di Mariaelena Finessi
ROMA, mercoledì, 3 marzo 2010 (ZENIT.org).- Credente e al tempo stesso non conformista, lo scrittore e giornalista cattolico Vittorio Messori ha sposato il vangelo perché, semplicemente, era inevitabile. A spiegarlo è stato lui stesso in occasione, il 26 febbraio scorso, di uno dei cosiddetti “Venerdì di Propaganda”, serie di incontri tematici con noti autori, organizzati a Roma dalla Libreria Editrice Vaticana.
Presentando la nuova edizione dell’opera Cose della vita, ultimo dei quattro volumi proposti dalla casa editrice Sugarco – assieme a Pensare la storia; La sfida della fede ed EmporioCattolico -, Messori ha raccontato le ragioni del suo credere, nonostante tutto il peso che la ragione ha avuto nella sua formazione.
Nato a Sassuolo, e laureatosi a Torino con Alessandro Galante Garrone («che non mi ha perdonato di essere diventato cattolico»), pupillo di Norberto Bobbio («il papa del laicismo puro»), dopo la scoperta della fede negli anni universitari, Messori ha dedicato l’attività letteraria alla ricerca della verità del Vangelo. Più di un milione di copie vendute in Italia, il primo dei suoi libri, Ipotesi su Gesù, è stato tradotto in decine di lingue ed è tuttora ristampato.
Molti altri best seller internazionali seguono nel tempo. Basti ricordare il libro intervista con i due ultimi pontefici: Rapporto sulla fede con l’allora Prefetto dell’ex Sant’Uffizio, Joseph Ratzinger, e Varcare la soglia della speranza con Giovanni Paolo II.
Opere a cui si aggiungono appunto i volumi riediti dalla Sugarco, che raccolgono quanto Vittorio Messori ha pubblicato tra il 1987 e il 1992 in “Vivaio”, rubrica ospitata da Avvenire e per il cui titolo il giornalista si è ispirato a Giovanni Papini che, prima di morire, contava di riunire in un libro gli spunti che non avrebbe più potuto sviluppare per il venir meno delle energie e del tempo. Nella rubrica, Messori esamina l’attualità per inquadrarla in una prospettiva di fede che possa spiegarla: «Giudico le idee di tutti – è solito dire -. Non giudico la vita di alcuno».
Un periodo, quello legato a “Vivaio”, «che mia moglie – racconta il giornalista – ricorda come un incubo perché le lettere erano di carta e ne arrivavano talmente tante che una volta il postino minacciò di dimettersi o di stare in sciopero perché non voleva dover portare due borse piuttosto che una soltanto. L’impegno, anche grazie a lei, fu comunque quello di rispondere a tutti e quando la rubrica venne sospesa ricevetti mille lettere di lettori disperati».
Un successo editoriale dovuto alla capacità di Messori di intercettare i dubbi e le domande di tanti cattolici e di altrettanti atei. D’altronde, «l’ateo è un credente – spiega -, si scalda e si dà da fare per dimostrare che Dio non esiste». Di più, «l’ateo è sempre a rischio di conversione» mentre lui, agnostico, non aveva nulla “contro” la religione: «Era una subcultura di cui, semplicemente, non mi occupavo».
Di formazione anticlericale, «alla maniera emiliana», la prima persona cui Messori nel 1976 deve dare conto di questa “folgorazione” è la madre: «L’è roba da pret», spiega la donna alle amiche, non senza «vergogna». In tanti prendono a stupirsi del Messori religioso, eppure dov’è l’utilità per lo scrittore? «Non mi conveniva fare il cattolico. Si trattava di cominciare daccapo. Si trattava di una vera violenza a cui cercai di resistere ma, si sa, l’uomo propone e Dio dispone. Così mi arresi all’evidenza».
Messori, talmente a digiuno di cose sacre che «per cercare la parrocchia – spiega – in cui ricadeva la mia casa, ricorsi alle pagine gialle». Da allora ne ha fatta di strada fino a diventare scomodo, politicamente scorretto. Un episodio per tutti: «A metà degli anni ’70 uscire con un libro come il mio significava al massimo finire nel bancone secondario delle Paoline. Nel bancone primario stavano invece il manuale del buon sindacalista e il Gesù rivoluzionario», quello che i preti proponevano alle persone «che chiedevano invece il pane».
Nessuno si interrogava sulle origini della fede. Piuttosto, il dibattito ruotava intorno alle sue conseguenze e quindi, ad esempio, ci si chiedeva come affrontare i problemi economici alla luce del vangelo. Da apologeta, Messori intese invece spiegare i motivi del credere. «L’apologetica è un dono di Dio, come la ragione, che non deve essere rinnegata. In fondo, l’ultimo passo della ragione sta proprio nel capire che molte cose la superano».