“E' ora di rimboccarsi le maniche e iniziare a ricostruire il Paese”

Lettera del Rettor maggiore dei Salesiani dopo aver visitato Haiti

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di Nieves San Martín

ROMA, venerdì, 5 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il Rettor maggiore dei Salesiani, padre Pascual Chávez, ha visitato dal 12 al 15 febbraio Haiti, sconvolta dal terremoto del 12 gennaio. Dopo il suo viaggio, ha scritto una lettera ai Salesiani in cui li invita a “rimboccarsi le maniche e iniziare a ricostruire il Paese”.

Fin dal primo giorno del terremoto, padre Chávez ha seguito da vicino la situazione, ma riteneva “necessario, importante e significativo andare personalmente ad Haiti per far sentire la vicinanza, la fraternità e la solidarietà della Congregazione nella persona del Rettor maggiore”, scrive.

“Volevo condividere da vicino la sofferenza e l’incertezza in cui vive la popolazione. Volevo conoscere meglio la situazione di quelle case salesiane che sono rimaste parzialmente o totalmente distrutte, soprattutto quelle della zona di Port-au-Prince, e riflettere con il superiore della Visitatoria e il suo Consiglio sulle opzioni per l’immediato futuro”, sottolinea.

“Sono rimasto sopraffatto dall’ampiezza della distruzione – scrive –, dal paesaggio apocalittico di morte, sofferenza e disperazione”. “Sembra che la città, in quei 28 secondi di durata della tremenda scossa, abbia perso la testa e il cuore. In effetti è proprio così, perché da quel momento c’è un’assoluta mancanza di leadership, e la vita, estremamente mortificata, continua ad andare avanti più per inerzia e lotta per la sopravvivenza che per un’organizzazione sociale che la sostenga e la stimoli”.

Mentre ascoltava le testimonianze dei sopravvissuti, segnala, cercava “di sentire la voce di Dio che, come il sangue di Abele, grida con la voce delle migliaia di morti sepolte nelle fosse comuni o ancora sotto le macerie”.

“Cercavo di ascoltare Dio che stava parlando attraverso il rumore sordo delle migliaia di persone che cercano di vivere nelle tende fornite dagli organismi internazionali o costruite con stracci uniti in qualsiasi modo. Cercavo di aprire le orecchie e il cuore al grido di Dio che si faceva sentire, in mezzo alla rabbia e alla sensazione di impotenza, di quelli che vedono come tutto ciò che avevano costruito – poco o molto – sia svanito nel fumo, nel nulla. Si calcola che le persone rimaste senza un tetto siano tra le 300.000 e le 500.000”.

“In questo caso la distruzione e la morte sono state ancor maggiori a causa della miseria in tutti i sensi”, ha sottolineato.

“Per questo, la sfida oggi non può essere solo rialzare i muri degli edifici, delle case e delle chiese distrutte, ma far rinascere Haiti costruendola in condizioni di vita davvero umana, dove i diritti, tutti i diritti, siano per tutti e non un privilegio di alcuni”.

“Anche se la situazione d’emergenza può durare almeno altri due mesi, se è vero quello che affermano coloro che stanno gestendo questa fase, è giunta l’ora di rimboccarsi le maniche e iniziare a ricostruire il Paese, ancora meglio, di farlo risorgere dalle sue ceneri”, esorta il rettor maggiore dei Salesiani.

“Perché questo sogno diventi realtà, non si parte dal nulla, ma in primo luogo dagli stessi haitiani – afferma –, chiamati più che mai ad essere protagonisti di questa nuova fase della loro storia. Non son soli. Ancor di più, esorta il fatto di vedere numerose organizzazioni (80) seriamente impegnate in questo difficile compito, insieme a moltissime persone di buona volontà desiderose di seminare speranza e di costruire un futuro per il popolo haitiano”.

“Per questo l’apertura delle nostre case, anche se gravemente danneggiate – mi riferisco a quelle dei Salesiani –, per accogliere gli sfollati, con lo sforzo di farli sentire bene pur se in mezzo alla loro tragedia, così come l’organizzazione di questi campi di rifugiati e la scelta di vivere in tende come loro mi hanno infuso una grande gioia e l’orgoglio per i miei confratelli salesiani”, segnala.

Padre Chávez afferma di sentire “la necessità di rinnovare il nostro impegno nella rinascita del Paese, rifondando allo stesso tempo la Congregazione con presenze che rispondano alle aspettative e alle necessità della società haitiana, della Chiesa e dei giovani”, e segnala che “più che alzare nuovamente i muri si tratta di un cambiamento di mentalità”.

In questo senso, spiega, “ha iniziato ad essere eseguito un piano immediato che prevede la riorganizzazione della Visitatoria a tutti i livelli, incluso quello della rifondazione delle opere, della revisione della programmazione pastorale in generale, e in certi ambienti specifici, tenendo sempre presenti, in modo particolare, le necessità della società, della Chiesa e dei giovani”.

Considerando il presente e il futuro, ritiene prioritario “continuare a far funzionare le scuole e i centri giovanili in cui si possano costruire o ricostruire il prima possibile le opere che sono state smantellate. La priorità della cura e dell’istruzione dei giovani è assoluta, tanto più che ciò che è in gioco è la creazione di una nuova cultura, attraverso una nuova educazione, capace di costruire la nuova Haiti”.

Ricorda anche che “il prossimo anno la Visitatoria ‘Beato Felipe Rinaldi’ di Haiti celebrerà il 75° anniversario della presenza nel Paese. Per i fratelli haitiani sarà un autentico giubileo, e il mio desiderio è che già allora possiamo vedere la rifondazione del carisma come un rinnovato dono di Dio per i giovani haitiani”.

Il Rettor maggiore conclude poi la sua lettera affidando “a Maria questa nuova fase della storia. Ella ci guidi per sapere essere all’altezza della sfida. E vi benedica tutti”.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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ZENIT Staff

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