di Antonio Gaspari
ROMA, giovedì, 4 giugno 2009 (ZENIT.org).- Il 29 maggio si è conclusa a Roma l’Assemblea dell’Unione dei Superiori Generali (USG) dedicata all’approfondimento e alla riflessione sul tema “Cambiamenti geografici e culturali negli Istituti di vita consacrata: sfide e prospettive”.
Di fronte ai rappresentanti dei diversi ordini religiosi, don Pascual Chávez Villanueva, SDB, Presidente dell’USG, ha rilevato la crescita del divario tra il Nord e il Sud, con i sui accelerati processi di trasformazione, che vanno dalla drastica diminuzione demografica in alcune parti all’ondata inarrestabile del fenomeno migratorio, dal progresso tecnico e scientifico crescente alle nuove sensibilità verso la cura del creato e la difesa della dignità della persona, dalla nuova organizzazione sociale alle politiche degli stati.
I delegati dell’USG hanno valutato le conseguenze di questi cambiamenti nella Chiesa e nella vita consacrata; in particolare si sono concentrati sull’interculturalità, considerando gli apporti della formazione di fronte ai nuovi orizzonti.
Il Presidente dell’USG ha spiegato che “la Chiesa va compresa alla luce del suo impegno permanente a superare le frontiere e a raggiungere tutti in ogni luogo e tempo”.
A questo proposito ha ripreso le parole del Cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, S.D.B., secondo cui “per molto tempo, noi cristiani abbiamo vissuto con un’immagine assai statica della geografia. Questa immagine è cambiata, nel senso che il centro di gravità della Chiesa non si trova più a nord, bensì a sud, poiché il 75% dei cristiani vive in Asia, Africa e America”.
Per questo motivo, secondo don Chávez Villanueva “accanto alla geopolitica e alla geo-economia, è necessario che la Chiesa e la vita consacrata considerino la nuova geo-evangelizzazione e la nuova geo-vita religiosa”.
Il Presidende dell’USG ha sottolineato che “raccogliendo queste sfide, la vita consacrata, che continua ad essere sempre attuale e viva, è chiamata ad essere una “lettera di Cristo”, cioè una testimonianza reale e autentica del Signore Gesù e del suo vangelo”.
L’assemblea ha preso atto che in un mondo globalizzato anche la vita consacrata sta diventando sempre più multiculturale, non solo per i diversi contesti di evangelizzazione dove opera, ma anche per la sua stessa fisionomia interna.
E questa nuova realtà interpella i religiosi e le religiose a dare risposte concrete, perché – ha affermato il Presidente dell’USG – “il loro modo di vivere insieme nelle comunità continui ad essere segno e testimonianza di comunione per la stessa missione e lo stesso carisma”.
In questo contesto, per don Chávez Villanueva, “le realtà fondamentali della vita consacrata richiedono di essere ripensate in prospettiva interculturale” che ha “come punto di partenza la centralità della comune testimonianza fondata sull’unica Parola”.
“E’ questa Parola – ha aggiunto – che permette a persone così diverse, nei caratteri, nella formazione, nell’età, nelle aspettative e, non ultimo nelle culture, di professare la stessa fede e di condividere lo stesso carisma apostolico, condividendo il comune linguaggio dell’Amore fondato sul Vangelo e la comune cultura dell’Istituto”.
Don Chávez Villanueva ha precisato che “l’amore fraterno in comunità non è il risultato della simpatia reciproca, ma è frutto di un cammino di kenosi e di conversione, in cui le persone consacrate apprendono ad amare il Signore sopra ogni cosa attraverso i segni visibili della comunione fraterna”.
Il Presidente dell’USG ha quindi proposto un progetto di formazione “che intende realizzarsi con modalità interculturale” illustrando che “si tratta di fare in modo che le resistenze e le chiusure culturali si trasformino in disponibilità e risorse”.
In conclusione don Chávez Villanueva ha sostenuto che “la formazione ha oggi il compito di aprire nuovi processi interculturali che abilitino la persone a vivere senza conflitti in situazioni di meticciato e a evangelizzare un mondo sempre più plurale”.