine, come strumenti di servizio per offrire alle comunità locali tutte le informazioni (comprese quelle pubblicitarie) utili a migliorare il vivere comune.

4 – SONO RETE DI RELAZIONI E DI COLLEGAMENTO In una società che privilegia l’incontro superficiale, i settimanali cattolici diocesani sono tessitori di legami forti perché diventano una sorta di rete di collegamento che contribuisce a costruire sia la comunità civile, ponendosi al centro delle relazioni tra i cittadini, i gruppi sociali, i diversi livelli istituzionali; sia la comunità ecclesiale, favoren
do l’incontro tra i credenti, le associazioni, i movimenti ecclesiali, i pastori e il popolo di Dio. In tal mondo rafforzano l’identità di un territorio e di una Chiesa particolare.

5 – LUOGO DI CONFRONTO E DI DIALOGO

Se i media in generale sono “il primo areopago del tempo moderno”, ciò vale soprattutto per un giornale locale che ha il vantaggio della “vicinanza” ai propri lettori. Per cui, a completamento dell’opera d’informazione e di “rete” di cui s’è parlato, il periodico diocesano può farsi luogo di un dibattito libero e leale nel confronto tra le opinioni a tutti i livelli, civile ed ecclesiale, favorendo in tal modo l’approfondimento dei fatti e delle idee per un arricchimento culturale dell’intero territorio. Tutti potranno sentirsi coinvolti e percepire il settimanale come proprio, se non sempre condividendo il punto di vista cristiano da cui si pone, almeno come luogo di crescita nel confronto attorno a valori condivisi. In questo contesto i settimanali diocesani favoriscono il dialogo anche tra credenti e laici.

Tale servizio i periodici diocesani lo realizzano in particolare nella comunità ecclesiale sollecitata dall’attuale scenario politico. Se infatti il legittimo pluralismo “non ha nulla a che fare con una diaspora culturale dei cattolici”, il settimanale diocesano si offre come uno dei “luoghi d’incontro” per i cristiani impegnati in politica, allo scopo di incrementare il dialogo e di trovare linee di convergenza e obiettivi comuni sui valori evangelici. Si mettono così al servizio di quel “discernimento comunitario” che è stata una delle indicazioni più forti del Convegno di Palermo. È un impegno difficile, che si pone come obiettivo di superare le gravi fratture createsi nella comunità cristiana.

6 – IL LINGUAGGIO

Questo lavoro di evangelizzazione, di inculturazione, di trasmissione e di presenza attiva come rete ecclesiale e sociale, i settimanali cattolici la svolgono tramite l’informazione, cioè tramite il racconto che è il proprio linguaggio principe. E, nell’esercizio del raccontare, svolgono il loro servizio adottando il metodo dello “scrivere chiaro”. Un linguaggio comprensibile (anche nell’informazione ecclesiale) non è solo una questione tecnica mirata al miglior consumo del prodotto giornale e quindi, in ultima istanza, al ritorno economico, ma è soprattutto un impegno etico e democratico verso le classi più deboli che diversamente rischiano di restare emarginate dalla comunicazione e quindi dal loro ambiente sociale ed ecclesiale.

Il linguaggio è quindi una questione fondamentale per un settimanale diocesano che s’ispira al metodo stesso di Gesù, Parola fatta carne, che parlava usando parabole e similitudini allo scopo di intercettare i semplici e pregava: “Ti benedico, o Padre, […] perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt. 11, 25).

7 – GLI OPERATORI COME EVANGELIZZATORI Gli operatori dei settimanali diocesani sanno bene che l’ispirazione cristiana di questi strumenti non abita nelle pagine, ma nelle persone che li confezionano.

Non è automaticamente per il fatto di essere media della Chiesa che i settimanali garantiscono la comunicazione della speranza cristiana, ma è per il fatto che gli operatori dei settimanali la vivono per primi, ne fanno esperienza personale nella loro esistenza di membri attivi e responsabili della Chiesa e della comunità civile, condividendo il cammino di conversione pastorale e culturale della Chiesa italiana.

Con questo spirito, nutrito da una costante preparazione, essi considerano il loro lavoro e la loro collaborazione al settimanale diocesano come una vera e propria vocazione, come un carisma peculiare fra i tanti che arricchiscono la comunità cristiana. Un carisma assolutamente attuale e necessario che le comunità dovrebbero promuovere e sostenere.

QUALE SARÀ IL FUTURO DEI NOSTRI SETTIMANALI? Come fare per sopravvivere? Quali le chances per sopravvivere? L’Economist ha previsto la morte dei giornali, cioè dell’informazione a supporto cartaceo, nella simbolica data del 2043. Non sappiamo come andrà, ma è certo che i nuovi media, ad esempio i giornali on-line, soprattutto quelli di ultima generazione che costituiscono una sorta di prodotto informativo in tempo reale, avranno un grande sviluppo e potranno creare problemi ai tradizionali prodotti cartacei, compresi i settimanali diocesani. Il rapporto tra prodotti on-line e stampa tradizionale sarà la sfida del futuro.

Tuttavia le tendenze in atto confermano un maggior rischio di declino per le grandi testate nazionali, spesso omologate e prigioniere delle logiche commerciali, mentre s’intravede una possibilità di sviluppo della stampa locale, legata a singoli territori. Infatti nell’attuale mondo globalizzato la gente sente sempre più il bisogno di radicarsi nel proprio territorio, riscoprendo e valorizzando le tradizioni locali. All’interno di questo “ritorno al locale” è ovvio che i lettori chiedano maggiore informazione sul proprio territorio e quindi acquistino preferibilmente i giornali locali in una sorta di processo di identificazione.

Per rispondere a tale esigenza molti quotidiani nazionali hanno potenziato l’informazione locale, attivando dorsi specifici, oppure acquistando giornali locali e creando così grandi sinergie editoriali, non senza qualche problema per il pluralismo dell’informazione. Inoltre stanno nascendo numerose testate locali dovunque e di ogni genere.

Di fronte ad una tale situazione, si aprono buone prospettive e interessanti spazi per la nostra stampa diocesana. L’attuale è, dunque, un tempo favorevole per cui bisogna guardare al futuro con speranza. Comunque noi non siamo qui a difendere la carta. Ci interessa un certo tipo di prodotto che porremo sul supporto che riterremo più vantaggioso, anche se crediamo che il futuro sarà “integrato”.

E per costruire il futuro bisogna puntare:

· Sulla località: il giornale locale sente meno la concorrenza di Internet, perché la rete non sa focalizzarsi sul piccolo territorio. Anche in questi giorni, quando si è parlato di stampa si è parlato sempre dei grandi quotidiani, che sono solo una minima parte della carta stampata. Per un giornale locale il futuro non è così nero.

· Sulla prossimità: il vantaggio del giornale locale è la “prossimità” ai suoi lettori. È un’arma vincente perché funziona. Faccio un esempio.

Sul mio giornale ho aperto – da due anni – una rubrica medica. Come tutti sapete, di informazione sanitaria ne abbiamo a bizzeffe dappertutto. Ma qual è il mio asso nella manica? Che tale informazione è scritta dai medici del nostro ospedale. La gente riconosce il proprio medico (di cui pubblichiamo la foto in capo al pezzo), e se l’informazione te la dà il tuo medico… Non per nulla ha un grandissimo successo e i medici si vedono spesso venire in ambulatorio pazienti con il ritaglio del mio giornale! È una dimostrazione dell’importanza della prossimità.

E qui voglio fare un’altra considerazione. In Lombardia esistono quattro quotidiani locali di cui si parla poco. L’Eco di Bergamo ad esempio. È un quotidiano di proprietà della diocesi che ha una grande diffusione: 60.000 copie ogni giorno nella sola diocesi di Bergamo che conta 952.960 abitanti. Stampa un numero enorme di pagine e di edizioni, è fortemente in attivo. Un bergamasco non legge nessun giornale, legge l’Eco. Lo sente proprio, si identifica con esso. È forte perché è locale, prossimo alla sua gente.

E allora – come terzo punto – mi permetto di avanzare una proposta per Avvenire. Perché il quotidiano dei cattolici italiani (che fa poco più di 100.000 copie giornaliere nell’intero Paese) non si avvicina di più ai territori? Lo potrebbe fare in sinergia con i settimanali diocesani. È sempre stata una mia utopia che Avvenire potesse uscire con due dorsi: il quotidiano (pulito da tutte le pagine locali che non è possibi
le realizzare in maniera soddisfacente) e il giornale diocesano locale (trasformato da settimanale in quotidiano). È un’operazione difficile, ma potrebbe dare un grande colpo di reni ad Avvenire e ai settimanali diocesani. Sarebbe una svolta davvero storica. Insomma, fino ad oggi siamo ancora fidanzati, nel prossimo futuro dovremmo sposarci! In conclusione, il punto massimo del successo per un giornale locale è divenire strumento di identificazione per il gruppo sociale che abita un territorio, che lo senta proprio, che lo senta una sorta di proprio vessillo, di cui sentirsi orgoglioso. A questo punto nessuno potrà più contrastarlo.

In particolare nei confronti di Internet:

· Internet è un mare nel quale non si naviga, ma si annega. Ditemi: se cerco un argomento con Google e mi si presentano mille, 100.000 siti, che faccio. Quanto tempo ho per leggerli tutti? E quali sono i più importanti? E quali sono i migliori? Basterà forse un mese per rispondere a queste domande? Si sente il bisogno, per non annegare, di chi mi lanci un salvagente, di chi mi dia una bussola per navigare. E non potrebbe essere un giornale la bussola? Mi fido della “scrematura” che il giornale ha già fatto tra i siti di Internet.

· Sull’affidabilità: Internet quale affidabilità ha? Qual è l’autore dei pezzi di cui possiamo fidarci? Il lettore ha bisogno di fidarsi. Chi mi dice che quella notizia sia vera?

· Sulla qualità: la velocità della notizia è un mito, ma fino a che punto è meglio saper subito una notizia approssimativa o saper poco dopo una notizia di qualità? Internet non ha qualità.

Tutto ciò ci fa dire che il mito Internet potrebbe non durare a lungo… che per lo meno anche Internet dovrà cambiare. Il fatto che social-network abbiano già battuto i motori di ricerca informavi è significativo.

In conclusione:

· La sfida comunque è quella di proporre un’informazione integrata (giornale, radio, sito, tv, libreria editrice, cioè prodotti in rete e in sinergia che non si mangino l’un l’altro, ma che si ottimizzino a vicenda e soprattutto rendano più forte, più penetrante l’informazione.

Trasformiamo le nostre aziende in un “marchio di informazione” integrata come ha detto il prof. Pruller. Dobbiamo lavorare e sperimentare per trovare soluzioni in questa linea.

SINERGIE TRA MEDIA CATTOLICI

Quella che vi ho presentato è una grande esperienza associativa che ha portato beneficio alle testate iscritte.

E perché non creare un’associazione anche della stampa cattolica, visto che molte testate deboli sono allo sbaraglio e non sanno a chi affidarsi (vengono a chiedere aiuto alla Fisc)? Un’associazione che possa ottenere risultati come ha ottenuto l’associazione dei settimanali diocesani?

E perché non creare legami di rete con le Chiese dell’Est come il card.

Bagnasco ha chiesto a settimanali diocesani ed è emerso lunedì nel gruppo di studio C? Nelle Chiese dell’Est dove stanno nascendo numerose testate cattoliche di ogni tipo, ma che hanno bisogno di coordinamento e di appoggio.

Ma non solo con le Chiese dell’Est.

Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione