ALGERI, lunedì, 4 ottobre 2010 (ZENIT.org).- La Chiesa in Algeria è considerata da molti come l’ombra di se stessa. Nel V secolo, più di 700 vescovi erano disseminati in tutto il Nord Africa. Oggi i cristiani ammontano a meno dell’1% dell’intera popolazione.
Il professore Camille Eid, docente presso l’Università di Milano, giornalista, scrittore ed esperto sulle Chiese in Medio Oriente, in questa intervista rilasciata al programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, parla del declino della Chiesa in Algeria e dei segni di speranza per un suo rinnovamento.
Ci può tracciare una breve storia della Chiesa in Algeria? Un tempo era una Chiesa fiorente?
Eid: Sì. Nel V secolo avevamo 700 vescovi in Nord Africa. La conquista araba ha provocato un graduale declino, anche fino al X e XI secolo abbiamo testimonianze di lettere inviate a Roma, al Papa, che dimostrano l’esistenza di comunità cristiane presenti almeno fino a quel periodo. Quindi per tre secoli dopo la conquista islamica abbiamo avuto una vita cristiana, che gradualmente si è ridotta a causa dell’eresia donatista, per cui la gente abbracciava alcune eresie contrarie al Cattolicesimo. Successivamente, la dinastia aghlabita ha imposto la conversione all’Islam dopo la conquista – o riconquista – normanna della Sicilia. Come ritorsione, è stato imposto a tutti i cristiani in Nord Africa di abbracciare la religione islamica.
Di che anni stiamo parlando?
Eid: Stiamo parlando dell’XI e XII secolo, quando ogni presenza del Cristianesimo nell’intera Africa del Nord – quindi non solo in Algeria ma anche in Tunisia e Marocco – è stata cancellata.
La Chiesa è diventata una Chiesa clandestina?
Eid: Precisamente. Quindi, dopo questi eventi abbiamo dovuto aspettare un ritorno del Cristianesimo, purtroppo sotto forma di colonialismo. Quando sono arrivati i francesi in Nord Africa, hanno incoraggiato i loro cittadini ad andare a stabilirsi in quelle terre, comprando i terreni, ecc. Abbiamo avuto un incremento della presenza cristiana di circa 900.000 persone, che è un numero notevole.
Un numero notevole in un periodo di tempo molto breve. Poi vi è stato un nuovo declino?
Eid: Sì, ma dobbiamo notare che questa presenza cristiana è stata anzitutto sotto l’influenza della Repubblica francese, a sua volta molto influenzata dalla Massoneria. I francesi hanno ordinato alla Chiesa e ai primi vescovi di Algeri di vietare alla popolazione locale musulmana di entrare nelle chiese, vietare la riproduzione del Vangelo e di qualsiasi altra letteratura cristiana in arabo, vietare la presenza dei mussulmani a qualsiasi assemblea, non accettare preti provenienti dalla Siria o dal Libano che parlassero arabo. In altre parole: l’Islam per gli algerini e il Cristianesimo per i francesi. Quindi non fu una presenza attiva di una Chiesa missionaria in quel periodo. Erano in 900.000, ma era come un sistema di apartheid.
E cosa è avvenuto allora? Vi è stato un rapido declino?
Eid: Sì e dopo il 1962 tutti i francesi – “Pieds-Noirs” (piedi neri) – sono rientrati in Francia, mentre sono rimaste solo quelle poche migliaia di lavoratori stranieri, impegnati negli impianti petroliferi e del gas fino ad oggi.
Solo per essere precisi, il 1962 è stato l’anno della guerra d’indipendenza dalla Francia?
Eid: Sì. La guerra è iniziata nel 1954 ed è finita nel 1962 con l’indipendenza dell’Algeria. In uno o due anni tutti i cristiani sono tornati in Francia e questo ha ridotto la presenza cristiana a meno dell’1% dell’intera popolazione.
I cristiani oggi ammontano a circa 40.000, su una popolazione di quasi 33 milioni. Come vengono visti oggi i cristiani in Algeria?
Eid: L’Algeria è un Paese socialista con alcune idee di libertà e di democrazia, anche se sotto un sistema di partito unico. I fondamentalisti o estremisti islamici si stanno diffondendo gradualmente nella società, soprattutto nelle grandi città. La questione dell’uso del velo hijab o niqab non ha nulla a che vedere con i costumi algerini, perché le donne algerine usavano indumenti orientali e non il niqab che copre il volto e le mani. È evidente che esistono due punti di vista nei confronti dei cristiani: ci sono gli intellettuali algerini che continuano ad usare il francese come lingua quotidiana e che hanno una mentalità francese e un approccio verso il Cristianesimo più chiaro e limpido; e poi ci sono gli arabi fondamentalisti.
Da dove viene questo movimento fondamentalista?
Eid: Dall’Arabia Saudita. Quando il Governo saudita si è messo a reclutare insegnanti, infermieri e dottori durante il boom petrolifero degli anni Cinquanta e Sessanta negli Stati del Golfo, richiedeva soprattutto cittadini egiziani e algerini. Quando questi professionisti poi tornavano ai Paesi d’origine, portavano con sé le idee islamiche fondamentaliste: il Wahabismo o Salafismo, come viene chiamato. I salafiti hanno creato associazioni, si sono infiltrati nei sindacati e nelle unioni studentesche universitarie, diventando così una maggioranza. Nelle elezioni del 1990 hanno vinto e sono arrivati ad un passo dalla presa del potere ed è esplosa la guerra tra loro e le forze armate.
Questo quando è avvenuto?
Eid: Negli anni Novanta. La guerra ha provocato più di 200.000 morti.
Dove si trova oggi la fonte dell’attività o del pensiero? Prima l’Algeria era orientata verso l’Europa, attraverso la Francia. Ora, per esempio, sembra che il fulcro del pensiero provenga dal Golfo e per questo gli algerini stanno iniziando a guardare al rapporto tra Islam e Occidente attraverso la lente del Medio Oriente e dei problemi presenti in Medio Oriente?
Eid: Sì e si potrebbe dire di più. Fino a 20 o 30 anni fa, la maggior parte della gente era orientata verso la Francia a causa dei rapporti culturali e commerciali. Ora l’Algeria è orientata verso il mondo islamico e la questione centrale è diventata quella palestinese: il conflitto arabo-israeliano. Quindi abbiamo molti jihadisti algerini che vanno a fare la guerra in Iraq, nel Caucaso, in Cecenia, Afghanistan, Pakistan. Guerra che loro chiamano guerra santa. Questo indica che tutte queste idee molto forti, originate dal Wahabismo o Salfismo saudita, hanno prodotto questo approccio fondamentalista, che viene poi esportato ad altri Paesi e altri fronti molto distanti dall’Algeria.
Abbiamo parlato di diverse correnti dell’Islam che sono attive oggi in Algeria. Per esempio, ha citato il Wahabismo ed altro. Si può dire che, al momento, la maggiore tensione per il dominio dell’Algeria non sia tra cristiani e musulmani ma tra i musulmani stessi?
Eid: Certamente. Il problema in Algeria è che ha sostenuto un regime militare socialista dopo l’indipendenza, il FLN (Front de Libération Nationale). Non vi è stata mai una democrazia. Quindi siamo in una fase transitoria e speriamo che una vera democrazia possa emergere dalla approvazione di un sistema multipartitico. Essi sono aperti all’Occidente e a tutte le religioni. Anche il governo vuole tenere a bada i fondamentalisti. Il Governo vuole essere percepito come un vero alleato delle religioni. Per questo hanno introdotto le leggi che sono più islamiche degli stessi fondamentalisti.
E allo stesso tempo cercano di essere moderati?
Eid: Sì, ma alla fine questo si traduce in maggiori restrizioni per la vita della Chiesa per esempio. La legge o l’ordinanza del 2006 è in realtà molto restrittiva. La legge vieta le attività esterne alle strutture della Chiesa.
Di che legge si tratta, questa del 2006, solo per essere chiari?
Eid: La legge ha vietato alla Chiesa di celebrare qualsiasi funzione al di fuori dei luoghi indicati per il culto. La legge limita queste pratiche agli spazi interni ai
luoghi di culto. Se un prete va in campagna dove ci sono comunità di 20 o 50 persone, non può celebrare le funzioni perché non ci sono luoghi di culto ufficialmente indicati.
Quindi le celebrazioni devono avvenire all’interno delle strutture?
Eid: Esatto. E in secondo luogo, ogni attività che agli occhi delle autorità ha l’aria di essere una forma di proselitismo – proselitismo è una parola così paurosa – ovvero ogni tentativo di convertire un musulmano con la parola o con l’azione è punibile con un’ammenda o con la reclusione.
Quindi queste sono le conseguenze. Nel 2006 è stata introdotta questa prima legge che ha costretto la Chiesa ad esplicare le sue attività solo all’interno delle proprie strutture. Nel 2008 vi è stato un altro provvedimento, non una nuova legge, che ha vietato ai Cristiani di fare proselitismo, ovvero di proclamare la fede apertamente per le strade. Questa è un’altra restrizione. Quindi ciò che lei dice, se non vado errato, è che in Algeria i musulmani devono essere più musulmani dei musulmani?
Eid: Si, ma non è così semplice. La Chiesa cattolica in Algeria è un’istituzione ufficiale. Ci sono anche molti gruppi evangelici che non hanno Chiese formali e che stanno facendo proselitismi nelle aree berbere, a Kabylie, e ogni giorno – secondo i dati ufficiali – sei algerini si convertono al Cristianesimo nell’ambito di questi gruppi evangelici. Quindi il Governo, attuando queste leggi ha danneggiato le istituzioni cattoliche ma non gli evangelici…
Perché gli evangelici non sono strutturati come lo è la Chiesa cattolica?
Eid: Esatto. Esistono le chiese domestiche che si sviluppano nelle zone berbere o a Kabylie ed esiste l’istituzione. Il Governo ha posto restrizioni al rilascio dei visti per i preti cattolici. Hanno confiscato in aeroporto tutta la letteratura cattolica proveniente dalla Francia: Magnificat, Prions en Eglise. Quindi la gente si porta dei libri spesso dichiarando ai funzionari che sono per uso personale.
Quindi il bersaglio sostanziale è la Chiesa cattolica, che è l’istituzione che paga le maggiori conseguenze?
Eid: I cattolici sono le vittime e ciò dimostra che il partito non ha alcun intendimento sul Cristianesimo.
Lei ha detto che il Governo ammette che ogni anno avvengono delle conversioni?
Eid: Sei conversioni al giorno! Abbiamo contato dalle 10.000 alle 15.000 conversioni di persone di origine algerina o berbera.
Questi non sono dati ufficiali perché probabilmente il Governo non vuole ammettere che sono di più?
Eid: Non esistono statistiche ufficiali, ma noi sappiamo che tra le comunità algerine in Francia e in particolare quelle berbere, abbiamo delle conversioni. Sappiamo anche che i berberi sono stati forzatamente convertiti all’Islam.
Quindi non è naturale per loro?
Eid: Non è naturale e forse essi considerano la riconversione al Cristianesimo come una forma di opposizione…
Ciò che lei sta dicendo è piuttosto straordinario. Come vive un musulmano convertito in Algeria?
Eid: Esistono interi villaggi della zona berbera che sono convertiti e che vivono questa nuova vita che è effettivamente strana in un Paese musulmano, perché il fenomeno è raggiunto forse un livello tale che il Governo si trova ad essere incapace ad opporvi resistenza.
Il Governo sta cercando di limitarli un po’, ma sa che, a differenza di prima, oggi sono gli stessi algerini che si stanno convertendo al Cristianesimo senza influenza esterna da parte dei missionari stranieri. Le conversioni vengono dall’interno. Nella città di Oran, due anni fa sono stati arrestati sei algerini che distribuivano il Vangelo. Quindi è la prima volta che abbiamo un’attività missionaria svolta dagli algerini e non dai missionari stranieri, francesi o spagnoli. Questa è una novità.
L’Arcivescovo emerito di Algeri, mons. Henri Teissier, ha detto di aver “assistito alla lenta morte della Chiesa”.
Eid: La presenza della Chiesa cattolica in Algeria non può essere circoscritta ai soli numeri, perché l’impatto sulla società è enorme. Per esempio, l’assistenza che la Chiesa offre agli handicappati e agli anziani. Tutti i lavori che i musulmani non vogliono fare negli ospedali, li fanno i religiosi. Nelle università e in tutti i campi della vita sociale – con le donne e i giovani che pubblicano e traducono letteratura – tutti questi lavori sono svolti dalla Chiesa, dai quasi 10.000 cattolici che vivono lì, e questo ha un enorme impatto sulla società algerina.
Esiste il rischio estinzione per la Chiesa in Algeria, almeno quella Chiesa come noi la conosciamo in termini di strutture e quella fede cattolica come noi la conosciamo?
Eid: Forse sì. Forse la Chiesa non come istituzione, come noi la conosciamo – la diocesi di Algeri, di Oran o Oardar, che è la parte sahariana dell’Algeria con tre diocesi – ma come la Chiesa degli stranieri. Gli stranieri se ne stanno andando, ma la Chiesa algerina locale sta vivendo una rinascita che non avveniva dal VII o dal X secolo. Quindi dopo mille anni i cristiani locali rinascono a nuova vita per la Chiesa. Non più francesi, spagnoli o italiani.
È un segno di speranza?
Eid: Certamente. E in aggiunta a questo abbiamo molti studenti africani dei Paesi subsahariani che vengono in Algeria per studiare e che stanno contribuendo alla vita della Chiesa. Quindi abbiamo un ricambio: gli europei se ne vanno e vengono sostituiti dagli africani e dai locali che sono cristiani arabi e berberi.
Quindi è un ricambio naturale e probabilmente salutare?
Eid: Sì e per me è certamente un segno dell’azione dello Spirito Santo.
Quindi è un segno di speranza?
Eid: Sì, è un segno di speranza perché per la prima volta abbiamo non solo vescovi locali o arabi come abbiamo visto di recente. Il nuovo vescovo di Algeri è giordano e nella vicina Tunisia abbiamo avuto prima il vescovo Fouad Twal e ora il vescovo Maroun Lahham, anziché avere vescovi francesi in questi Paesi nordafricani. Abbiamo anche comunità arabe e algerine e non più comunità straniere di europei o americani.
Cosa possiamo fare noi? Cosa possono fare i cattolici della Chiesa universale?
Eid: Pregare, pregare e ricordare che questi Paesi non erano originariamente musulmani. Sono stati convertiti all’Islam dopo secoli di Cristianesimo fiorente in queste terre. Quindi non è strano che questi tornino alle loro radici, alle loro radici cristiane. Io conosco, qui in Italia, una coppia algerina che si è convertita e che quando è stata battezzata ha scelto due nomi particolari: il marito ha scelto Agostino e la moglie Monica, con riferimento ai due santi – Sant’Agostino e Santa Monica – entrambi originari di Ippona in Algeria.
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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per “Where God Weeps”, un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.
[Per maggiori informazioni: www.WhereGodWeeps.org]