Il Beato Angelico: trasmettere la bellezza di Dio con il pennello

A Roma, l’esposizione più importante degli ultimi tempi dell’artista domenicano

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di Carmen Elena Villa

ROMA, lunedì, 15 giugno 2009 (ZENIT.org).- Roma ospiterà fino al 5 luglio ai Musei Capitolini l’esposizione più importante degli ultimi tempi sul Beato Angelico.

Con il titolo “Beato Angelico, l’alba del Rinascimento”, l’esposizione mostra come la preghiera possa diventare motivo di ispirazione per l’artista.

Il Beato Angelico nacque come Guido di Pietro da Mugello. Entrando nell’Ordine domenicano il suo nome divenne Giovanni da Fiesole.

Alcuni anni prima della sua morte, nel 1455, i suoi confratelli iniziarono a chiamarlo Beato Angelico – anche se venne beatificato solo nel 1982 – per la fama di santità con cui morì e perché dicevano che le sue opere riflettevano tanta serenità da sembrare dipinte da angeli.

Ricevette il titolo “Angelico” per il valore teologico di tutti i suoi dipinti. Diceva di ispirarsi alla dottrina teologica di San Tommaso d’Aquino (1225-1274), detto anche il Dottore Angelico.

Per il Beato Angelico, il pennello, le tele, le pale o le pareti su cui plasmava le sue opere diventavano l’areopago in cui annunciava il Vangelo. I brani biblici dell’Antico e del Nuovo Testamento e le vite di grandi santi (tra cui San Pietro, San Paolo, San Francesco d’Assisi, Santa Caterina da Siena, San Domenico) erano per lui fonti di grande ispirazione.

“Molti dipinti del Beato Angelico sono stati destinati alla devozione, alla meditazione e alla contemplazione privata”, ha detto a ZENIT lo storico dell’arte Antonio Giordano, docente dell’Università Popolare di Roma (UPTER).

Il professor Giordano sottolinea “la monumentalità delle sue figure, lo splendore dei suoi colori, la grazia dei suoi volti, soprattutto quelli della Vergine e degli angeli. E poi la solennità dei suoi santi e la testimonianza dei martiri”.

L’arte sacra è stata l’unico tema utilizzato dal frate domenicano, ordinato sacerdote verso il 1418. La vita e le virtù dei martiri Santo Stefano e San Lorenzo sono i motivi degli affreschi che ornano la cappella Nicolina, situata nei Musei Vaticani, dipinta su incarico di Papa Niccolò V.

Secondo Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, questa, che fu la cappella privata del Pontefice, passa spesso inosservata alle migliaia di turisti e pellegrini che vogliono solo vedere gli affreschi della Cappella Sistina. Nonostante questo, costituisce una delle perle della storia della pittura universale.

I suoi biografi affermano che il Beato Angelico non prendeva mai in mano il pennello senza aver prima recitato una preghiera. Quando dipingeva i crocifissi o il volto sofferente di Gesù durante la Passione, piangeva di commozione per la sua grande bontà e la sua sensibilità.

Il Beato Angelico dipinse anche il Convento di San Marco su incarico di Papa Eugenio IV. Nel 1446 il Pontefice gli propose di essere Vescovo di Firenze, ma l’artista non se ne sentì degno e declinò l’offerta, dicendo che doveva obbedire in primo luogo ai superiori della sua comunità.

Malgrado il suo enorme talento, che ha lasciato una profonda impronta nella storia della pittura nel periodo di transizione dal Tardo Medioevo al primo Rinascimento, non dipinse mai un autoritratto.

Non gli importava di essere ricco. “Diceva che la vera ricchezza non era altro che accontentarsi di poco”, ha scritto l’artista Giorgio Vasari, seguace del Beato Angelico, quasi un secolo dopo la sua morte.

La sua opera più famosa è l’Annunciazione, che si trova al Museo del Prado di Madrid. Non è comunque l’unico dipinto che ritrae l’incontro di Maria con l’Angelo Gabriele.

Nella mostra di Roma (la più grande esposizione sul Beato Angelico dal 1995) si trova anche la pala dell’Annunciazione che in genere si può ammirare nel convento di Santa Maria delle Grazie di Milano.

Alle spalle dell’Angelo c’è una finestra nella quale si trovano Adamo ed Eva. Qui il Beato Angelico lascia capire con il pennello come Maria sia la Nuova Eva, che con il suo “sì” all’Angelo porta all’umanità la redenzione negata da Eva disobbedendo a Dio.

Sotto questa grande immagine si trovano in formato ridotto alcuni dipinti che mostrano come nel corso della sua vita Maria abbia ripetuto il “sì” dell’Annunciazione: il suo matrimonio con Giuseppe, la visita alla cugina Elisabetta, l’adorazione dei pastori e la presentazione di Gesù al tempio.

In altri dipinti vengono rappresentate alcune scene della vita quotidiana della Vergine. Molte di queste sono intitolate “La madre dell’umiltà” e Maria vi appare semplice, con un volto dolce ed espressivo, con il Bambino Gesù.

“La Madonna è vista sempre da fra Giovanni come Theotokos [Madre di Dio] o Regina Coeli [Regina del Cielo]”, ha detto il professor Giordano, aggiungendo che il Beato Angelico mostra Maria “come una madre dolcissima mentre abbraccia il Bambino”.

La tomba del Beato Angelico si trova nella Basilica di Santa Maria Sopra Minerva, vicino al Pantheon, nel cui convento l’artista morì nel 1454. Lì riposano anche i resti di Santa Caterina da Siena.

Papa Giovanni Paolo II, nel motu proprio che scrisse per la sua beatificazione, affermò che le sue opere “sono frutto di somma armonia tra la vita santa e la forza creatrice che agiva in lui”, opere che esortano l’uomo a contemplare “le cose divine”.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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ZENIT Staff

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