di padre Angelo del Favero*
CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 12 marzo 2010 (ZENIT.org).- Si avvicinarono a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. Ed egli disse loro questa parabola: “Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: ‘Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta’. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. (…) Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: ‘Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati’”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. (…) Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,1-3.11-32).
Benedetto XVI, nella conclusione del suo magistrale commento alla “parabola dei due fratelli e del padre buono”, sottolinea il valore del “cammino che ha purificato il fratello più giovane e gli ha fatto conoscere che cosa significa la libertà, che cosa significa essere figlio” (in “Gesù di Nazaret”, p. 249). Non trovo parole migliori per interpretare anche la storia di Adrienne, giovanissima mamma che la Misericordia di Dio ha visitato quando meno se l’aspettava, assieme a chi scrive. Vi racconto il fatto, come “in diretta”.
Lunedì 1 marzo, ore 22,20: ascolto in segreteria telefonica: “Pronto, Angelo, sono Graziella. Volevo dirti che domattina vado all’ospedale per accompagnare Adrienne ad abortire. Ho cercato di convincerla a tenere il bambino, ma non c’è stato niente da fare. Tu prega per noi”. L’improvvisa notizia di questo accompagnamento al patibolo mi gela il cuore, ma comprendo il motivo che lo rende necessario: farsi prossimo fino in fondo di due persone disperatamente sole, nella speranza di salvare la loro vita: quella fisica del bambino e quella spirituale della sua mamma.
Martedì 2 marzo, ore 6.30: al risveglio, non ho che il pensiero di Adrienne. Mentre con il Rosario in mano sto supplicando Maria per il miracolo, ronza il telefonino: “Pronto, ciao Angelo. Guarda, sono qui con Adrienne. E’ talmente sconvolta che ho telefonato all’ospedale spostando l’appuntamento per l’aborto a martedì prossimo”. M’invade un certo qual sollievo: è forse la caparra della grazia supplicata? Rispondo subito: “Dobbiamo incontrarci!”.
Ore 9.00: eccomi con Adrienne.
I suoi occhi, non più in pianto, stanno fissando con un mesto sorriso l’angioletto in legno che le ho portato da casa: un dolce volto radioso, opera di un artista della Val Gardena. Le parlo della bellezza della vita e del progetto specialissimo di felicità che Dio ha per ogni figlio che Lui mette al mondo nel grembo di una donna. Dal giorno in cui ha saputo di essere incinta, Adrienne è entrata nell’angoscia, un turbine che non ha certo perduto la sua forza quando ha avuto in mano il certificato per abortire. Qualche giorno dopo, non per fortuna ma per grazia, un’amica di Graziella l’ha indirizzata al Centro di Aiuto alla Vita.
Venerdì 5 marzo, ore 20.40: una telefonata come un raggio di sole: Adrienne è decisa a proseguire la gravidanza.
Sabato 6 marzo, ore 20.30: sms come un’eclissi totale da parte di Graziella: Adrienne ha incontrato sua madre ed ha cambiato decisione. Mi lascia il suo cellulare. Le telefono: mi ascolta e tace, ma capisco che la sua volontà resta nel baratro.
Lunedì 8 marzo, ore 20.10: nessuna nuova: Adrienne è “tranquillamente” decisa per l’appuntamento di domani. La madre, che vive in città, è irreperibile. Si sono date appuntamento nell’atrio dell’ospedale per domattina, alle 7.30. Raggiungo Adrienne per telefono dalla psicologa del CAV, ma non voglio opprimerla…è solo per farle udire una parola buona da parte del Dio della vita. Silenzio totale da parte sua Graziella mi richiama: “Cosa facciamo Angelo?”. Rispondo: “domattina dobbiamo essere là anche noi, mezz’ora prima”.
Martedì 9 marzo, ore 6.40: seduto vicino al bar, sto pregando il Rosario, mentre l’inserviente delle pulizie fatica a tenere fuori gli impazienti che chiedono il caffè. Uno di loro alza la voce. Graziella arriva alla terza decina. Continuiamo la preghiera, finiamo, parliamo, aspettiamo.
Ore 7.35: oltre la vetrata dell’ingresso, a passo svelto sta arrivando Adrienne. E’ accompagnata. Ci alziamo e le andiamo incontro lentamente. Si accorge di noi e immediatamente fa un deciso cenno di no, indicando la persona che è con lei. Stoppati, la seguiamo con gli occhi, mentre si allontana inesorabilmente verso l’ascensore in fondo al corridoio. Sconsolato, mi rivolgo a Graziella: “Non c’è niente da fare..”. Tuttavia, pur indugiando, dico: “Andiamo su anche noi!”. Conosciamo casi di aborti evitati “in extremis”.
Ore 7.40: entriamo in Ginecologia: accettazione, ambulatorio di ecografia, studio del Primario e studio medici. Adrienne è là, seduta, e ci vede. Chiama, sorride e si scusa a voce alta: “Ero con una zia incontrata per caso che non sa nulla, non volevo far sapere..”. Alquanto rianimato dal suo atteggiamento, mi siedo accanto a lei. La prima cosa che mi viene da dirle è questa: “Adrienne, siamo venuti per salvare due vite, quella fisica del tuo bambino e la vita della tua anima”. Mi ascolta, mentre cerco con affetto di aiutarla a vedere le conseguenze del gesto che è tentata di compiere.
Ore 8.10: Adrienne è chiamata dall’infermiera per l’accettazione del ricovero. Quando esce torna a sedersi vicino a me. So che è credente e ritengo giusto informarla anche della pena della scomunica latae sententiae, conseguenza automatica di ogni aborto volontario, spiegandogliene la ragione “terapeutica”. Non fa commenti né domande.
Ore 8.35: sopraggiunge la giovane mamma di Adrienne. Le parlo col cuore in mano, e dopo pochi minuti lascio il posto a Graziella che sta in piedi da un’ora. Esco a telefonare alla chiesa dell’Annunziata, dove avrei dovuto celebrare la santa Messa per la vita alle 9.00: “Mi trovo all’ospedale e non mi è possibile arrivare in tempo; ma devo assolutamente rimanere. Avvisi la gente, grazie!”.
Riprendo il colloquio con la mamma di Adrienne: “Prenda sua figlia, signora, e andiamo via. E’ ancora in tempo. Non vi lasceremo sole, dopo. Dio vuole che questa vita non sia tolta. Vi benedirà!”.
Ore 9.20: Adrienne è chiamata in ambulatorio per l’ecografia: la speranza è appesa a un filo, ma…il filo della fede regge il mondo intero.
Ore 9.28
: Adrienne esce in lacrime: “Il cuore non batte più, il bambino è morto!”. Chiedo: “Morto?”. Allora racconta: “Lo pensavo che qualcosa sarebbe successo. L’altro ieri, in casa, un grosso peso mi è caduto addosso sulla pancia, e quasi mi sentivo soffocare dal male. Poi c’è stata una piccola perdita di sangue…”.
Ore 9.45: Saluto Adrienne che si avvia in reparto con la mamma e le dico : “Grazie a Dio, Adrienne, non hai abortito. Coraggio! Le tue lacrime ora sono pure. Dio ha salvato il tuo bambino portandolo con Sé, e ha anche salvato la tua anima dalla morte. Le sue vie non sono le nostre vie! Dagli un nome. Ciao, sta in pace. Stasera ti mando un messaggio”.
Uscendo dall’ospedale con Graziella, penso a voce alta al Vangelo di oggi: “perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,32).
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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.