Pasqua: “Ho saputo che c’eri!”

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di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 24 aprile 2009 (ZENIT.org).- “Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: ‘Pace a voi!’. Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: ‘Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne ed ossa come vedete che io ho’. Dicendo questo mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore disse: ‘Avete qui qualcosa da mangiare?’. Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: ‘ Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei profeti e nei Salmi’” (Lc 24,36-44).

Questo Vangelo è la continuazione di quello che descrive il cammino del Signore risorto con i due discepoli diretti da Gerusalemme ad Emmaus in un clima di disillusione e profonda tristezza. Appena giunti alla meta essi avevano pregato Gesù di restare perché ormai il giorno era al tramonto, ed Egli li aveva accontentati entrando in casa “per rimanere con loro” (Lc 24,29). Gesù era però rimasto solamente per lo spazio di una cena, essendo sparito “dalla loro vista” (Lc 24,31) subito dopo avere spezzato il pane. In quell’istante tuttavia, anziché rimanere delusi, il loro cuore aveva ritrovato la gioia smarrita sul Calvario, e senza indugio erano ritornati a Gerusalemme.

Il fatto incredibile da annunciare era questo: il Signore morto, è vivo! Proviamo a immaginare l’impossibile: un nostro familiare amatissimo, sepolto in mattinata in cimitero, si presenta vivo, dopo cena, alla porta di casa…: uno shock! In effetti, sapere con certezza che è viva quella persona che, morendo, si è portata via anche la luce della nostra vita, sul cuore ha l’effetto di una defibrillazione: lo fa ripartire dopo l’arresto. Accertata una simile notizia non importerebbe più se il risuscitato sparisse ancora alla vista degli occhi: niente e nessuno può ormai toglierci la gioia di saperlo vivo. Infatti l’organo della “presenza” della persona amata è il cuore, non la vista.

Altrimenti che senso avrebbe, nel racconto di Emmaus, la precisazione che Gesù entrò in casa “per rimanere con loro” (24,29)? In effetti, il Signore, intendeva rimanere nel cuore dei due discepoli, poiché sapeva bene che sarebbe sparito poco dopo l’inizio della cena. In linea con questa osservazione sta il senso della domanda che Gesù, apparso inaspettatamente circa un’ora dopo al gruppo dei discepoli riuniti a Gerusalemme, rivolge loro: “Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore?” (Lc 24,38). La domanda è chiaramente retorica: se c’è stato il terremoto e la casa è crollata, chiedere “perché siete turbati?” significa: non temete, sarà ricostruita più bella di prima. E sulla bocca di Gesù l’implicita promessa riguarda una “ricostruzione” istantanea: “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne ed ossa, come vedete che io ho” (Lc 24,39).

Quello che sembrava il crollo di ogni speranza si è rivelato essere il compimento di tutte le promesse: “Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, ne profeti e nei Salmi” (Lc 24,44). Perché Gesù dice: “Quando ero ancora con voi” come se adesso non fosse lì con i discepoli? Perché quel Gesù che i discepoli vedono ora, pur essendo la stessa persona di prima, non è più rivestito di carne come prima. E tuttavia, la sua non è una presenza inconsistente come quella di un fantasma. Un fantasma non ha ossa, muscoli ed articolazioni.., però, con altrettanta certezza, nemmeno il corpo risorto potrebbe essere visitato da un ortopedico!

Il significato, spiegherebbe il Signore, è questo: “un fantasma non è una persona viva, Io invece lo sono! Sono proprio io, sono il Gesù di prima! Il mio corpo terreno era il tramite della mia presenza, ma ora, senza dover passare per i vostri sensi esterni, entro “a porte chiuse” nel vostro cuore per mezzo dello Spirito, e rimarrò sempre con voi!”. Comprendiamo così anche il senso della domanda: “Avete qui qualcosa da mangiare?” (Lc 24,41). Il fatto che il Corpo di Gesù risorto mangi e beva è un segno e un messaggio per noi che risorgeremo in Lui: significa che d’ora in poi la nostra fame e la nostra sete sarà saziata mediante un pasto, un cibo che è il Corpo glorioso del Signore: fame e sete di Lui, fame e sete di Vita, fame e sete della sua Presenza!

Questa fame esistenziale di profonda felicità è saziata realmente da Gesù fin da questa vita, perchè tutto il vuoto scavato dentro di noi dal dolore e dalla morte può essere stracolmato oggi stesso dalla persona viva di Gesù, fonte di ogni bene. Ciò può accadere indipendentemente dai limiti della nostra corporeità fisica, dei sensi biologici e persino della sfera psichica, le cui ferite non sono certo inguaribili per lo Spirito creatore del Medico divino, effuso come balsamo il giorno di Pasqua.

Ecco, come per antonomasia di ogni esperienza di baratro interiore, l’angoscia di una donna che si scopre incinta: “Stanotte ho saputo che c’eri: una goccia di vita scappata dal nulla. (…) in quel buio, s’è acceso un lampo di certezza: sì, c’eri. Esistevi. (…) Mi si è fermato il cuore. (…) mi sono accorta di precipitare in un pozzo dove tutto era incerto e terrorizzante. Ora eccomi qui, chiusa a chiave dentro una paura che mi bagna il volto, i capelli, i pensieri. E in essa mi perdo. (…) E’ paura di te, del caso che ti ha strappato al nulla, per agganciarti al mio ventre”(O. Fallaci, Lettera ad un bambino mai nato).

Il caso è cieco e fa paura come il terremoto, ma le sue scosse, in verità, sono al servizio della divina Provvidenza. Perciò svanisce la paura se la mamma comprende che non il caso e nemmeno la necessità governano il mondo, bensì quell’Amore di Dio che ha chiamato all’esistenza, così, il suo bambino. Per chi crede nella vittoria pasquale di questo Amore sull’odio e sulla morte, tutto concorre a realizzare il vero bene, anche un terremoto, ed egli ha continue prove di tale consolante certezza.

Per questa fede, la luce sfolgorante della notte di Pasqua trasforma le parole dell’angoscia nel canto della speranza: “Stanotte ho saputo che c’eri!..in quel buio s’è acceso un lampo di certezza: sì, c’eri! Esistevi! Mi si è fermato il cuore…” (O. Fallaci). Altro genere di arresto per il cuore: fermato perchè la gioia lo fa trasalire al punto da venir quasi meno.

Ho saputo che c’eri! Potrà mai una madre che ha abortito ritrovare questa gioia a causa del suo bambino? Potrà mai sentirlo muovere nel suo grembo? E’ la domanda di Nicodemo a Gesù: “Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?” (Gv 3,4). Cosa occorre fare? Gesù invita Nicodemo ad avere fede: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16), e Pietro oggi indica la via pratica: “Ora fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza – (uccidendo ‘l’autore della vita’, come in ogni aborto) – convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati” (At 3,19).

Avere fede in Gesù significa incontrarLo, anzitutto accostandosi con fiducia al trono della sua Misericordia, che è il sacramento della confessione. La confessione, infatti, aumenta ogni volta la fede, come una trasfusione di sangue aumenta l’energia vitale del corpo gravemente anemico. Ma la confessione è il segno di un rapporto nuovo con il Signore risorto,
un’amicizia che chiede molti altri incontri: l’incontro con Gesù Eucaristia, l’incontro con la sua Parola, l’incontro con il padre spirituale, l’incontro con ogni prossimo da accogliere, insomma: l’incontro con tutto ciò che giorno per giorno la sua volontà vuole che io faccia.

Man mano che la fede, frutto di questi numerosi incontri con Gesù, va prendendo possesso del mio cuore, della mia mente, della mia anima e delle mie forze, accade questo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Ecco come ne parla Benedetto XVI: “Il mio proprio io mi viene tolto e viene inserito in un soggetto più grande. Allora il mio io c’è di nuovo, ma appunto trasformato, dissodato, aperto mediante l’inserimento nell’altro, nel quale acquista il suo nuovo spazio di esistenza.(…) La grande esplosione della Risurrezione ci ha afferrati nel battesimo per attrarci. Così siamo associati ad una nuova dimensione della vita nella quale, in mezzo alle tribolazioni del nostro tempo, siamo già in qualche modo introdotti. Vivere la propria vita come un continuo entrare in questo spazio aperto: è questo il significato dell’essere battezzato, dell’essere cristiano. E’ questa la gioia della Veglia pasquale. La Risurrezione non è passata, la Risurrezione ci ha raggiunti e afferrati. Ad essa, cioè al Signore risorto, ci aggrappiamo e sappiamo che Lui ci tiene saldamente anche quando le nostre mani si indeboliscono. Ci aggrappiamo alla sua mano, e così teniamo le mani anche gli uni degli altri, diventiamo un unico soggetto, non soltanto una cosa sola. IO, MA NON PIU’ IO: è questa la formula dell’esistenza cristiana fondata nel Battesimo, la formula della Risurrezione dentro il tempo” (Omelia durante la Veglia di Pasqua, 15 aprile 2006).

Ho saputo che c’eri, bambino mio! L’ho saputo nell’unico modo in cui è possibile saperlo, poiché corrisponde al Luogo vivo dove ora ti trovi. Come quando quel Gesù Risorto presso il quale stai ora si trovava nel grembo di Maria, e bisognava incontrare Lei per incontrare Lui. Così ora so che per incontrare te devo incontrare Lui; per incontrare Lui devo entrare in me, perché Cristo vive in me e tu sei dentro di Lui che vive in me. Ecco, mio Signore e mio Dio, io non sapevo realmente che Tu ci sei, che sei vivo in mezzo a noi e dentro di me. Lo sapevo per sentito dire, ma ora i miei occhi, quelli della fede, ti vedono più di quanto veda me stessa. E sono piena di gioia e di stupore, perché in Te vedo anche il mio bambino che non ho visto mai.

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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