La tradizione liturgica della Chiesa di Roma (I)

Intervista a don Manlio Sodi, Presidente della Pontificia Accademia di Teologia

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di Antonio Gaspari

ROMA, mercoledì, 24 marzo 2010 (ZENIT.org).- Diverse Istituzioni hanno promosso un Simposio che si terrà in occasione dei 40 anni del Missale Romanum di Paolo VI e in concomitanza dei 440 anni di quello di san Pio V.

La Pontificia Accademia di Teologia, la Rivista Liturgica, il Centro di Azione Liturgica, la Vita in Cristo e nella Chiesa, la Rivista di Pastorale Liturgica, le riviste Armonia di voci, Chiesa oggi, Ephemerides Liturgicae, Temi di Predicazione – Omelie, unitamente all’Associazione dei Professori di Liturgia hanno organizzato a Roma (Istituto S. Cuore – via Marsala 42) il 25-26 marzo un convegno per approfondire alcuni aspetti che il liber princeps della Chiesa presenta e sollecita.

Per comprendere il senso e le finalità di tale simposio, ZENIT ha rivolto alcune domande al prof. don Manlio Sodi, Presidente della Pontificia Accademia di Teologia e Direttore della Rivista Liturgica.

Perché un Simposio su “La tradizione liturgica della Chiesa di Roma”?

Sodi: Il rincorrersi degli appuntamenti nella storia ha sempre un fascino… ma l’anniversario di eventi che hanno inciso nel tessuto ecclesiale richiama maggiormente l’attenzione e soprattutto costituisce un invito a conoscere sempre meglio ciò di cui si fa “memoria”.

La precisa coincidenza dei 40 anni dalla pubblicazione del Missale Romanum di Paolo VI (il Decretum porta la data del 26 marzo 1970) è stata all’origine dell’evento e della scelta dei giorni. Un anniversario che si pone in un momento preciso della vita della Chiesa che mentre è proiettata verso il 50° del Concilio Ecumenico Vaticano II, è pure alle prese con la traduzione e l’adattamento dell’editio typica tertia del Missale Romanum (2002 e 2008).

È in questo contesto che si pone il Simposio con l’unico intento di cogliere il significato profondo del Missale e il valore teologico-spirituale dei suoi contenuti.

Per il significato del Missale è presto detto: è il libro per eccellenza – ma non l’unico! – per esprimere la fede comune della Chiesa di Rito romano. In esso la lex orandi costituisce il luogo di incontro tra i contenuti della lex credendi e l’agire etico cristiano solitamente indicato con lex vivendi. Ogni approfondimento di titpo teologico non è altro, pertanto, che un passo in più per cogliere le ricchezze che il linguaggio liturgico può offrire in vista di una sintesi che coinvolge in modo permanente e variegato le attese del fedele.

In ordine ai contenuti è doveroso ricordare che molti attendono di essere conosciuti e compresi. Oggi più che in passato si è posto e si pone questo problema. La partecipazione in lingua viva permette di incontrare nel linguaggio della lex orandi temi e concetti che rinviano essenzialmente al linguaggio e al messaggio biblico. Ma questo è un lavoro enorme, che richiede attenzioni pastorali e catechistiche, che domanda sensibilità e professionalità coinvolgendo chi presiede e tutti coloro che svolgono una ministerialità.

Approfondire pertanto in prospettiva teologica l’anello più recente della tradizione liturgica della Chiesa di Roma è svolgere un servizio a questo inesauribile “dono” che i Padri del Vaticano II hanno voluto approvando il dettato di Sacrosanctum Concilium 50: «Il rito della messa sia riveduto in modo che appaiano più chiaramente la natura specifica delle singole parti e la loro mutua connessione, e sia resa più facile la partecipazione pia e attiva dei fedeli…». I Padri che hanno votato questo testo – al di là di vacue e fumose polemiche di questi nostri tempi – celebravano con l’antico rito, e quindi si rendevano ben conto di ciò che stavano approvando, e del capitolo nuovo che si stava delineando nella partecipazione liturgica nella Chiesa di Rito romano.

Quali sono gli obiettivi del Simposio?

Sodi: “Teologia ed ermeneutica della continuità”. È il sottotitolo che determina la specifica angolatura del Simposio. Con grande realismo, e tenendo conto di come è stata accolta e recepita la riforma liturgica nella Chiesa di Rito romano, si coglie il bisogno di rispondere all’urgenza di attese che invitano a conoscere prima di parlare!

Il Missale, edito nel 1970 e riedito recentemente, non è ancora abbastanza conosciuto nei suoi contenuti. Basti verificare quanti, a cominciare dai sacerdoti e dai vescovi, ne hanno letto l’Introduzione! Eppure, è da quelle pagine – iniziando dalla Costituzione apostolica Missale Romanum di Paolo VI – che si è progressivamente condotti ad una onesta e oggettiva comprensione della celebrazione e dei suoi linguaggi.

In questo orizzonte si pone la sfida di una conoscenza teologica del Missale e del Lectionarium. Solo a partire da una corretta ermeneutica di questi due “libri” si coglie cosa sia la celebrazione dell’Eucaristia, l’ascolto della Parola, la partecipazione alla mensa del Corpo e del Sangue di Cristo, la partecipazione piena attiva devota consapevole… ai santi misteri. Ed è ancora all’interno di tale approfondimento che si può fare una corretta ermeneutica della continuità!

Quando si afferma che il Messale di Paolo VI è veramente “tradizionale” viene da domandarsi: possibile? davvero? ma allora tutto quello che si dice attorno al Messale così detto di Pio V?

Se non si conosce la storia, non si può fare ermeneutica; se non si coglie il senso teologico-pastorale delle decisioni conciliari in re liturgica (sia di Trento che del Vaticano II), non si può fare ermeneutica; se non si sanno leggere in profondità i contenuti di teologia liturgica racchiusi nei testi eucologici, non si può fare ermeneutica; se non si coglie l’intimo rapporto tra mensa della Parola e mensa eucaristica, non si può fare ermeneutica (si pensi ancora all’episodio di Emmaus!); se non si sa che quasi tutti i testi eucologici del Missale di Pio V si trovano nell’attuale Missale, non si può fare ermeneutica; se non si sa che l’attuale Missale è il più tradizionale perché racchiude un’abbondanza incredibile di testi della tradizione che la Commissione tridentina non conosceva, non si può fare ermeneutica; se non si comprende che il linguaggio rituale è finalizzato all’esperienza del mistero, non si può fare ermeneutica; se non si percepisce il concetto di partecipazione che il Vaticano II (e la conseguente riforma liturgica) ha fatto suo dopo un insieme di sollecitazioni portate avanti dal movimento liturgico, non si può fare ermeneutica…

Il discorso potrebbe continuare. Gli esempi addotti cercano di far comprendere che la così detta “ermeneutica della continuità” è un percorso estremamente serio che non va affrontato in modo giornalistico ma solo attraverso un confronto con le fonti e senza preconcetti.

E oggi siamo particolarmente fortunati perché abbiamo a disposizione tutte le fonti relative all’inizio e alla fine della riforma tridentina. Mi riferisco alle collane edite dalla Libreria Editrice Vaticana – «Monumenta Liturgica Concilii Tridentini» (6 volumi, 1997-2005) e «Monumenta Liturgica Piana» (5 volumi dal 2007; gli Indices sono in stampa) – che hanno avuto l’obiettivo di aiutare a conoscere le fonti e a saperle valutare con sapienza.

Obiettivo del Simposio dunque è quello di cogliere l’essenza del Missale non al di là di ciò che appare (= ritualità) ma per dare fondamento a ciò che i sensi percepiscono in modo da favorire e realizzare un’esperienza sempre più profonda del Mistero della salvezza attraverso la celebrazione del memoriale.

Molti fedeli si lamentano perché le letture del Lezionario della
Messa di Paolo VI sono a volte troppo lunghe. Lei cosa ne pensa?

Sodi: Che il “lamento” sia parte del nostro esprimersi pressoché quotidiano è un dato di fatto. La liturgia non è esclusa… almeno in certi contesti in cui la velocità e la fretta sembrano essere una lex per condizionare anche la liturgia. Quando però si osservano altre prassi in luoghi in cui la liturgia è la festa della comunità allora una celebrazione che duri anche tre ore non risente di questo clima di fretta; la stessa esperienza della Divina Liturgia delle Chiese d’Oriente può essere di ulteriore conferma.

Al di là del rapporto con altre esperienze – che talvolta è doveroso tener presenti – il Lezionario è la risposta eloquentissima ad un insieme di dettati conciliari (si pensi soprattutto alla Sacrosanctum Concilium e alla Dei Verbum) in cui i Padri chiedevano di mettere a disposizione dei fedeli una mensa più abbondante della Parola di Dio. Ecco la risposta oggettiva al volere di un Concilio. Ed ecco la ricchezza del Lezionario che offre un’abbondanza di Parola di Dio mai prima realizzata nella vita delle Chiese.

Questa è la grande ricchezza e la vera novità. E anche qui si deve inserire la logica dell’ermeneutica della continuità in modo da far vedere questo cammino che si apre sempre di più verso ulteriori traguardi. Se non si sottolinea che la Liturgia della Parola è essenziale, non si riesce a comprendere come gli occhi si possano aprire al momento dello spezzare il pane…

La lunghezza delle letture, pertanto, è uno pseudoproblema per chi vuol realizzare un percorso di fede e di vita nel contesto della rinnovazione dell’alleanza all’interno della celebrazione del memoriale di salvezza.

Ed è doveroso aggiungere: più si attuerà la comprensione del linguaggio biblico e dei contenuti “pedagogici” della Liturgia della Parola più la vita cristiana sarà permeata di vita eucaristica, di vita cioè che è costantemente chiamata a rendere grazie a Dio per tutto e in ogni cosa.

[Giovedì 25 marzo, la seconda parte dell’intervista]

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ZENIT Staff

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