ROMA, mercoledì, 24 giugno 2009 (ZENIT).- Il drammatico fenomeno delle nuove schiavitù, purtroppo in costante espansione, ha origine nelle disparità economiche tra Paesi diversi e all’interno di uno stesso Stato.
Lo ha affermato l’Arcivescovo Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale dei Migranti e degli Itineranti, intervenendo venerdì 19 Giugno a Roma al Convegno del Consiglio Nazionale Forense sul tema “La difesa dei diritti umani e il ruolo della professione legale”.
Nel suo discorso, intitolato “Migrazione e nuove schiavitù”, il presule ha innanzitutto ricordato che i migranti internazionali sono più o meno 200 milioni. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) si occupa di circa 32,9 milioni di persone, di cui 9,9 milioni sono rifugiati, 12,8 milioni sfollati interni che ricevono assistenza umanitaria sia specifica sia attraverso altri interventi in cui l’UNHCR è agenzia leader o partner, 5,8 milioni risultano apolidi. Altri 4,2 milioni di rifugiati ricadono sotto l’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente).
I migranti, ha osservato, possono purtroppo cadere vittima di varie forme di nuova schiavitù, soprattutto della tratta di esseri viventi, definita dalle Nazioni Unite come il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’alloggio o l’accoglienza di persone con mezzi impropri come minaccia, ricorso alla forza o ad altri mezzi di coercizione, sequestro, frode, inganno, abuso di potere o stato di vulnerabilità “a scopo di sfruttamento”. Ciò include anche la prostituzione o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato, la schiavitù e perfino l’asportazione di organi.
Secondo il rapporto globale dell’International Labour Organization (ILO) sul lavoro forzato, le persone che vivono in condizioni di schiavitù sono almeno 12,3 milioni, anche se per Kevin Bales, autore di Disposable People: New Slavery in the Global Economy, la stima sale a circa 27 milioni.
Per l’ILO, ha ricordato monsignor Marchetto, ci sono tre tipi di schiavitù moderna: quella imposta dallo Stato, quella che rientra nell’ambito del commercio sessuale organizzato da privati e lo sfruttamento economico anch’esso operato da privati.
Nella prima categoria sono inclusi “i lavori forzati imposti dalle forze armate, la partecipazione obbligatoria ai lavori pubblici, e il lavoro penitenziario forzato [non soltanto nei campi di prigionia ma anche]… nelle moderne prigioni semi o completamente privatizzate”, così come il reclutamento forzato di soldati, soprattutto di bambini; nella seconda sono comprese “le persone che sono entrate, contro la loro volontà, nella prostituzione o in ogni altra forma di attività sessuale a scopo di lucro, o che, essendovi entrate volontariamente, non possono più affrancarsene. Vi sono ugualmente inclusi i bambini costretti a forza alla pratica di attività sessuali a fini commerciali”.
La terza categoria ingloba infine “ogni tipo di lavoro forzato non a fini sessuali imposto da privati per sfruttamento economico”, come “la servitù per debiti, il lavoro domestico forzato o i lavori forzati in agricoltura e in zone rurali remote”.
Di fronte alle moderne forme di schiavitù “la Chiesa non è rimasta indifferente o silenziosa”, ha dichiarato l’Arcivescovo.
Per questo, ha sottolineato più volte “il bisogno di solidarietà nelle comunità cristiane e tra le congregazioni religiose, i movimenti ecclesiali, le nuove comunità e le istituzioni e associazioni cattoliche al fine di combattere questa piaga della società e venire in aiuto alle vittime”.
La Chiesa, ha ricordato, “è impegnata in vari Paesi nell’assistenza alle vittime della tratta, con presenza tra di loro, con l’ascolto, l’aiuto, il sostegno per sfuggire alla violenza sessuale, creando alloggi sicuri, aiutandoli ad integrarsi nella società del paese ospitante o a tornare nella propria terra d’origine in maniera sostenibile”.
“Nei Paesi in cui c’è un’esplosione di conflitti violenti – ha aggiunto –, essa si occupa anche del recupero dei bambini soldato mediante attività per favorire il loro reinserimento socio-economico nella società, ma anche per sanare le ferite di questi ex combattenti e delle famiglie e/o comunità che li ricevono”.
Per il presule, “la causa principale di questo orrendo fenomeno delle nuove forme di schiavitù è anzitutto l’enorme divario economico esistente tra Paesi ricchi e poveri e tra ricchi e poveri all’interno di uno stesso Paese e che spinge molta gente a lasciare, in un modo o nell’altro, la propria terra alla ricerca di opportunità migliori all’estero”.
Per questo, ha esortato “ogni persona di buona volontà a rispondere al vigoroso appello dell’Istruzione Erga migrantes caritas Christi ad ‘essere promotori di una vera e propria cultura dell’accoglienza’ (n. 39) e, per i cristiani, a rispondere all’invito di San Paolo ‘accoglietevi perciò gli uni gli altri come Cristo accolse voi, per la gloria di Dio’ (Rm 15:7) (n. 40)”.
Allo stesso modo, ha rivolto un appello “all’intera Chiesa del Paese di accoglienza a sentirsi interessata e mobilitata nei confronti dei migranti” e a trovare “il modo adeguato di creare nella coscienza cristiana il senso dell’accoglienza, specialmente dei più poveri ed emarginati, come spesso sono i migranti”.
Un’accoglienza, ha concluso, “tutta fondata sull’amore a Cristo”, “nella certezza che il bene fatto al prossimo, particolarmente al più bisognoso, per amore di Dio, è fatto a Lui stesso”.