Card. Scola: l'Università non si può limitare a trasmettere competenze

Il Patriarca di Venezia alla festa dell’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum”

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ROMA, giovedì, 25 marzo 2010 (ZENIT.org).- L’Università deve tornare ad essere un luogo di ricerca e verifica della verità, dove si apprende “uno sguardo unitario sul reale” e non delle semplici competenze. E’ quanto ha detto il Cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia, nella Lectio magistralis sul tema “Paideia e Università” svolta questo mercoledì all’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” di Roma.

Nel giorno dedicato, come ogni anno, alla festa di questo Ateneo che riunisce insieme studenti, professori, amici e collaboratori, uniti nell’impegno al servizio della Chiesa, il porporato ha parlato della sfida educativa posta dal pensiero post-moderno e del contributo che possono dare le istituzioni educative.

Nella sua riflessione, il Cardinale ha cominciato con lo spiegare il concetto di paideia, intesa come “vera e propria impresa educativa”, facendo ricorso al pensiero di Jacques Maritain, che nel volume Per una filosofia dell’educazione, affermava: “La cosa più importante nell’educazione non è un “affare” di educazione, e ancora meno di insegnamento”.

Infatti, aggiungeva il filosofo francese: “L’esperienza, che è un frutto incomunicabile della sofferenza e della memoria, e attraverso la quale si compie la formazione dell’uomo, non può essere insegnata in nessuna scuola e in nessun corso”.

La nozione di paideia suggerita da Maritain, ha continuato, è la sola in grado di fornire “il terreno di base per garantire quella ‘cura delle generazioni’ che è il proprium di ogni impresa educativa. Ed è la nozione di esperienza a consentire questa possibilità”.

Il Patriarca di Venezia ha quindi richiamato un passaggio del volume curato dal Comitato per il progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana, dal titolo “La sfida educativa”, in cui si afferma che “ciò che dà vita e vigore a quanto vale (valore) è, dunque, ciò cui esso mira, cioè l’esperienza che se ne può fare”.

Quindi, ha aggiunto, “insegnamento ed educazione hanno bisogno di coinvolgimento reciproco di vita, di esperienza in senso pieno”.

Tuttavia, ha lamentato poi il porporato, “a partire dall’epoca moderna, in ambito euroatlantico l’università pratica di fatto l’esclusione dei saperi connessi con tutte le questioni ultime, soprattutto se lette nella prospettiva della rivelazione cristiana, perché ritenute estranee ad una rigorosa conoscenza scientifica”.

Questa “pesante emarginazione” ha portato per esempio a negare alla teologia e alla filosofia la possibilità di rispondere adeguatamente alle questioni e alle domande circa le cose ultime.

“Oggi – ha osservato – sarebbe deputata a farlo, al loro posto, la tecnoscienza, la quale viene da più parti considerata l’unica depositaria della verità, sempre falsificabile (Popper), circa l’uomo e i fattori fondamentali della sua esistenza: l’amore, la nascita, la morte, portando così a “radicali cambiamenti” che hanno una stretta connessione con la questione educativa”..

“Nell’epoca moderna, declinato il ruolo della teologia, ridotta al rango di una disciplina fra le altre e in molte parti espulsa dall’università”, ha spiegato il Cardinale Scola “la scientificità che accomuna le discipline universitarie non attiene più direttamente all’oggetto della conoscenza, cioè alla verità, ma solo alla metodologia di formulazione del discorso scientifico stesso”.

“Inevitabile conseguenza di questo approccio – ha proseguito – è che l’università cessa di essere luogo di ricerca e verifica di un’ipotesi veritativa ultima, e perciò di reale paideia, per ridursi a luogo di trasmissione di competenze che, pur non rinunciando a dire ‘qualcosa’ di sempre provvisorio circa la verità (pensiamo al bios, o alla “formazione dell’universo”, o alle neuroscienze) possiede solo un’utilità strumentale”.

Di fronte a un sistema universitario caratterizzato quindi da una complessa articolazione di specifici programmi curriculari e di discipline differenziate, “una adeguata educazione universitaria non potrà rinunciare da subito alla cura dell’unità del soggetto del sapere”.

Eppure, si è domandato, come è possibile fondare oggi l’unità del soggetto? E come si può evitare di ridurre la teologia “a una specializzazione tra le altre, utile magari per svolgere qualche determinato compito – il sacerdote, il teologo, l’insegnante di religione – ma in fondo socialmente e culturalmente irrilevante”?

Innanzitutto, ha spiegato il Cardinale Scola, è “fondamentale che la teologia si misuri, in un confronto franco e aperto non solo con le altre discipline, ma con tutte le questioni – prima sommariamente richiamate – che, in maniera talvolta drammatica, caratterizzano la vita della nostra società”.

“Se pensiamo alle impressionanti ricerche e scoperte in atto, per esempio, nell’ambito della neuroscienza e della biologia, e alle relative questioni etiche ed antropologiche che tali scoperte sollevano, vediamo che la teologia non può esimersi dal farsi carico di un paragone serrato con questi saperi, pur nel rispetto degli statuti che sono propri di ciascuno di essi e senza avventurarsi nella ricerca di perigliosi quanto equivoci concordismi o eclettismi”, ha detto.

“Dall’altra – ha poi precisato – la teologia dovrà saper documentare la ragionevolezza dell’evento di Gesù Cristo quale ipotesi interpretativa del reale. Tale ‘ipotesi’ non soffoca il libero esercizio della ragione, anzi ne esalta le facoltà critiche urgendole ad un confronto a 360° con la realtà”.

“La proposta cristiana, infatti, presa nella sua oggettiva integralità, non è un salto nel buio”, ha detto.

“E nel conoscere, integralmente inteso, l’uomo si ri-conosce”, ha quindi concluso.

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ZENIT Staff

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