La circolarità tra fede e cultura, chiave di una grammatica comune

Si è concluso a Venezia l’incontro della rete internazionale di Oasis

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ROMA, martedì, 23 giugno 2009 (ZENIT.org).- Con un appello a partire dall’interdipendenza tra fede e cultura per trovare una grammatica comune attraverso cui dialogare, si è chiusa a Venezia questo martedì la due giorni di incontri del Comitato scientifico internazionale della Fondazione “Oasis”.

Settanta persone di venti paesi diversi sono tornate a riunirsi per il meeting annuale di questa fondazione nata su intuizione del Patriarca di Venezia, il Cardinale Angelo Scola, per riflettere sul tema “Interpretare le tradizioni al tempo del meticciato”.

Una rete internazionale di rapporti, un “soggetto comunitario”, che dal 2004 lavora su due ambiti: l’analisi culturale e l’approfondimento delle questioni brucianti poste dal processo storico in atto chiamato “meticciato di civiltà e culture” e lo scambio reciproco di testimonianze che scaturiscono dall’appassionato sguardo di fede sulla realtà.

Chiudendo la due giorni di lavoro il Patriarca di Venezia è tornato a definire ciò che più sta a cuore al lavoro di Oasis: “Il bene primario di Oasis – ha rilevato – è la rete delle nostre relazioni, cioè il soggetto Oasis, la rete di amicizia nata dal basso all’interno delle nostre Chiese”.

Tale rete di rapporti, chiamata dalla realtà a incontrare gli Islam, ha scelto come modalità di conoscenza e relazione – ha spiegato ancora il Patriarca – quella di passare attraverso l’esperienza dei cristiani che vivono in Paesi a maggioranza musulmana.

A questo fattore e stile di lavoro si è aggiunto negli anni un dato che sta esplodendo: la necessità di ridestare di più i cristiani d’Europa e Usa alla conoscenza dell’Islam presente in Occidente.

A questo scopo e lavoro concorrono tutti gli strumenti della Fondazione: la rivista semestrale cartacea, la newsletter, il sito internet (www.oasiscenter.eu), gli eventi pubblici, le ricerche e i libri.

Infine, il Patriarca ha osservato che il soggetto comunitario Oasis sta rivelando una tale ricchezza di analisi e racconto che deve accettare di usare una grammatica comune dentro la quale ognuno si esprima con la sua lingua.

“La chiave di lettura – ha sottolineato il Cardinal Scola – è la circolarità tra fede e cultura: la fede in un Dio che è sempre presente nella storia si esprime in una cultura, un’interpretazione dell’esperienza umana. E a sua volta la cultura interpreta la fede”.

“Ecco perché la categoria dell’inevitabile interpretazione che instaura il circolo fede-cultura può diventare un altro passo della grammatica comune”, ha aggiunto.

Nell’intervento d’apertura il Patriarca Scola aveva chiarito che “l’oggetto proprio del nostro lavoro non è direttamente né lo studio dell’Islam né quello dei Cristianesimi orientali e neppure il dialogo interreligioso stricto sensu, ma la lettura del processo di meticciato di civiltà, nel quale entrano in gioco sia gli Islam, sia i cristianesimi orientali, sia naturalmente le diverse tradizioni dell’Occidente”.

Il porporato aveva poi spiegato che Oasis “è chiamata ad un approfondimento del ruolo delle tradizioni nel tempo del meticciato di civiltà come luogo dell’inevitabile interpretazione di ogni fede. Queste interpretazioni sono oggetto di continuo racconto e dialogo tra i soggetti che abitano le nostre società plurali”.

Nel suo intervento, Michel Cuypers, membro dell’Ideo (Istituto domenicano di Studi Orientali) del Cairo, ha detto che “al cuore della crisi attuale dell’Islam” vi sono “le differenti concezioni dei musulmani rispetto alla Tradizione” e che “accanto alla maggioranza ortodossa sunnita esiste anche un Islam sciita con una sua Tradizione” che però “non si riferisce allo stesso corpus né alle stesse catene di trasmettitori”.

Quindi, se “da una parte alcune istituzioni ufficiali perpetuano” le posizioni “classiche” nei confronti della Tradizione, ha rilevato l’esperto, dall’altra “emerge una corrente riformista” volta a far sì che “l’Islam trovi la sua identità e indipendenza in un mondo moderno in piena mutazione”.

Essa, ha continuato, si sviluppa in “due direzioni divergenti: un neo-fondamentalismo legalista e conservatore, e un modernismo laicista che abbandona la Tradizione come fonte normativa” e guarda unicamente al Corano.

Questo modernismo, che libera “dalle maglie della Tradizione, permette di ipotizzare – secondo lo studioso – una nuova esegesi del Corano oggi richiesta da alcuni intellettuali musulmani”, ma pone questi intellettuali “ai margini della corrente generale dell’Islam, che resta massicciamente legata alla Sunna come norma di fede e legge, organicamente connessa al Corano”.

Si comprende per Cuypers così che le differenti concezioni dei musulmani rispetto alla Tradizione possano causare una crisi nell’Islam.

La costruzione di “un Islam di Francia” e la necessità di “una adeguata formazione degli imam” è stato, invece, il cuore dell’intervento di Azzedine Gaci, presidente del Consiglio Regionale del Culto musulmano (Crcm) per la regione Rhône Alpes in Francia.

“I musulmani di Francia (circa sei milioni) – ha detto – stanno tentando di costruire un ‘Islam di Francia’” ma esso deve “avere una triplice indipendenza”: essere “libero da influenze straniere; indipendente politicamente, finanziariamente e intellettualmente; praticato liberamente”.

“I musulmani di Francia, e in particolare i giovani – ha osservato Gaci – hanno bisogno di imam che li comprendano, siano come loro impregnati di cultura francese, della sua organizzazione e delle sue tradizioni, parlino la loro lingua” e siano al tempo stesso capaci di “un’interpretazione profonda e autentica dei testi fondativi e di un’adeguata analisi della situazione sociale, politica ed economica”.

Agli uomini dell’Islam degli Stati Uniti è stato dedicato l’intervento della sociologa dell’Università di Chicago, Malika Zeghal, che ha descritto come l’Islam stia trovando il suo spazio nella società americana e si stia aprendo alle altre fedi e al pubblico, trasformandosi senza tuttavia smarrire la propria identità.

In particolare per la Zeghal è la nuova generazione di musulmani americani, nati e formati negli Stati Uniti, che sta mettendo in discussione l’apologetica e il letteralismo islamici, contestando “la contrapposizione Occidente-Islam” e criticando “il paradigma dello scontro di civiltà”.

La sociologa ha quindi affermato che i musulmani hanno utilizzato “la lingua della religione americana” che ha agito come un idioma di mediazione e ha permesso loro di entrare nella pubblica piazza.

Da questo punto di vista, inoltre, gli interventi del presidente Barack Obama hanno offerto segnali concreti nel senso di percepire “la presenza della religione come una componente legittima nella sfera pubblica”.

Ha portato il suo contributo ai lavori di Oasis anche il Cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, che ha sottolineato come “cristiani e musulmani, siamo tutti ‘condannati’ al dialogo”.

“L’Islam fa paura – ha osservato il Cardinale –. Per molti esso si riduce al fanatismo, alla guerra santa, al terrorismo, alla poligamia, al proselitismo”, ma “non bisogna averne paura” “perché ciò che incontriamo non è un sistema religioso, ma uomini e donne che condividono con noi lo stesso destino” come “compagni d’umanità. Eccoci tutti ‘condannati’ al dialogo!”.

Diversi, secondo il Cardinale Tauran, gli elementi di separazione tra cristianesimo e Islam: “il rapporto con la Scrittura; il concetto di rivelazione; la figura di Gesù; la Trinità; l’uso della ragione; la preghiera”.

Tuttavia vi è molto in comune: “l’unicità di Dio; la sacralità della
vita; la necessità di trasmettere i valori morali alle giovani generazioni; l’insegnamento della religione nell’educazione”.

Il Cardinale Tauran ha inoltre indicato i passi avanti compiuti grazie anche al Magistero di Benedetto XVI, e le difficoltà che sussistono: “I responsabili musulmani più illuminati non arrivano a far ammettere ai loro correligionari il principio della libertà di cambiare religione secondo coscienza”.

Tuttavia, ha tenuto a precisare, “nessun segnale positivo da parte dell’Arabia Saudita è stato dato per quanto riguarda la possibilità d’ottenere un locale per la celebrazione della Messa domenicale per i quasi due milioni di cristiani residenti nel Paese”.

“La difficoltà principale è che se troviamo nei nostri interlocutori un clima di disponibilità, non riusciamo a farlo scendere nella base – ha proseguito – . Spesso a livello delle masse c’è ancora diffidenza e ostilità”.

“C’è – ha infine concluso – un solo futuro possibile: un futuro condiviso. Lo si costruisce in famiglia, a scuola, in chiesa, in moschea. Io insisto soprattutto con la scuola perché è lì che si costruisce realmente il futuro”.

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ZENIT Staff

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