ROMA, venerdì, 5 marzo 2010 (ZENIT.org).- “Il Papa ha ragione! L’Aids non si ferma con il condom”: è questo il titolo del saggio scritto da Cesare Davide Cavoni e Renzo Puccetti e pubblicato dall’editrice “Fede & Cultura”.
Il libro ricostruisce in maniera precisa l’ennesimo caso di disinformazione che nel marzo del 2009, nel corso del suo primo viaggio in Africa, ha coinvolto il Pontefice Benedetto XVI. Al centro delle polemiche allora c’erano il condom e l’Aids.
Nella prima parte del volume viene ricostruita la cronaca di come e perché le parole del Papa sono state prima inascoltate e poi travisate; mentre nella seconda parte vengono riportati gli studi scientifici che attraverso i dati pubblicati nella letteratura medica internazionale mostrano che il profilattico non solo non è la soluzione dei mali del continente africano, ma addirittura che la distribuzione a pioggia di preservativi porta a condotte che aggravano ancora di più il problema.
Nella prefazione Francesco Agnoli sottolinea che il vero problema in Africa è culturale e cioè “la concezione dell’uomo e della donna” e che questa non si può risolvere con “una maggiore o minore disponibilità di caucciù”.
Si chiede Agnoli: possono bastare camionate di preservativi, con il loro indice, per quanto basso di fallibilità, a cambiare il modo di pensare di un continente? Serviranno a ridare alla donna e al rapporto coniugale la loro dignità e grandezza? Presentare il preservativo come la ricetta contro l’Aids non significa forse proporre una falsa sicurezza, che finisce alla lunga per determinare un aumento dei contagi?
Nel volume Cesare Cavoni scrive: “la Chiesa è da molto impegnata a far fronte all’emergenza generata dal sorgere del virus ma, nello stesso tempo, ha l’ardire di affermare che uno dei metodi da molti considerato ineludibile per impedire il contagio, è in realtà un mezzo non solo fallace ma addirittura peggiorativo della situazione”.
Mentre il dott. Renzo Puccetti spiega: “se davvero si è convinti che mediante la diffusione dei preservativi si possa efficacemente contrastare l’epidemia nel continente africano, allora paesi e istituzioni internazionali avrebbero il dovere di provvedere ad una massiccia intensificazione della quantità di condom donati all’Africa”.
Dagli studi di due ricercatori, James Shelton e Beverly Johnston, apparsi sulla rivista British Medical Journal nel 2001 risulta infatti che nel 1999, 724 milioni di preservativi, di cui oltre 500 milioni derivanti dalle donazioni estere, sono stati messi a disposizione dei paesi sub-africani, dove vivono i due terzi dei 33,2 milioni di persone colpite nel mondo dall’HIV.
È stato calcolato che tale cifra corrisponde ad una provvista annuale di 4,6 preservativi per ogni uomo che vive nella regione di età compresa tra i 15 e i 59 anni. Ipotizzando per ciascuno di essi un rapporto sessuale a settimana, è abbastanza facile comprendere come il numero di preservativi messi a disposizione sia del tutto insufficiente ad assicurare quel livello di protezione che il Papa avrebbe minacciato con le sue parole.
L’insufficienza della copertura della popolazione mediante preservativi è confermata dal rapporto tecnico finale di un gruppo di esperti che sotto l’egida dell’organizzazione inter-governativa Southern African Development Community si è riunita a Maseru, in Lesotho, dal 10 al 12 maggio 2006. Secondo tale rapporto il condom maschile è assicurato solamente al 19% della popolazione sub-sahariana.
L’inefficacia del profilattico è dimostrata da un rapporto pubblicato dalle autorità sanitarie del Distretto di Columbia in cui si scopre che nella capitale degli Stati Uniti, dove l’accesso ai preservativi è indiscutibilmente oltremodo ampio e senza interruzioni, la percentuale di adolescenti e adulti sieropositivi per l’HIV è pari al 3%, un livello nettamente superiore a quell’1% che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) considera la soglia oltre la quale si può parlare di epidemia.
La prevalenza individuata a Washington, seppure anche frutto di un miglioramento della rete diagnostica e delle possibilità terapeutiche, è paragonabile a quella dell’Uganda e di certe zone del Kenia, dove il numero di preservativi disponibili non è certo equivalente.