di Mirko Testa
ROMA, venerdì, 26 marzo 2010 (ZENIT.org).- Di fronte a una scena politica dominata spesso da gossip e volgarità che genera disaffezione nella maggioranza dei giovani, è urgente una “inversione di tendenza” che punti sulla formazione di laici capaci di incidere sulla vita sociale.
E’ questo in sostanza il messaggio al centro dell’ultimo libro di Piero Sapienza, docente di Dottrina sociale della Chiesa presso lo Studio teologico S. Paolo di Catania, dal titolo “La politica che non c’è. Da cittadini attivi nella polis” (Libreria Editrice Vaticana).
Sapienza traccia all’inizio una panoramica amara della politica odierna “assente sia dal Palazzo, a livello di grande disegno politico, volto a realizzare il bene integrale di ogni cittadino”; “sia a livello di base, per la mancanza di partecipazione di interesse da parte dei cittadini, i quali si persuadono sempre più che non possono influire sul buon andamento del cosa pubblica”.
Lo scenario che si presenta davanti agli occhi è quello di “una fuga dall’impegno sociopolitico da parte di tanta gente”, affetta da “sindrome dello spettatore” e che preferisce “delegare in bianco”. Questa tendenza generale ha generato una “spoliticizzazione della società”, tale da produrre fenomeni di antipolitica “ostentata anche mediaticamente”.
Una distanza quella dei cittadini dalla politica, aggiunge il docente, “accentuata anche dal fatto che la stessa legge elettorale (il famigerato porcellum) non permette di votare il nome del candidato di propria fiducia”.
“Si può dire – osserva – che politici di professione, già facendo le leggi in un certo modo piuttosto che in un altro, quasi su misura, scippano ai cittadini il diritto di scegliere concretamente propri rappresentanti al Parlamento e contribuiscono così a far crescere la disaffezione verso la politica, ostacolando la realizzazione di quella inclinazione sociale tipica di ogni persona umana”.
Ai “professionisti della vita pubblica, che non vogliono mai mollare la poltrona” e spesso ricoprono almeno due o più incarichi, Sapienza ricorda l’invito del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa a favorire “l’alternanza dei dirigenti politici, al fine di evitare che si instaurino privilegi occulti”.
Nel libro l’autore lamenta soprattutto la scissione tra morale e politica, che interpella tutti i cristiani a “gridare la giustizia con la propria vita, operando da giusti” e a “puntare a un vero e duraturo rinnovamento politico, basato su un forte recupero di legalità e moralità”.
Infatti, si chiede, quali esempi di moralità e di legalità possono essere proposti “se avviene, molto spesso, che, ad esempio, personaggi politici, condannati in primo grado per corruzione, per favoreggiamento alla mafia, per tangenti e illegalità varie, ecc., festeggiano, con arroganza, le sentenze come se avessero ricevuto un gran premio, e non solo non abbandonano l’attività politica, ma dopo aver lasciato un prestigioso incarico (per dimissioni quasi forzate per le pressioni di molta parte dell’opinione pubblica), ne ricevono un altro, più prestigioso e redditizio, dietro diretta investitura dei leader di partito”.
Al contrario l’autentica politica “esige di essere attraversata da un afflato etico” e non può ridursi a semplice “tecnica per il buon funzionamento delle istituzioni oppure a tatticismi, strategie per conquistare, rafforzare il potere dello Stato, del partito, ecc”.
Nessun cittadino, inoltre, può abdicare al suo attivo impegno socio-politico, perché ciò, come arrivano a sostenere i Vescovi italiani nel documento “La Chiesa italiana e le prospettive del paese”, costituirebbe “un peccato di omissione”.
Il cattolico, precisa Sapienza, deve ricercare e attuale il bene comune spinto dalla carità; “deve continuare a tendere verso i valori assoluti, ma deve anche essere capace di mediazione culturale”, senza “arroccarsi rigidamente sulle proprie posizioni etiche (anche giuste e sacrosante)”, che non equivale a “scendere a compromessi”.
Lo stesso giudizio lo troviamo espresso nel Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, quando si afferma che: “il fedele laico è chiamato individuare, nelle concrete situazioni politiche, i passi realisticamente possibili per dare attuazione ai principi e valori morali propri della vita sociale”.
Occorre rilanciare un difficile, paziente e impegnativo cammino di formazione del laico all’impegno sociale e politico, come parte dell’educazione globale alla vita cristiana, evitando di renderlo un “clerico dipendente”.
Con molta frequenza, spiega Sapienza, nel mondo cattolico si assiste ad “una sorta di fuga dei laici verso forme di spiritualità disincarnate dalla vita”, oppure si va diffondendo quella certa “tendenza alla clericalizzazione dei fedeli laici” già denunciata da Giovanni Paolo II nella Christifideles laici.
Tuttavia, l’impegno e le scelte dei cristiani, in campo politico, “non devono coinvolgere ufficialmente la Chiesa”. Il laico cattolico deve assumere autonomamente la propria responsabilità, illuminata dalla luce della Dottrina sociale della Chiesa.
La Chiesa, pur non pronunciandosi su una determinata scelta politica, non può rinunciare però al suo compito di “annuncio” e “denuncia” di quelle posizioni politiche che sono incompatibili con la fede e i valori cristiani cosiddetti “non negoziabili”: come il rispetto per la vita dal suo concepimento al suo naturale compimento, il primato della dignità della persona umana, il valore della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo o una donna.
La Chiesa, infatti, non può rimanere “indifferente e disinteressata di fronte alla lotta per la giustizia, quando sono in gioco la dignità della persona umana nei suoi diritti fondamentali”.
Un ruolo importante in questa formazione deve essere svolto dalla parrocchia, chiamata a “modificare la sua immagine, che per molti rimane sclerotizzata nelle forme burocratiche e liturgiche”.
Importante anche, sostiene Sapienza, promuovere laboratori e osservatori sparsi in modo capillare sul territorio in cui i laici possano attuare un attento discernimento sulla vita sociale, incidendo così sulla prassi politica e operando in favore del bene comune.
Dove per bene comune non si può intendere qualcosa di astratto, quanto piuttosto qualcosa di concretizzato di volta in volta nelle diverse mutevoli circostanze socioculturali, economiche e politiche, e che guarda alle future generazioni in “un’ottica di solidarietà di comunione”.
Di fronte alla crisi attuale della nostra società che, come sosteneva Giorgio La Pira, è piuttosto “una crisi di attesa” di una stagione migliore, conclude Sapienza, “occorre coltivare la speranza per non essere vinti dal pessimismo”.