di Antonio Gaspari
ROMA, lunedì, 22 marzo 2010 (ZENIT.org).- Nel corso della prolusione pronunciata questo lunedì al Consiglio Episcopale Permanente a Roma, prima di affrontare il tema della rinnovata identità, testimonianza e missione del sacerdote, il Cardinale Angelo Bagnasco ha voluto commentare la questione dei casi di pedofilia che ha investito la Chiesa d’Irlanda.
“Senza dubbio – ha affermato il presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) – la pedofilia è sempre qualcosa di aberrante e, se commessa da una persona consacrata, acquista una gravità morale ancora maggiore”.
“Per questo – ha aggiunto -, insieme al profondo dolore e ad un insopprimibile senso di vergogna, noi Vescovi ci uniamo al Pastore universale nell’esprimere tutto il nostro rammarico e la nostra vicinanza a chi ha subìto il tradimento di un’infanzia violata”.
Facendo riferimento alla Lettera ai cattolici d’Irlanda di Benedetto XVI, l’Arcivescovo di Genova ha spiegato che “la Chiesa impara dal Papa a non avere paura della verità, anche quando è dolorosa e odiosa, a non tacerla o coprirla”.
“Questo, però, – ha continuato – non significa subire – qualora ci fossero – strategie di discredito generalizzato”.
Secondo il presidente della CEI, bisogna interrogarsi “a proposito di una cultura che ai nostri giorni impera incontrastata e vezzeggiata” e che ha “l’atteggiamento cioè di chi coltiva l’assoluta autonomia dai criteri del giudizio morale e veicola come buoni e seducenti i comportamenti ritagliati anche su voglie individuali e su istinti magari sfrenati”.
Per il cardinale Bagnasco, “l’esasperazione della sessualità sganciata dal suo significato antropologico, l’edonismo a tutto campo e il relativismo che non ammette né argini né sussulti fanno un gran male perché capziosi e talora insospettabilmente pervasivi”.
A questo proposito il porporato ha ripreso San Paolo che nella lettera ai Corinzi scrive “vi supplico in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2Cor 5,20), perchè “questa perorazione raggiungesse in particolare i nostri cari sacerdoti, e li interpretasse nel loro desiderio di autenticità e di rinnovamento della propria testimonianza di vita e di missione”.
Il presidente della CEI ha quindi richiamato il tema dell’identità sacerdotale che resta ‘determinante’ per l’esercizio del sacerdozio ministeriale in un’epoca come la nostra ‘policentrica’ e ‘polimorfa’.
Il sacerdote – secondo il Cardinale Bagnasco – non è né ‘un disagiato, né uno scompensato’, al contrario il sacerdote “è un uomo che – non solo nel tempo del seminario – coltiva la propria umanità nel fuoco dell’amore di Gesù”.
“E’ nell’amore e nell’amicizia con Gesù, che – a parere dell’Arcivescovo di Genova – il sacerdote nutre, pota, orienta, la propria vocazione”.
Nel fare ciò “ogni sacerdote è consapevole di essere stato preso per mano dal suo Signore e chiamato a stare con Lui come amico: per questo è vitale conoscere Dio da vicino, frequentarlo, accompagnarsi a Lui cuore a cuore”.
A questo proposito il presidente della CEI ha ripreso le parole del Pontefice che indicano la celebrazione quotidiana della Messa, la preghiera regolare della Liturgia delle Ore e quella dei momenti più intimi e personali, l’adorazione eucaristica, la pratica del sacramento della penitenza, lo studio anche sistematico che permette di penetrare meglio le sfide del tempo, come “elementi che vanno nell’unica direzione, quella della comunione stabile con Dio in Cristo Gesù”.
Il porporato ha poi sconsigliato “un’insistente proiezione esterna, una parcellizzazione degli impegni, un attivismo esasperato, per l’ancoraggio della vita interiore”, ed ha invece indicato la strada maestra nel “rapporto con Dio, coltivato, preservato, amato”.
“Essere preti – ha sottolineato il porporato – è qualcosa di più di una semplice decisione morale, affidata ad una pur adeguata condotta di vita; è anzitutto una risposta d’amore ad una dichiarazione d’amore”.
“E la missione”, come ha rilevato il Pontefice Benedetto XVI, “non è una cosa aggiunta alla fede, ma è il dinamismo della fede stessa”.
Per il presidente della CEI, “solo tenendo lo sguardo fisso sul Signore e sulla sua sorprendente misericordia, per convertire il cuore, e continuare con gioia a lasciare tutto per Lui” si diventerà capaci di “appassionamento, di com-passione, per soffrire con gli altri, e caricarsi addosso il patire del nostro tempo, il patire della nostra stessa comunità, senza tuttavia lasciarsene sopraffare”.