BLUEFIELDS (Nicaragua), lunedì, 22 marzo 2010 (ZENIT.org).- È facile isolarsi nei problemi del proprio Paese, ma secondo un Vescovo impegnato per i poveri del Nicaragua è importante ricordarsi che viviamo in una comunità globale e che formiamo parte della Chiesa universale.
Il francescano David Zywiec, è il vescovo ausiliario del Vicariato di Bluefields, competente per quasi l’intera metà orientale del Paese, compresa quell'area nota come la Mosquito Coast.
Il presule di 62 anni, originario di East Chicago, nell’Indiana, ha recentemente parlato della vita della Chiesa in Nicaragua, al programma televisivo “Where God Weeps”, gestito dal Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre.
La trascrizione dell’intervista è divisa in due parti. La prima parte è stata pubblicata il 15 marzo 2010.
Lei ha imparato la lingua dei miskito. Quanto tempo ci ha impiegato?
Mons. Zywiec: La sto ancora imparando! Si dice che per imparare una lingua occorrano circa mille ore. Una delle difficoltà che ho trovato è che ci si deve essere immere nel contesto e usare la lingua costantemente. Invece, la mia situazione mi porta a essere a volte nella zona dei miskito e a volte in quella spagnola.
Lei è uno dei pochi missionari che effettivamente parla la loro lingua.
Mons. Zywiec: È vero. E il Vicariato ha la grazia di avere cinque sacerdoti miskito, oltre ad alcuni giovani miskito in seminario. Penso quindi che sia una grazia di Dio, che ci indirizza alla costruzione di una Chiesa nativa.
Quale appello vorrebbe rivolgere, per il suo lavoro, per la diocesi, per il Vicariato?
Mons. Zywiec: La prima cosa sarebbe certamente la preghiera, perché siamo chiamati a pregare. Il Nicaragua è uno dei Paesi più poveri dell’America latina. Abbiamo attraversato guerre civili, uragani, e quindi la preghiera è importante.
Molto spesso, quando leggo un giornale in Nicaragua, vedo che si parla solo del Nicaragua... vado negli Stati Uniti e si parla solo degli Stati Uniti. Ma noi siamo parte di una comunità globale; siamo parte della Chiesa cattolica. Credo che anche questa sia una cosa importante.
Abbiamo avuto delle specie di partnership con diverse parrocchie e credo che questo sia un modo importante per non limitarsi a dire: “ok pregheremo per il Nicaragua”, oppure a dire di conoscere una certa persona o famiglia. Non si tratta quindi solo di aiutare qualche persona o un’area del tutto anonima, ma di aiutare questa persona particolare, questa famiglia particolare, con le loro necessità. Credo che questo colpisca il cuore e credo che sia un modo per vivere quella fratellanza a cui Dio ci chiama, che Gesù ci ha invitato a vivere, come suoi seguaci.
Stiamo parlando di una zona fortemente rurale, quella in cui lei vive, costituita da molte zone paludose e montagne. Come descriverebbe lo sviluppo sociale della popolazione? Sono ancora molto tradizionali nelle loro pratiche o si stanno modernizzando, per così dire?
Mons. Zywiec: Direi che molte cose sono cambiate nella zona rurale. Quando ero appena arrivato, lavoravo negli insediamenti di lingua spagnola, con i contadini di lingua spagnola. I missionari più anziani dicevano che queste zone vedevano un sacerdote una volta l’anno o ogni sei mesi.
Vi erano donne che non erano in grado di comprendere un altro uomo che rivolgeva loro la parola, perché vivevano così isolate che l’unica voce maschile che sentivano era quella del marito. E oggi in alcune zone esistono, non solo le radio a batteria, ma grazie ai pannelli solari anche le televisioni.
Quindi le cose sono cambiate, lentamente, non tutto insieme, non dalla mattina alla sera. Un’altra cosa che ho notato è che quando arrivai lì 30 anni fa, i bambini, in segno di rispetto, giungevano le mani e dicevano “Santito”. Adesso non lo fanno più ed è un piccolo segno di come le cose siano cambiate.
Ma d’altra parte vi sono stati alcuni cambiamenti positivi. Per esempio, la gente è diventata molto brava nella musica. Quando sono arrivato lì per la prima volta, era un eccezione trovare qualcuno che suonasse la chitarra in chiesa. Adesso nelle chiese abbiamo chitarre, guitaro (piccole chitarre), fisarmoniche e trombe, e talvolta tastiere. Le cose quindi sono cambiate: cose negative e cose positive. Ma credo che queste cose qui diano maggiore vita alle nostre celebrazioni nelle zone rurali.
Lei ha prima accennato alle sfide sociali, in particolare alle scuole. Lei ha lavorato duramente per lo sviluppo di un sistema scolastico elementare per i giovani delle zone rurali che altrimenti non avrebbero accesso all’istruzione. Perché l'ha considerato una priorità?
Mons. Zywiec: Se vuoi vivere nel mondo di oggi, devi saper leggere e scrivere. D’altra parte noi vediamo spesso un certo flusso migratorio dalla campagna alle città. Per esempio, uno dei nostri seminaristi viene da una famiglia rurale. È uno di 16 fratelli. Con ogni probabilità molti di loro si trasferiranno nelle città e se non sanno leggere e scrivere cosa faranno? Potranno fare lavori umili oppure potrebbero essere tentati dal furto. Così, almeno, una persona ha la capacità di guadagnarsi da vivere in modo onesto e dignitoso.
Quali altre priorità e progetti considera importanti per questo Vicariato?
Mons. Zywiec: Credo che la Chiesa debba impegnarsi nell’istruzione. Vi è stato un passato troppo lungo di disinteresse da parte dello Stato circa l’istruzione in quest’area. Stiamo parlando di 40 o 50 anni. Oggi esiste un sistema scolastico con più di 400 scuole elementari e più di 20.000 alunni. Credo che un altro passo sia quello di avviare una scuola superiore, una scuola tecnica, che consenta ai giovani di lavorare nell’agricoltura...
Per acquisire capacità, formazione professionale...?
Mons. Zywiec: Esatto. Formazione professionale. ... Un’altra sfida, nel generale sforzo di promozione umana, è quella della salute, perché i medici sono pochissimi. Normalmente vogliono restare nelle città. Non vogliono doversi spostare nelle campagne. E quindi abbiamo spesso piccole cliniche... anche questa è una sfida.
Come ho accennato, siamo molto impegnati nell’evangelizzazione – è una priorità fondamentale – con i nostri leader laici, nello sforzo di formarli bene. Tanto più alta è la loro istruzione, tanto più sono in grado di offrire una leadership di qualità e di spiegare la fede con maggiore efficacia. E credo anche che una delle cose da fare sia quella di lavorare per il bene comune, per il senso di comunità.
Spesso la gente si trova in certe situazioni, nella politica o nell’economia, o persino nella Chiesa, in cui si pensa: “Bene, ho questo lavoro, vediamo quanto riesco a trarne per me stesso”, piuttosto che dire: “Sono qui a servizio della comunità, a servizio di Dio”. Come ha detto Gesù: “Sono venuto non per essere servito ma per servire”. Questo dello spirito di servizio è una delle grandi sfide che abbiamo. Avere una mentalità di servizio, un atteggiamento di servizio come quello di Gesù. Tutto questo fa parte dell’evangelizzazione. Cedo sia una delle importanti sfide che abbiamo in America latina e nel Vicariato di Bluefields.
Un’altra cosa ancora, come si accennava, riguardo alla zona miskito, è tutta la questione dell’inculturazione della fede: essere in grado di esprimere la fede che è presente tra i miskito. Per esempio, oggi abbiamo la Bibbia in miskito, un libro di canti, e siamo in grado di aiutare i miskito ad esprimere la loro fede, i loro sentimenti e il loro amore per Dio, a modo loro. E se tutto questo diventa parte integrante della loro Chiesa – anche nelle zone rurali – diventa pare del loro modo di esprimere la fede e il loro amore per Dio.
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