Garantire l’accesso al lavoro dignitoso

di mons. Angelo Casile*

ROMA, giovedì, 25 marzo 2010 (ZENIT.org).- La prima preoccupazione della Caritas in veritate sul tema del lavoro riguarda la priorità dell’«obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti». Lo impone: «la dignità della persona», ogni uomo deve lavorare per essere sé stesso; «le esigenze della giustizia», per non «aumentare in modo eccessivo e moralmente inaccettabile le differenze di ricchezza»; la «ragione economica», ogni uomo può contribuire allo sviluppo del proprio Paese, mentre una «strutturale situazione di insicurezza genera atteggiamenti antiproduttivi e di spreco di risorse umane, in quanto il lavoratore tende ad adattarsi passivamente ai meccanismi automatici, anziché liberare creatività… I costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani» (CV 32), soprattutto per l’economia del breve, talvolta brevissimo termine.

Il lavoro dev’essere dignitoso, cioè «un lavoro che, in ogni società, sia l’espressione della dignità essenziale di ogni uomo e di ogni donna… permetta ai lavoratori di essere rispettati al di fuori di ogni discriminazione… consenta di soddisfare le necessità delle famiglie e di scolarizzare i figli… lasci uno spazio sufficiente per ritrovare le proprie radici a livello personale, familiare e spirituale… assicuri ai lavoratori giunti alla pensione una condizione dignitosa» (CV 63).

Mi piace qui ricordare l’impegno sostenuto assieme a don Mario, negli anni 1999-2000, per organizzare quel Giubileo dei Lavoratori, nel quale Giovanni Paolo II lanciò un appello per «una coalizione mondiale in favore del lavoro decente»,[1] e che il Papa Benedetto XVI ricorda nella sua enciclica e che ha visto le nostre Associazioni tutte riunite a celebrare l’Eucaristia, ad ascoltare le parole del Papa e a gioire nella festa.

Sostenere la crescita demografica

Il Papa sottolinea un dato preciso: «Considerare l’aumento della popolazione come causa prima del sottosviluppo è scorretto, anche dal punto di vista economico», invece la procreazione responsabile, «l’apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica». La diminuzione delle nascite, come sperimentiamo in Italia, «al di sotto del cosiddetto “indice di sostituzione”, mette in crisi anche i sistemi di assistenza sociale, ne aumenta i costi, contrae l’accantonamento di risparmio e di conseguenza le risorse finanziarie necessarie agli investimenti, riduce la disponibilità di lavoratori qualificati, restringe il bacino dei “cervelli” a cui attingere per le necessità della Nazione». In Italia, prima mancavano i figli, ora non ci sono le mamme![2]

Tra l’altro «le famiglie di piccola, e talvolta piccolissima, dimensione corrono il rischio di impoverire le relazioni sociali, e di non garantire forme efficaci di solidarietà». È una situazione di «scarsa fiducia nel futuro come pure di stanchezza morale. Diventa così una necessità sociale, e perfino economica, proporre ancora alle nuove generazioni la bellezza della famiglia e del matrimonio». Ogni Stato dovrebbe «varare politiche che promuovano la centralità e l’integrità della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, prima e vitale cellula della società,[3] facendosi carico anche dei suoi problemi economici e fiscali, nel rispetto della sua natura relazionale» (CV 44).

Lavorare per custodire il creato

Il nostro lavoro deve svolgersi nel rispetto dell’ambiente che il Signore ci ha donato: «C’è spazio per tutti su questa nostra terra: su di essa l’intera famiglia umana deve trovare le risorse necessarie per vivere dignitosamente, con l’aiuto della natura stessa, dono di Dio ai suoi figli, e con l’impegno del proprio lavoro e della propria inventiva». Abbiamo il dovere gravissimo «di consegnare la terra alle nuove generazioni» affinché «possano degnamente abitarla e ulteriormente coltivarla». Ciò è possibile solo rafforzando «quell’alleanza tra essere umano e ambiente che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino»[4] (CV 50).

Custodire il creato significa difendere «la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione appartenenti a tutti» e «proteggere soprattutto l’uomo contro la distruzione di se stesso… Il degrado della natura è infatti strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana: quando l’“ecologia umana” è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio». Infatti, «il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell’ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale» (CV 51). Se si avvilisce la persona, si sconvolge l’ambiente e si danneggia la società, è necessario quindi educarci ad una responsabilità ecologica che «affermi con rinnovata convinzione l’inviolabilità della vita umana in ogni sua fase e in ogni sua condizione, la dignità della persona e l’insostituibile missione della famiglia, nella quale si educa all’amore per il prossimo e al rispetto della natura».[5]

Educare al lavoro e alla festa

La custodia della creazione, «compito affidato dal Creatore all’umanità (cfr Gen 2,15), implica anche la custodia di quei sentimenti di bontà, generosità, correttezza e onestà che Dio ha posto nel cuore di ogni essere umano, creato a sua “immagine e somiglianza” (cfr Gen 1,26)». Occorre pertanto impegnarsi nell’educazione, che per il cristiano significa «guardare a Cristo, l’uomo perfetto, a prendere sempre come esempio il suo agire, per poter crescere in umanità, e così realizzare una Città dal volto sempre più umano, nella quale ognuno è considerato persona, essere spirituale in relazione con gli altri».[6]

Educare al lavoro non significa quindi solo istruire o formare, ma promuovere lo sviluppo e la formazione completa della persona guidati da una visione integrale dell’uomo, poiché «per educare bisogna sapere chi è la persona umana, conoscerne la natura» (CV 61). È importante educare al lavoro secondo la prospettiva cristiana del rapporto con la festa: «non è soltanto il lavoro a trovare compimento nella festa come occasione di riposo, ma è soprattutto la festa, evento della gratuità e del dono, a “risuscitare” il lavoro a servizio dell’edificazione della comunità, aiutando a sviluppare una giusta visione creaturale ed escatologica».[7]

Educhiamoci nell’essere quegli “uomini retti” di cui parla l’enciclica: «Lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello del bene comune» (CV 71) e impegniamoci ad educare, formare e accompagnare quegli “uomini retti” di cui ha urgente bisogno il bene di “noi-tutti”, «individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale» (CV 7), ovvero le nostre città, la nostra società. In questo compito educativo sono sempre più necessari proposte di nuovi stili di vita caratterizzati dalla sobrietà, dalla solidarietà, dalla fraternità, dalla gratuità, dal dono, ricordandoci che solo uomini nuovi sono capaci di nuovi stili di vita. È dalla rettitudine del cuore che scaturiscono autentiche opere rette.

Maria santissima – come auspicava Benedetto XVI a Cagliari – ci «renda capaci di evangelizzare il mondo del lavoro, dell’economia, della politica, che necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile».[8]

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*Mons. Angelo Casile è Direttore dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale Sociale e del Lavoro della Conferenza Episcopale Italiana.

1) CV 63: cfr Discorso al termine della Concelebrazione Eucaristica in occasione del Giubileo dei Lavoratori, 1º maggio 2000.

2) Nel 2009 il numero medio di figli per donna è stimato a 1,41, di poco inferiore all’1,42 del 2008. La fecondità è dunque in una fase di assestamento. Si mantiene superiore a quella dell’epoca di minimo, tipica della metà degli anni ’90, ma ancora non si muove con decisione in direzione di quello che è considerato l’obiettivo ottimale per una popolazione, ossia il livello di sostituzione delle coppie, pari a circa 2,1 figli per donna (Istat, Indicatori demografici 2009, 18 febbraio 2010.

3) Cfr Conc. Ecum.Vat. II, Decr. Apostolicam actuositatem, 11.

4) Benedetto XVI, Messaggio per la XLI Giornata Mondiale della Pace 2008, 7.

5) Benedetto XVI, Messaggio per la XLIII Giornata Mondiale della Pace 2010, 12.

6) Benedetto XVI, Udienza ai dirigenti e al personale dell’Azienda romana ACEA, 6 febbraio 2010.

7) CEI, Nota past. Rigenerati per una speranza viva, 12.

8) Omelia della concelebrazione eucaristica al santuario di Nostra Signora di Bonaria, Cagliari, 7 settembre 2008.

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ZENIT Staff

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