di Anna Bono
ROMA, giovedì, 27 agosto 2009 (ZENIT.org).- La politica del figlio unico è stata inaugurata in Cina nel 1979. Presentata come un progetto di pianificazione familiare secondo quanto previsto e
ammesso dal Piano d’azione per la popolazione varato dalle Nazioni Unite nel 1974, in realtà ha sostituito agli individui e alle famiglie lo Stato attribuendogli il diritto esclusivo di decidere “quanti bambini può avere una famiglia e a che distanza di tempo l’uno dall’altro, in base alle esigenze dello sviluppo economico”.
Da allora in Cina è vietato procreare senza il consenso del governo. Per realizzare la politica del figlio unico è stata istituita una Commissione statale che attualmente impiega 520.000 dipendenti a tempo pieno e oltre 83 milioni part time, chiamati “cellule”, ai quali è data facoltà di organizzare i piani di procreazione, dare la caccia ai trasgressori, infliggere sanzioni pecuniarie e di altra natura, imporre sterilizzazioni e costringere all’aborto le donne disobbedienti, usare a discrezione i mezzi di intimidazione e repressione ritenuti necessari.
Con quali metodi, risultati e conseguenze agisca la Commissione lo documenta il libro del noto dissidente cinese fondatore della Laogai Research Foundation, Harry Wu, intitolato in Italia “Strage di innocenti” e in inglese, per evidenziare la brutalità con cui la politica demografica cinese viene perseguita, “Better ten graves than one extra birth” (Meglio dieci tombe che una nascita fuori piano).
Il solo rifiuto degli obbligatori sistemi contraccettivi comporta multe e la sterilizzazione forzata. Una gravidanza fuori piano può costare la rovina di una famiglia. Se scoperta prima del parto, una madre incinta senza autorizzazione è costretta ad abortire, anche al nono mese, e quindi viene sterilizzata. Se riesce a fuggire, i suoi parenti finiscono in carcere finché non si “costituisce”. Se partorisce e il “reato” viene individuato, oltre alla sterilizzazione e a una sanzione i genitori si vedono sottratto il bambino che spesso è poi lasciato morire. Le cellule inoltre hanno facoltà di ordinare la distruzione dell’abitazione dei colpevoli e la confisca dei loro beni.
Secondo le stime di Pechino, la politica del figlio unico ha impedito la nascita di 400 milioni di persone. Quanto questo abbia giovato all’economia cinese è impossibile dirlo. Invece è possibile quantificare almeno in parte gli enormi costi dell’apparato repressivo cinese: basti pensare che con il bilancio di un solo anno della Commissione statale si potrebbero costruire 26.000 scuole. A ciò vanno aggiunti i danni economici causati alle persone sanzionate per violazioni delle norme di pianificazione, alle vittime di estorsioni e ricatti da parte delle cellule e ai genitori costretti a comprarne la complicità e il silenzio pur di avere un figlio non pianificato. Gli oneri finanziari complessivi vanno inoltre valutati alla luce del fatto che il più economico ed efficace dei controlli demografici è in realtà lo sviluppo economico e sociale che induce le famiglie a ridurre spontaneamente il numero dei figli.
Ma i costi della politica del figlio unico sono ben altri ancora. Innanzi tutto, la salute di milioni di donne è stata ed è minata dagli “interventi contraccettivi” forzati. L’invecchiamento della popolazione è un secondo grave problema. Nel 2030 il 23% dei cinesi avrà tra 60 e 65 anni e gli over 65 saranno il 16%: ci si comincia a domandare come sarà possibile provvedere a così tanti anziani e come ovviare al costante calo percentuale della forza lavoro. Già adesso la maggior parte dei coniugi figli unici devono provvedere a quattro genitori e a otto nonni per lo più privi di assistenza pubblica. Un altro problema sociale non previsto è il crescente divario tra le nascite di maschi e di femmine – ormai 119 su 100 – determinato dalla decisione di molti genitori, specie al primo parto, di abortire le figlie indesiderate o di ucciderle subito dopo la nascita per avere il permesso di una seconda gravidanza che porti il desiderato maschio.
Effetti “collaterali” della pianificazione demografica cinese sono poi il frequente abbandono dei neonati e il traffico in crescita delle donne comprate o rapite nei paesi vicini per venderle come mogli agli uomini cinesi in esubero.
Per finire vi è il danno morale incalcolabile di una consuetudine all’illegalità e alla corruzione, l’abitudine alla delazione sollecitata dalle cellule a caccia di trasgressori e il clima di diffidenza che contamina i rapporti tra vicini di casa e parenti.
Tuttavia, come denuncia Harry Wu nel suo libro, questa “strage di innocenti” documentata e innegabile non impedisce alle Nazioni Unite, tramite l’Unfpa, il Fondo per la popolazione e lo sviluppo, di sostenere la politica demografica cinese pretendendo che la pianificazione delle nascite sia accettata dalla popolazione volontariamente e che non si verifichino violazioni dei diritti umani. Nel 1983 la Cina ha persino ricevuto il premio ONU per la popolazione per aver “dato il più evidente contributo alla consapevolezza dei problemi demografici”.
Harry Wu, “Strage di innocenti, La politica del figlio unico in Cina”, (Guerini e Associati, Milano, 2009, pp.185)