MILANO, venerdì, 19 marzo 2010 (ZENIT.org).- A Milano il 13 marzo scorso, presso l’Auditorium dell’Istituto Gonzaga, si è tenuto un convegno organizzato dalla Fondazione Enzo Peserico www.fondazioneenzopeserico.org sul tema “Per una società ed una economia a misura d’uomo. Riflessioni intorno alla Lettera Enciclica Caritas in Veritate“.
Il convegno ha affrontato il tema dello sviluppo, da ripensare a partire dalla dottrina sociale, dalla carità che non può essere disgiunta dalla verità; contro l’ideologia del relativismo e del materialismo, che ha dimostrato il suo fallimento sociale ed economico.
In apertura del convegno, Sabrina Pagani Peserico, presidente della Fondazione organizzatrice e vedova di Enzo Peserico, ha ricordato la figura del marito, testimone esemplare di uno stile di vita cristiano che, in ogni ambito, familiare, sociale, educativo e professionale, è riuscito a dimostrare che si può vivere secondo i principi del Vangelo, augurandosi che la Fondazione che porta il suo nome possa continuare ad indicare quella strada e quell’esperienza.
Stefano Fontana, Direttore dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuân” sulla dottrina sociale della Chiesa, nella relazione sul tema “Libertà e responsabilità: l’autentica vocazione dell’attività economica”, ha ricordato che la Caritas in veritate è molto di più di un’enciclica sull’economia.
Il Pontefice ha sorpreso con l’affermazione che la logica del dono appartiene fin da subito alla normale attività economica (n. 36). Fontana è partito da qui per dimostrare come l’economia abbia bisogno di elementi non economici per essere se stessa.
Il dono infatti non può essere collocato dopo l’attività economica ma deve appartenerle fin da principio. Esso rappresenta la vocazione dell’economia in quanto le indica cosa sia e quali siano i suoi fini, ma l’economia per poterlo accogliere e riconoscere deve già possederlo nella forma dell’attesa. Infatti non è possibile desiderare se non ciò che in qualche modo già si conosce.
Secondo Fontana questo spiega non solo il rapporto tra economia e logica del dono, ma anche quello tra ragione e fede, tra giustizia e carità. Nessun livello si dà da solo la propria verità; ognuno si costituisce in virtù di un conferimento di senso che gli deriva da altro. Questo conferimento di senso non può essere prodotto, ma solo accolto in dono.
Fontana è così potuto tornare al cuore stesso della Caritas in veritate, appunto alla verità e all’amore. La loro esperienza da parte nostra è esperienza di un senso che ci è dato in dono e da cui dipendiamo per la nostra identità e la nostra dignità.
E’ aperta così la strada ad un “posto di Dio nel mondo”, ad una luce di verità e al calore di un amore che fa in modo che tutto il resto scopra la propria verità e dignità, compresa l’economia, ma non solo essa.
Stefano Zamagni, professore ordinario di Economia Politica all’Università di Bologna, ha svolto una relazione sul tema “Le radici della crisi e la ricerca dell’armonia perduta”, in cui si è chiesto perché la Caritas in veritate sia tanto letta e discussa.
Il motivo è che essa individua con chiarezza i tre principali paradossi del nostro disagio di civiltà. Il primo è che mentre aumenta il reddito aumentano più che proporzionalmente le disuguaglianze. Il secondo è che abbiamo un sistema agroalimentare in grado di sfamare 12 miliardi di persone e si muore ampiamente ancora di fame e denutrizione. Il terzo è il paradosso della felicità: superati i 32 mila dollari, ulteriori aumenti di ricchezza fanno diminuire l’indice di felicità.
Questo pone in crisi l’essenza stessa del modello capitalistico e il senso stesso della vita economica. Nessuno infatti può fare a meno della felicità. Secondo Zamagni la Caritas in veritate denuncia l’esistenza di tre pericolose separazioni. La prima separazione è quella tra economia e società. All’economia è stata infatti affidata la produzione della ricchezza con il criterio dell’efficienza, mentre alla società sono state affidate la redistribuzione e l’equità con il criterio della solidarietà.
La seconda separazione è tra lavoro e ricchezza. Finora si era pensato che la ricchezza derivasse dal lavoro, oggi con l’attività finanziaria e speculativa non si pensa più così. Ciò comporterebbe tra l’altro la fine della stessa dottrina sociale della Chiesa secondo la quale il lavoro è collaborazione all’opera creativa di Dio.
La terza separazione è tra mercato e democrazia poichè si ritiene che le regole del mercato debbano nascere dal mercato stesso. La Caritas in veritate indica, secondo Zamagni, tre principi guida per ricomporre in armonia queste fratture. Il primo è che la fraternità, parola che compare per la prima volta nell’enciclica, deve entrare dentro il mercato e non collocarsi dopo. La seconda è la “libertà per”, che coincide con il problema educativo e con l’emergenza educativa. La terza è il bene comune, che non è un bene totale, somma dei beni individuali, ma il prodotto di un’etica delle virtù.
Massimo Introvigne, sociologo delle religioni e Vice responsabile nazionale di Alleanza Cattolica, ha concluso i lavori con una relazione sul tema “Fede, ragione, persona, comunità”, ripercorrendo quattro aspetti dell’enciclica non trattati dai due precedenti relatori: la natura e il fondamento della dottrina sociale della Chiesa; il ricordo dell’enciclica di Papa Paolo VI Populorum progressio; una descrizione di quanto profondamente è cambiata la società negli oltre quarant’anni che ci separano da quel testo; e infine una presentazione delle principali sfide sulle quali, nel contesto attuale, si deve focalizzare un’azione condotta alla luce della dottrina sociale della Chiesa.
Denunciando i rischi del relativismo, ha ricordato che difendere la verità e proporla, annunciarla e testimoniarla è una forma di carità. A proposito della Populorum progressio, Benedetto XVI ribadisce la necessità di leggerla alla luce della Tradizione della dottrina sociale della Chiesa. E al sostantivo “sviluppo” il Pontefice unisce sempre l’aggettivo “integrale“, per sottolineare che lo sviluppo che sta a cuore alla Chiesa non è mai solo quello economico.
Se cresce il prodotto interno lordo ma crescono anche gli aborti e i suicidi, o si diffonde l’ateismo, non siamo di fronte a un vero sviluppo. Come afferma Benedetto XVI “Oggi occorre affermare che la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica” (n. 75). In conclusione, se si esclude la dimensione spirituale non si uscirà dalle crisi dei nostri giorni, né dalla crisi economica né dalla solitudine, e non si opererà veramente per lo sviluppo integrale.