ROMA, giovedì, 11 giugno 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito un articolo apparso sul dodicesimo numero di Paulus (giugno 2009), dedicato al tema “Paolo il teologo”.
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di Graziano Motta
Sembra incredibile: mai, finora, degli archeologi avevano scavato nell’area di un monastero a Roma. Ragion per cui le indagini condotte nel 2007-08 in una parte dell’orto dell’Abbazia benedettina di San Paolo fuori le Mura hanno suscitato non poco interesse nel mondo scientifico. Non solo per la particolarità del territorio ove si sono svolte – tra il Tevere e la via Ostiense, ricco di testimonianze storiche – ma anche per le prevedibili acquisizioni di dati di ogni genere in un arco di tempo di quasi due millenni. Nell’area in questione (61×22 m) esisteva, nei primi secoli dell’èra cristiana il cimitero in cui fu sepolto san Paolo. Sulla sua tomba furono edificate prima la piccola chiesa costantiniana, poi la monumentale Basilica teodosiana presso cui si stabilirono alcuni insediamenti monastici femminili e maschili dedicati ai santi Stefano e Cesareo prima del secolo VII. In seguito si svilupparono, inoltre, infrastrutture per l’accoglienza dei pellegrini, basti ricordare il Portico lungo 14 stadi – quasi tre chilometri – che si dipartiva dalla Porta Ostiense delle Mura Aureliane fino alle case per i poveri fatte erigere dal pontefice Simmaco (499-514). Senza dimenticare le opere edificate per la difesa del territorio, come il borgo fortificato detto Johannipolis, perché costruito sotto papa Giovanni VIII (872-882). L’indagine archeologica è stata condotta dai Musei Vaticani e dal Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana sotto la responsabilità, rispettivamente, dei professori Giorgio Filippi e Lucrezia Spera, con i contributi dell’Amministrazione della Basilica, del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e dei suoi Patrons of the Arts, oltre al successivo coinvolgimento di alcune Università italiane. La presentazione dei risultati è avvenuta il 1° aprile nel contesto di una “giornata di studio” presso la gremita Aula Magna del Pontificio Istituto.
Sulle orme della città-monastero
Sono stati più di ventimila i reperti recuperati dall’area di scavo dall’équipe, composta soprattutto da giovani studiosi coordinati da Monica Ricciardi e Leonardo Di Blasi, autori di un’attentissima relazione sui depositi archeologici. Infatti ogni reperto – anche di dimensioni minime – è stato studiato dai partecipanti allo scavo, i quali ne hanno stabilito epoca, struttura e appartenenza. Così un gruppo di dottorandi del Pontificio Istituto ha potuto fornire il resoconto delle strutture murarie emerse e illustrare le pratiche del reimpiego di materiali marmorei più antichi nelle murature medievali. Chiara De Santis ed Emanuela Fresi (Università La Sapienza, Roma) sono risalite all’identificazione del vasellame in uso nel monastero attraverso i secoli – brocche, olle, anforette, ciotole, boccali…, – dall’esame di oltre tredicimila frammenti ceramici. Un’operazione analoga, ma sui resti animali, è stata compiuta da Jacopo De Grossi Mazzorin (Università del Salento) consentendogli di stabilire su quale genere di allevamento si basasse l’economia del monastero e dell’intero borgo costituitosi attorno. Romina Ciaffi (Università Tor Vergata, Roma) ha compiuto lo studio antropologico e paleontologico sulle sepolture medievali rinvenute, stabilendo l’età approssimativa e la conformazione fisica di due adulti e di un ragazzo; i primi sono risultati impegnati in un’intensa attività fisica e uno affetto dalla “sindrome del cavaliere”. Sono riaffiorati pure un sigillo su laterizio di papa Adriano I (772-795), alcune monete del secolo IX e una decina di frammenti dell’area sepolcrale romana che hanno consentito a Umberto Utro – direttore del Museo Pio Cristiano presso i Musei Vaticani e docente alla Pontificia Università Gregoriana – di stabilire a quale tipologia di sarcofago paleocristiano potessero ricondursi. Uno di questi frammenti, che raffigura l’arresto di san Pietro fra due soldati, è stato assunto a emblema dell’indagine archeologica, che è stata accompagnata dal vasto studio delle fonti letterarie, condotto da Lucrezia Spera, nel contesto di una didattica sviluppata nel Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana. Relazione avvincente, la sua, per l’importanza delle testimonianze documentarie e per il raccordo con le vicende del loro tempo, in particolare intorno alla Johannipolis. L’interesse dei partecipanti al convegno si è concentrato proprio attorno alla cittadella-monastero, dopo gli interventi di Chris Wickham (University of Oxford), fra i più illustri studiosi della Roma medievale, e di Ilenia Gradante sulle fonti epigrafiche relative, appunto, alla Johannipolis. I risultati più significativi dello scavo nell’Orto dell’Abbazia hanno soprattutto gettato luce proprio sulla configurazione urbanistica di questo borgo: un agglomerato di case, strutture di servizio e impianti destinati alla produzione, dominato dall’importante presenza del monastero paolino, di cui finora non era nota alcuna traccia archeologica. Dal sottosuolo sono emersi un lungo portico a colonne di collegamento con il quadriportico della Basilica, che gli archeologi propongono di datare intorno alla metà del secolo VIII. Ci sono quindi noti solo pochi ambienti di quel vasto complesso, nato per la cura della tomba apostolica in età carolingia. La sua importanza suscitò grande interesse da parte di Carlo Magno, che più volte presentò ai papi Adriano I e Leone III offerte in denaro per una sua completa ricostruzione, acquisendo ben presto la configurazione di un grande centro di cultura e di spiritualità. Per questo, a causa della minaccia costituita dai frequenti assalti dei Saraceni alla fine del secolo IX, il papa Giovanni VIII ritenne necessario pensare ad una protezione adeguata per il nobile villaggio dell’Ostiense, come pure aveva fatto il suo predecessore Leone IV intorno alla Basilica Vaticana, solo pochi decenni prima. E come la fortezza della civitas leoniana aveva garantito la sussistenza del santuario di san Pietro, salvaguardando tutti gli edifici che vi erano sorti intorno, così l’articolata struttura difensiva del “castello” di san Paolo, con torri e mura merlate, avrebbe trasformato il sito in una vera roccaforte, rendendolo un importante avamposto della città per tutto il Medioevo.
Un’indagine orientata al futuro
Il convegno – concluso dalle riflessioni di Federico Marazzi (Istituto universitario Suor Orsola Benincasa, Napoli) sui rapporti tra papato e monarchia carolingia e sul rinnovamento cluniacense dell’Ordine benedettino – ha ricevuto poi un sorprendente coronamento. Il cineasta Piotr Dziubak, infatti, ha realizzato un interessante documentario sulle indagini archeologiche nel complesso di San Paolo, intitolato La città monastero (di Paolo e di Giovanni VIII) sul fiume. Concludendo, va ricordato che quest’indagine archeologica è stata promossa in vista della realizzazione nell’area contigua alla Basilica di alcuni servizi finora inesistenti e tuttavia necessari per lo svolgimento delle attività religiose, culturali ed ecumeniche. Con l’indizione dell’Anno Paolino e la restituita visibilità del Sepolcro di San Paolo, infatti, i pellegrinaggi sono aumentati costantemente e si è avvertita l’urgenza di concretizzare un progetto di opere edilizie, approvato dal Santo Padre, che da un lato valorizzi la memoria del passato, ma dall’altro possa migliorare le strutture di accoglienza. Ospiterà iniziative pertinenti alla storia, alle tradizioni e alle finalità assegnate alla Basilica nel tempo; e in particolare quelle tese all’animazione del cammino per l’unità dei cristiani.