ROMA, venerdì, 21 agosto 2009 (ZENIT.org).- La morte di oltre 70 immigrati che cercavano di raggiungere la Sicilia rappresenta una “grave offesa all’umanità e al senso cristiano della vita” ha detto all’Adnkronos mons. Bruno Schettino, Presidente della Commissione episcopale per le migrazioni e Arcivescovo di Capua.
Secondo il racconto di cinque superstiti di nazionalità eritrea, tra cui una donna, soccorsi giovedì al largo di Lampedusa, la loro imbarcazione sarebbe salpata parecchio tempo fa e dopo due giorni il timoniere avrebbe perso la rotta, lasciandoli in balia del mare per oltre venti giorni.
In questi giorni diverse imbarcazioni li avrebbero avvistati ma solo un peschereccio si sarebbe fermato per dar loro un po’ di acqua e di pane, senza però lanciare l’allarme. 73 immigrati sarebbero così morti di stenti e i loro corpi gettati in mare.
Quello che si percepisce da questa vicenda, ha affermato mons. Schettino, è “un senso di povertà dell’umanità, non c’è attenzione verso l’altro, verso gente che è in fuga dalla guerra, dalla miseria, dalla povertà in cerca di serenità e di pace”.
“È una morte assurda – ha sottolineato – donne bambini innocenti gettati in mare, è il senso dell’uomo che decade, urge l’impegno dei cristiani di attivarsi concretamente verso coloro che soffrono, il problema è umano prima che politico”.
In una intervista alla Radio Vaticana, il Vescovo di Agrigento, mons. Francesco Montenegro, ha detto che “’non dobbiamo spaventarci’ davanti ai grandi numeri perché ci sono altri piccoli numeri a cui nessuno fa caso e il Mar Mediterraneo è diventato una tomba, ormai”.
Il presule ha poi aggiunto di provare “dolore nel vedere che gli uomini, per poter vivere, debbano affrontare la morte e devono morire perché hanno voglia di vivere un po’ meglio e un po’ di più”.
In merito alla politica dei respingimenti del governo sancita dal trattato tra Italia e Libia entrato in vigore il 14 maggio scorso, e dalla normativa che rende illegale l’immigrazione clandestina, il Vescovo di Agrigento ha quindi definita “assurda una legge che chiude porte e finestre e non tenga conto della situazione e della sofferenza di tanta gente”.
Per il presule il timore di soccorrere queste navi non è altro che “il frutto della cultura dell’allontanamento e della non-accoglienza”; “a furia di respirare quest’aria, si assumono questi atteggiamenti”.
“Ma è la filosofia e la politica che si stanno portando avanti – ha osservato – : creare un clima di paura, e questo assicura che loro possono morire come animali in mezzo al mare e noi abbiamo risolto i nostri problemi”.
“I diritti umani, perché ci sono? Perché festeggiamo gli anniversari dei diritti umani che dicono che un uomo ha diritto a spostarsi quando la vita non gli è possibile o quando la politica non gli permette una vita serena?”, si è quindi chiesto.
Nel fargli eco lo stesso Vescovo di Mazara del Vallo, mons. Domenico Mogavero, in un’intervista pubblicata dal quotidiano “Liberazione”, ha osservato che i marinai che incontrano le navi dei clandestini hanno paura di aiutarli perché temono di venire “incriminati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.
“Il Mediterraneo è un mare pattugliatissimo – ha affermato –, mi pare difficile che nessuno si accorga del barcone. Questo probabilmente è il massimo di tolleranza permesso, e cioé fingere di non vedere”.
Dalle pagine del quotidiano dei Vescovi italiani, “Avvenire”, Marina Corradi ha ribadito che “nessuna politica di controllo della immigrazione consente a una comunità internazionale di lasciare una barca carica di naufraghi al suo destino”.
“Esiste una legge del mare – ha aggiunto –, e ben più antica di quella pure codificata dai trattati. E questa legge ordina: in mare si soccorre. Poi, a terra, opereranno altre leggi: diritto d’asilo, accoglienza, respingimento. Poi. Ma le vite, si salvano”.
“E invece quel barcone vuoto – non il prmo arrivato come un relitto di morte alla soglia delle nostre acque – dice del farsi avanti, tra le coste africane e Malta, di un’altra legge”, “la nuova legge del non vedere”, si legge nell’editoriale di “Avvenire”.
Durante il nazismo quando venivano deportati gli ebrei, ha sottolineato la Corradi, “erano il totalitarismo e il terrore, a far chiudere gli occhi. Oggi no. Una quieta, rassegnata indifferenza, se non anche una infastidita avversione, sul Mediterraneo. L’Occidente a occhi chiusi”.