Il distributismo e la crisi economica

Intervista a John Medaille su come creare un mercato veramente libero

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di Annamarie Adkins

IRVING (Texas) martedì, 5 ottobre 2010 (ZENIT.org).- In un periodo in cui le misure di salvataggio delle imprese si sono rivelate un flop, in cui la classe dirigente sembra confusa, mentre la crisi economica non dà segni di regredire, la gente cerca delle alternative rispetto alla saggezza convenzionale.

L’enciclica di Benedetto XVI “Caritas in veritate” è stata come una manna per il cosiddetto movimento economico alternativo, e almeno una delle teorie economiche derivate dalle encicliche sociali, quella del distributismo, sta riscuotendo un certo interesse.

Ma molti sono scettici e considerano il distributismo meramente come una specie di agrarianismo romantico, o peggio ancora, solo come un approccio estetico privo di possibili applicazioni pratiche.

John Medaille, uno dei preminenti neo-distributisti, ha cercato di rispondere a queste critiche. Il risultato è un manifesto distributista intitolato “Toward a Truly Free Market:  A Distributist Perspective on the Role of Government, Taxes, Health Care, Deficits, and More” (ISI), che non poteva essere più puntuale, mentre i governi in tutto il mondo lottano contro la crisi sociale e fiscale.

Medaille , co-redattore di The Distributist Review, che pubblica su Internet, nonché docente aggiunto dell’Università di Dallas, ha spiegato a ZENIT cosa manchi all’attuale teoria economica e perché il distributismo meriti un rinnovato apprezzamento.

Il suo libro inizia esaminando gli assunti fondamentali di ciò che generalmente viene chiamata “economia”. Quali sono questi assunti? Sono questi la causa dell’attuale crisi economica globale?

Medaille:  I due assunti principali dell’economia di oggi – peraltro entrambi errati – sono che l’economia sia una scienza fisica anziché una scienza umana, e che come tale non ha nulla a che vedere con le questioni etiche.

Sin dalla fine del XIX secolo, l’economia ha cercato di contrapporsi alla giustizia, soprattutto alla giustizia distributiva, ma così facendo ha perso la capacità di descrivere in modo accurato ogni economia di oggi. Quindi non dovrebbe sorprendere che il 90% degli economisti non si sono accorti dei segnali dell’imminente crollo.

Lo stesso è vero per la precedente crisi e per quella ancora precedente, ecc.

Non è possibile prevedere in modo attendibile lo svolgimento di un sistema, se non si è in grado di descriverlo in modo adeguato.

Il distributismo, d’altra parte, asserisce che la giustizia non sia solo un problema morale, ma anche un problema pratico ed economico, e che senza la giustizia economica non è possibile raggiungere l’equilibrio. Quando l’economia si separa dalla giustizia, il governo è costantemente pressato ad intervenire per assicurare stabilità, sebbene gli interventi possano essere efficaci solo nel breve periodo.

Noi abbiamo abbandonato la giustizia su scala globale e questo ha portato a un commercio cronicamente squilibrato. Quando gli scambi sono cronicamente squilibrati non è un vero commercio. Si tratta piuttosto di un sistema in cui i produttori esteri finanziano il nostro consumo dei loro beni, un sistema che impoverisce entrambe le parti.

La maggior parte delle persone crede che la battaglia per l’anima del capitalismo si giochi tra i seguaci di Keynes e i seguaci di Hayek. Secondo lei, invece, entrambe le teorie portano a ciò che Hilaire Belloc ha definito lo “Stato servile”. Perché? Cosa non hanno capito gli altri?

Medaille:  Il capitalismo e il socialismo in realtà non sono teorie opposte; l’una è la continuazione dell’altra, mentre il distributismo si oppone ad entrambe: è il libero mercato.

Il capitalismo tende a concentrare la proprietà nelle mani di pochi, strozzando così il mercato, e il socialismo prosegue quest’azione concentrando la proprietà nelle mani dello Stato. In pratica entrambi i sistemi finiscono per controllare le più importanti risorse della nazione nelle mani di pochi burocrati – über-manager – che rappresentano gli interessi dei proprietari nominali, siano essi gli azionisti o il popolo in generale, che tuttavia controllano queste risorse in funzione del proprio bene.

Inoltre, nel concentrare il potere economico essi concentrano anche il potere politico e le grandi società riescono ad ottenere grandi privilegi e sussidi per se stesse, come abbiamo visto durante la crisi. Quindi, tra l’elefantismo statale e l’elefantismo del settore privato, l’individuo è ridotto a uno stato servile.

Ciò che manca sia al capitalismo che al socialismo è la volontà di ammettere che alla proprietà consegue il potere. Entrambi i sistemi affermano di creare libertà attraverso la concentrazione del capitale, ma poiché questo provoca anche la concentrazione del potere, la massa della gente rimane priva di potere.

D’altra parte, il distributismo cerca di costruire una società basata sulla proprietà di uomini e donne liberi e consapevoli dei propri diritti, e dotati degli strumenti per difendersi dalle tendenze accentratrici sia dello statalismo sia del corporativismo.

Cos’è dunque il distributismo? La differenza tra capitalismo e socialismo non riguarda solo la redistribuzione o la suddivisione? Come può questa teoria, che si fonda comunque su un certo grado di intervento dello Stato, creare un mercato veramente “libero”?

Medaille:  In effetti non è tanto una questione di cosa lo Stato debba fare, ma di cosa debba non fare.

L’accumulazione della proprietà solitamente dipende dal potere pubblico: maggiore è la quantità di capitale, maggiore sarà lo spessore delle mura statali necessarie a proteggerlo.

Esistono certamente cose positive che lo Stato può fare, per esempio con la politica fiscale o semplicemente facendo rispettare le sue leggi contro il monopolio e l’oligopolio. E vi sono casi in cui persino il titolo alla proprietà terriera o di altre risorse è questionabile.

Ma in generale, una società distributiva richiede uno Stato più snello, con poteri che siano opportunamente distribuiti su tutti i livelli della società.

Contrariamente ai sistemi di concentrazione del potere economico e politico, quello distributista si fonda su una varietà di forme di piccola proprietà al fine di distribuire il potere: singoli proprietari per possedimenti che possono essere usati e gestiti facilmente da una persona o famiglia, cooperative per imprese più grandi, proprietà pubbliche locali per risorse come l’acqua o i sistemi fognari, azionariato dei dipendenti nei casi appropriati, e così via.

In questo modo, sia il potere economico che quello politico viene distribuito su tutti i livelli della società. Esistono in realtà solo due possibilità riguardo alla proprietà e al potere: concentrazione o distribuzione.

La prima porta al servilismo, la seconda alla libertà.

Come si configura una società distribuista? Esiste qualche esempio nel mondo?

Medaille:  Ottima domanda! Quando parliamo di sistemi economici, è sempre bene non affidarsi esclusivamente alla teorizzazione astratta, ma fare riferimento a sistemi concreti e funzionanti.

Per esempio, il capitalismo puro, come il comunismo puro (al di là del contesto monastico) non hanno mai funzionato e non esistono esempi attuali. Il capitalismo è sempre stato imposto e sostenuto dal potere statale, mentre il socialismo ha sempre dovuto consentire un certo grado di libertà di mercato per poter funzionare.

Il distributismo, invece, può mostrare l’esempio di diversi modelli di lavoro, sia di grandi che di piccole dimensioni. Esiste la Mondragón Cooperative Corporation, in Spagna, la cui proprietà è distribuita tra 100.000 dipendenti e che fatt
ura 25 miliardi di dollari (19 miliardi di euro); esiste la realtà cooperativa della regione Emilia-Romagna, in cui il 40% del PIL deriva dalle cooperative; esistono migliaia di piani di azionariato dei dipendenti (ESOP), di cooperative, società di mutua assicurazione e cooperative finanziarie.

La verità storica è che il distributismo passa da un successo all’altro, mentre il capitalismo inciampa su un salvataggio dopo l’altro.

Ciò che è particolarmente interessante è che una società distributista come Mondragón è stata in grado di fornire la propria rete di sicurezza sociale, sistemi scolastici, istituti di formazione, centri di ricerca e sviluppo, e di università, tutto con i propri fondi e senza sussidi statali.

Si tratta di una realtà molto più vicina all’ideale liberale, rispetto a quanto sia stato prodotto da qualunque laissez-faire.

Offrendo soluzioni pratiche per i gravi problemi economici di oggi, il suo libro cerca di rispondere ai numerosi critici del distributismo che lo ignorano per la sua supposta impraticabilità o il suo neograrianismo. Quali sono i principi fondamentali o gli elementi costruttivi che un distributista usa per confrontare ed elaborare politiche alternative?

Medaille:  I principi fondamentali del distributismo sono la sussidiarietà e la solidarietà.

Per sussidiarietà intendiamo che i più bassi livelli della società, a partire dalla famiglia, sono quelli più importanti e quelli in cui deve risiedere il maggior grado possibile di autorità decisionale e di potere. I livelli più alti si giustificano solo per l’aiuto che riescono a dare a quelli inferiori.

La solidarietà implica che ogni decisione politica debba tenere a mente i più poveri e i più vulnerabili membri della società.

La sussidiarietà è difficile da realizzare in una situazione di accentramento del potere; solo attraverso la diffusione del potere economico e politico (e questi sono solo due diversi aspetti del medesimo potere) è possibile per le comunità locali e le famiglie di prosperare.

Il distributismo ha delle basi nella dottrina sociale cattolica o nelle encicliche come la recente “Caritas in veritate”?

Medaille: La sussidiarietà e la solidarietà derivano, ovviamente, direttamente dalle encicliche sociali e il distributismo deve molto ai loro ideatori cattolici come G. K. Chesterton e Hilaire Belloc.

Detto questo, l’ordine sociale distributista non dipende da un propedeutico ordine sociale cattolico. Tuttavia, riteniamo che un tale ordine sociale gioverebbe molto da un sistema distributista.

Ci può riassumere brevemente la soluzione distributista all’apparentemente irrisolvibile problema dell’assicurare al maggior numero possibile di persone un’assistenza sanitaria adeguata?

Medaille: Il nostro Paese ha appena attraversato un dibattito piuttosto avvelenato su questo argomento, in cui si è discusso di una artificiosa distinzione tra sistema socialista e sistema di mercato, mentre la vera questione è rimasta completamente all’oscuro.

La realtà è che nell’assistenza sanitaria questa distinzione non esiste. Lo Stato già paga il 45% dei costi sanitari complessivi, mentre il mercato “privato” è di fatto dominato da monopoli tutelati dallo Stato attraverso autorizzazioni, licenze e certificazioni per la costruzione di nuove strutture sanitarie.

L’evidenza dell’esistenza di un mercato monopolistico è dato dal costante aumento dei prezzi, anche in presenza di una riduzione dei servizi, e questa è la realtà del nostro settore sanitario.

Ora, il distributismo non avrebbe grande utilità se non fosse in grado di risolvere problemi concreti come questo, ma lo può fare.

In breve, nel libro propongo un’espansione delle autorità autorizzatrici, per aumentare l’offerta di personale sanitario; propongo un modo per espandere la ricerca e lo sviluppo senza ricorrere a forme monopolistiche; propongo inoltre la formazione di cooperative di medici e di altro personale in grado di servire sia come società di “assicurazione” sia come ditte sanitarie in cui venga assicurata la salute oltre ad affrontare semplicemente la malattia.

Certamente il libro entra molto nel dettaglio su questi aspetti, ma – sì – il distributismo offre una nuova via per molti dei più pressanti problemi.

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ZENIT Staff

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