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Presidente,
l’aumento degli esempi di derisione della religione, mancanza di rispetto per le personalità e i simboli religiosi, discriminazione e uccisione di seguaci di religioni minoritarie e una generalizzata considerazione negativa della religione nella pubblica arena danneggiano la coesistenza pacifica e feriscono i sentimenti di considerevoli segmenti della famiglia umana. Questi fenomeni sollevano questioni politiche e giuridiche sul modo e sulla misura della realizzazione dei diritti umani, e specificatamente del diritto alla libertà religiosa, che dovrebbero proteggere le persone nell’esercizio personale e collettivo della fede e delle loro convinzioni. La tutela del diritto alla libertà religiosa è particolarmente importante perché i valori religiosi sono un ponte verso tutti i diritti umani. Permettono, infatti, alla persona di orientarsi verso ciò che è vero e reale. La dignità umana, infatti, è radicata nell’unità delle componenti spirituali e materiali della persona.
Facendo parte di una comunità, la cultura e la religione sono anche parte dell’esperienza umana, sebbene rimangano al servizio dello sviluppo integrale della persona, che costituisce la base dell’universalità dei diritti umani. L’interesse legittimo, quindi, a evitare la derisione o gli insulti alle religioni dovrà tener conto dell’interdipendenza, che deriva dal rapporto naturale della persona umana con gli altri, fra l’individuo e la comunità. Poiché i sistemi di credo sono diversi e persino contrastanti fra loro, la giustificazione del loro rispetto dovrà derivare da un fondamento universale che è la persona umana. Gli obblighi della società ne deriveranno di conseguenza. L’Udhr e altri strumenti per i diritti umani forniscono un chiaro orientamento.
Quindi la legislazione relativa dovrebbe essere orientata al bene comune e basarsi su valori, principi e regole che riflettano la natura umana e siano parte della coscienza della famiglia umana piuttosto che l’una o l’altra religione, considerando pure tutte le implicazioni della libertà di espressione e di religione. Il rispetto del diritto di tutti alla libertà religiosa non richiede la totale secolarizzazione della sfera pubblica né l’abbandono di tutte le tradizioni culturali e il rispetto della libertà di espressione non autorizza la mancanza di rispetto per i valori comunemente condivisi da una particolare società. Un quadro legislativo di tutela del bene comune e dell’uguaglianza dei cittadini in società sempre più pluralistiche implica che i sistemi normativi applicabili ai credenti non debbano essere imposti ai seguaci di altre religioni e ai non credenti, altrimenti i diritti umani e il diritto alla libertà religiosa potrebbero divenire uno strumento politico di discriminazione piuttosto che uno strumento per intrattenere rapporti interpersonali etici. Né lo Stato può divenire un arbitro di correttezza religiosa deliberando su questioni teologiche o dottrinali: sarebbe la negazione del diritto della libertà di religione.
Gli attuali strumenti giuridici vincolanti nazionali e internazionali, se correttamente applicati, possono porre rimedio a offese gratuite alle religioni e al credo facendo entrare in vigore misure a tutela del bene comune e dell’ordine pubblico. Gli attuali dibattiti sull’opportunità o meno di nuovi strumenti per prevenire la discriminazione e l’intolleranza religiosa possono offrire la possibilità di riprendere in esame la proposta di una convenzione sulla libertà di religione. Questo compito è interrotto da molti anni e riunirebbe gli argomenti suggeriti dalle nuove forme di pluralismo sociale e una comprensione più accurata della dignità umana.
D’altro canto, la delegazione della Santa Sede, è anche convinta del fatto che una buona strada verso una coesistenza pacifica sia un atteggiamento più positivo verso le religioni e le culture. Ciò si può ottenere attraverso un dialogo migliore fra fedi differenti, una sincera promozione del diritto alla libertà di religione in tutti i suoi aspetti e un dialogo franco e aperto fra i rappresentanti dei diversi sistemi di credo, come garantito dal diritto alla libertà di espressione.
Combattere gli atteggiamenti offensivi verso la religione allontanandosi dall’universalità offerta dall’umanità comune e affidandosi alla discrezione dello Stato con l’introduzione di un vago concetto di «diffamazione» nel sistema di diritti umani, non è una soluzione concreta e soddisfacente. Esiste il reale rischio aggiuntivo che l’interpretazione di ciò che la diffamazione implica cambi secondo l’atteggiamento del censore verso la religione o il credo, spesso a spese tragiche delle minoranze religiose. Purtroppo è proprio ciò che accade negli Stati che non distinguono fra questioni civili e questioni religiose, si identificano con una religione particolare o con una certa setta nell’ambito di quella religione e interpretano la diffamazione secondo le convinzioni della religione o dei credi a cui aderiscono, discriminando così inevitabilmente alcuni cittadini che non condividono le stesse convinzioni. L’esperienza con le legislazioni nazionali che applicano concetti quali «diffamazione della religione» suggerisce che un eventuale strumento internazionale sulla diffamazione della religione porterebbe soltanto a un’oppressione ulteriore delle minoranze religiose, come si può verificare in quei Paesi.
Presidente,
in conclusione, la Santa Sede chiede ai Paesi che sono membri di questo rispettato Consiglio di trasformare questi sgradevoli incidenti di intolleranza religiosa e la cultura che li sostiene in un’opportunità di nuovo impegno per il dialogo e per la riaffermazione del diritto e del valore di appartenere a una comunità di fede o di credo. Comunque, questa scelta individuale, quale espressione dei diritti umani fondamentali, è stata sempre operata nel contesto del bene comune.
[L’OSSERVATORE ROMANO – Edizione quotidiana – del 29-30 marzo 2010]