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Signori Cardinali,
Cari confratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Gentili convenuti,
sono lieto di incontrarvi in questa particolare occasione e vi saluto tutti con affetto. Rivolgo un particolare pensiero al Cardinale Cláudio Hummes, Prefetto della Congregazione per il Clero, e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto. La mia gratitudine va all’intero Dicastero, per l’impegno con cui coordina le molteplici iniziative dell’Anno Sacerdotale, tra le quali questo Convegno Teologico, dal tema: “Fedeltà di Cristo, Fedeltà del Sacerdote“. Mi rallegro per questa iniziativa che vede la presenza di più di 50 Vescovi e di oltre 500 sacerdoti, molti dei quali responsabili nazionali o diocesani del Clero e della formazione permanente. La vostra attenzione ai temi riguardanti il Sacerdozio ministeriale è uno dei frutti di questo speciale Anno, che ho voluto indire proprio per “promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi” (Lettera per l’indizione dell’Anno Sacerdotale).
Il tema dell’identità sacerdotale, oggetto della vostra prima giornata di studio è determinante per l’esercizio del sacerdozio ministeriale nel presente e nel futuro. In un’epoca come la nostra, così “policentrica” ed incline a sfumare ogni tipo di concezione identitaria, da molti ritenuta contraria alla libertà e alla democrazia, è importante avere ben chiara la peculiarità teologica del Ministero ordinato per non cedere alla tentazione di ridurlo alle categorie culturali dominanti. In un contesto di diffusa secolarizzazione, che esclude progressivamente Dio dalla sfera pubblica, e, tendenzialmente, anche dalla coscienza sociale condivisa, spesso il sacerdote appare “estraneo” al sentire comune, proprio per gli aspetti più fondamentali del suo ministero, come quelli di essere uomo del sacro, sottratto al mondo per intercedere a favore del mondo, costituito, in tale missione, da Dio e non dagli uomini (cfr Eb 5,1). Per tale motivo è importante superare pericolosi riduzionismi, che, nei decenni passati, utilizzando categorie più funzionalistiche che ontologiche, hanno presentato il sacerdote quasi come un “operatore sociale”, rischiando di tradire lo stesso Sacerdozio di Cristo. Come si rivela sempre più urgente l’ermeneutica della continuità per comprendere in modo adeguato i testi del Concilio Ecumenico Vaticano II, analogamente appare necessaria un’ermeneutica che potremmo definire “della continuità sacerdotale”, la quale, partendo da Gesù di Nazaret, Signore e Cristo, e passando attraverso i duemila anni della storia di grandezza e di santità, di cultura e di pietà, che il Sacerdozio ha scritto nel mondo, giunga fino ai nostri giorni.
Cari fratelli sacerdoti, nel tempo in cui viviamo è particolarmente importante che la chiamata a partecipare all’unico Sacerdozio di Cristo nel Ministero ordinato fiorisca nel “carisma della profezia”: c’è grande bisogno di sacerdoti che parlino di Dio al mondo e che presentino a Dio il mondo; uomini non soggetti ad effimere mode culturali, ma capaci di vivere autenticamente quella libertà che solo la certezza dell’appartenenza a Dio è in grado di donare. Come il vostro Convegno ha ben sottolineato, oggi la profezia più necessaria è quella della fedeltà, che partendo dalla Fedeltà di Cristo all’umanità, attraverso la Chiesa ed il Sacerdozio ministeriale, conduca a vivere il proprio sacerdozio nella totale adesione a Cristo e alla Chiesa. Infatti, il sacerdote non appartiene più a se stesso, ma, per il sigillo sacramentale ricevuto (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, nn.1563; 1582), è “proprietà” di Dio. Questo suo “essere di un Altro” deve diventare riconoscibile da tutti, attraverso una limpida testimonianza.
Nel modo di pensare, di parlare, di giudicare i fatti del mondo, di servire e amare, di relazionarsi con le persone, anche nell’abito, il sacerdote deve trarre forza profetica dalla sua appartenenza sacramentale, dal suo essere profondo. Di conseguenza, deve porre ogni cura nel sottrarsi alla mentalità dominante, che tende ad associare il valore del ministro non al suo essere, ma solo alla sua funzione, misconoscendo, così, l’opera di Dio, che incide nell’identità profonda della persona del sacerdote, configurandolo a Sé in modo definitivo (cfr ibid., n.1583).
L’orizzonte dell’appartenenza ontologica a Dio costituisce, inoltre, la giusta cornice per comprendere e riaffermare, anche ai nostri giorni, il valore del sacro celibato, che nella Chiesa latina è un carisma richiesto per l’Ordine sacro (cfr Presbyterorum Ordinis, 16) ed è tenuto in grandissima considerazione nelle Chiese Orientali (cfr CCEO, can. 373). Esso è autentica profezia del Regno, segno della consacrazione con cuore indiviso al Signore e alle “cose del Signore” (1Cor 7,32), espressione del dono di sé a Dio e agli altri (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n.1579).
Quella del sacerdote è, pertanto, un’altissima vocazione, che rimane un grande Mistero anche per quanti l’abbiamo ricevuta in dono. I nostri limiti e le nostre debolezze devono indurci a vivere e a custodire con profonda fede tale dono prezioso, con il quale Cristo ci ha configurati a Sé, rendendoci partecipi della Sua Missione salvifica. Infatti, la comprensione del Sacerdozio ministeriale è legata alla fede e domanda, in modo sempre più forte, una radicale continuità tra la formazione seminaristica e quella permanente. La vita profetica, senza compromessi, con la quale serviremo Dio e il mondo, annunciando il Vangelo e celebrando i Sacramenti, favorirà l’avvento del Regno di Dio già presente e la crescita del Popolo di Dio nella fede.
Carissimi sacerdoti, gli uomini e le donne del nostro tempo ci chiedono soltanto di essere fino in fondo sacerdoti e nient’altro. I fedeli laici troveranno in tante altre persone ciò di cui umanamente hanno bisogno, ma solo nel sacerdote potranno trovare quella Parola di Dio che deve essere sempre sulle sue labbra (cfr Presbyterorum Ordinis, 4); la Misericordia del Padre, abbondantemente e gratuitamente elargita nel Sacramento della Riconciliazione; il Pane di Vita nuova, “vero cibo dato agli uomini” (cfr Inno dell’Ufficio nella Solennità del Corpus Domini del Rito romano). Chiediamo a Dio, per intercessione della Beata Vergine Maria e di San Giovanni Maria Vianney, di poterLo ringraziare ogni giorno per il grande dono della vocazione e di vivere con piena e gioiosa fedeltà il nostro Sacerdozio. Grazie a tutti per questo incontro! Ben volentieri imparto a ciascuno la Benedizione Apostolica.
[© Copyright 2010 – Libreria Editrice Vaticana]