Come i “vaticanisti” hanno raccontato la morte e i funerali di Wojtyla

2000 gli articoli analizzati, scritti da oltre 650 giornalisti presenti sul campo

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di Jesús Colina

ROMA, mercoledì, 31 marzo 2010 (ZENIT.org).- A cinque anni dalla morte e dai funerali di Giovanni Paolo II (aprile 2005), un libro ripercorre le tappe comunicative più significative di quei momenti, dando conto di come i giornalisti vaticanisti italiani hanno raccontato gli ultimi momenti di vita del Papa polacco.  

Pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana, La morte e i funerali di Giovanni Paolo II nella stampa italiana è stato scritto dopo aver assistito alla grande mobilitazione di gente proveniente da tutto il mondo. Lo scopo era di comprendere le ragioni di un avvenimento planetario del tutto inatteso fino a quel momento, secondo soltanto alla tragedia dell’11 settembre in termini di attenzione mediatica. 

i tratta senza dubbio dei prodromi di quella che è poi diventata la devozione popolare più estesa di tutti i tempi, verso uno dei personaggi che hanno fatto la storia dell’ultimo secolo. Insomma, le ragioni per cui oggi la gente attende con ansia la beatificazione di Giovanni Paolo II sono da ricercare proprio negli eventi dell’aprile del 2005, a partire dall’indimenticabile grido del Santo Subito, quando qualcosa è cambiato, o meglio si è consolidato nel rapporto tra Wojtyla e il suo popolo. 

ZENIT ha intervistato l’autore, Giovanni Tridente, professore incaricato di Etica informativa e legislazione di stampa presso la Pontificia Università della Santa Croce. 

Professore, quali sono i risultati più interessanti che il libro veicola? 

Tridente: Direi innanzitutto il totale degli articoli analizzati, che ammonta a circa 2000 unità suddivise tra le quattordici più importanti testate italiane (Avvenire, Corriere della Sera, Il Foglio, il Giornale, il Manifesto, Il Messaggero, Il Sole 24 Ore, Il Tempo, la Repubblica, La Stampa, Liberazione, Libero, L’Osservatore Romano, l’Unità). I due quotidiani che hanno dedicato più servizi e riservato maggiore spazio ai diversi eventi e celebrazioni sono la Repubblica e il Corriere della Sera, che superano il 14% del campione. 

Vi è poi la grande quantità di  autori che in tutto il periodo hanno siglato almeno un articolo. Si tratta di un esercito di oltre 650 persone tra “vaticanisti” – la maggioranza –, politici, ecclesiastici ed esponenti del mondo della cultura. Tra questi vi è anche l’autrice più giovane, Maria Vittoria di Viterbo, che all’età di soli 9 anni, il 4 aprile del 2005 pubblica sulla prima pagina de Il Tempo una lettera indirizzata al Pontefice defunto. 

Sul piano strettamente redazionale, vi è un 7% di reportage realizzati tra la gente, a dimostrazione che il giornalista è stato a contatto diretto con le persone e i luoghi dell’evento, senza perdersi quei dettagli sicuramente emozionanti, poi assumibili dai rispettivi servizi.  

Altro dato significativo è che il 22% dei testi parla del Papa e della Chiesa in una chiave completamente positiva, tessendone in un certo senso le “lodi”, mentre solo un risicato 2% presenta l’immagine del Pontificato sotto una luce negativa criticando espressamente la Chiesa. Si tratta di semplici testi di background scritti ad esempio da opinionisti di un determinato orientamento ideologico che non hanno mai condiviso le linee e le peculiarità del magistero papale. 

Che riflessioni si possono trarre circa il comportamento della stampa registrato in quei giorni? 

Tridente: Colpisce senza ombra di dubbio la capacità della stampa, quella cosiddetta “laica”, di soffermarsi sul tema della sofferenza di Giovanni Paolo II, dettagliando i confini di ciò che è risultato essere un vero è proprio “Vangelo del dolore”, che i media stessi riconoscono come tale. 

Grazie anche all’attenzione dei giornali e delle televisioni, la testimonianza e la schiavitù della malattia di Papa Wojtyla non sono rimaste lettera morta; hanno dato vita ad un clima di buoni propositi, con le migliaia di persone che dopo aver ascoltato e visto ciò che accadeva, si sono sentite mosse da affetto, pietà, compassione e solidarietà nei confronti del Santo Padre.  

In questa linea, non va neppure trascurata l’abilità e la volontà dei giornali di inquadrare la mobilitazione delle masse che invadevano San Pietro nel contesto di un pellegrinaggio di fede. Non poche cronache hanno parlato, infatti, di Chiesa in cammino, viva e giovane!

Persino i cosiddetti “grandi della terra”, la folta delegazione dei Capi di Stato, sono rimasti oscurati dall’imponenza del potere vero delle persone, scaturito dalla forza del loro amore, dal coraggio delle loro idee, della loro fede e della speranza dei loro animi che la stampa non ha potuto far altro che constatare e rilanciare. 

 Dei funerali, poi, sconvolge non solo la folla, ma anche la solennità del rito, con tutti i suoi simboli, dal crocifisso al libro dei Vangeli. Interessanti in tal senso le interpretazioni date proprio alla struggente immagine del libro del vangelo sfogliato da un vento impetuoso, dirompente, come dirompente sarebbe stato “per la Chiesa e per il mondo l’intero pontificato appena concluso”. 

Chi è stato dunque ad imporre l’agenda dei media? 

Tridente: Possiamo affermare con assoluta certezza che i vari organi di stampa non hanno trascurato alcun particolare della serie di eventi e celebrazioni dell’aprile del 2005, e non poteva essere altrimenti vista la popolarità di Wojtyla ed il fatto che lui non ha mai evitato i mezzi di comunicazione, neppure quando potevano risultargli sconvenienti, consapevole che attraverso di loro poteva raggiungere direttamente le persone. 

A dettare l’agenda dei media è stato senz’altro Giovanni Paolo II, che con la sua testimonianza – in una società che guarda al successo, alla bellezza e al divertimento – ha consentito a tutti di riflettere sul valore della sofferenza e della morte. Attraverso i giornali e le televisioni ha quindi ribadito come lo stesso dolore e la stessa morte, se ben vissuti, possono “addirittura” acquisire dignità. 

Un ruolo chiave lo ha rivestito anche la gente comune, le singole persone convenute a Roma cariche delle loro storie personali ed ansie spirituali. La folla è stata la protagonista inattesa che mentre si domandava il senso dell’esistenza e onorava la grandezza dell’uomo Wojtyla ha spinto i mezzi di comunicazione a porsi nuove domande e a ridare patria sui giornali alla religione, alle testimonianze di fede, alle preghiere, al significato della Messa… 

Mi piace dire che si è trattato di una festa della comunicazione, sia umana che religiosa, di cui sono state protagoniste le persone, a cominciare dal Papa, con la folla e i giornalisti, e da cui ne è uscita beneficiata la religione, il senso del sacro e l’immagine del papato. 

Si può dire che la morte e i funerali di Giovanni Paolo II siano stati l’atto di evangelizzazione più importante della vita del pontefice? 

Tridente: Guardando a quanto accaduto e all’eco che ancora oggi conservano quei momenti, insieme alle sempre più crescenti espressioni di devozione popolare, si può affermare senza tema di smentita che la morte e i funerali del Papa polacco sono stati l’approdo naturale della sua testimonianza di vita ed hanno confermato, ove mai ci fossero ancora dubbi, lo spirito missionario di servizio alla Chiesa e la fiduciosa, totale e filiale donazione al Signore del Servo di Dio Giovanni Paolo II.  

Si tratta di immagini e sentimenti tuttora vivi nell’animo dei milioni di individui nel mondo che “quel giorno c’erano”, e siamo certi che al solo pensiero i loro cuori ancora vibrano in un personale e segreto sussulto.   

 

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ZENIT Staff

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