KÖNIGSTEIN, martedì, 21 aprile 2009 (ZENIT.org).- Il Vescovo di Banja Luka, monsignor Franjo Komarica, non ha perso la speranza nel miglioramento delle condizioni dei croati cattolici in Bosnia, dopo che il mese scorso si è riusciti a riunire politici di spicco della Repubblica serba e rappresentanti di altre etnie per affrontare i problemi di quanti tornano in Bosnia.
Secondo quanto ha affermato all'associazione cattolica internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), che lo ha riferito in un comunicato inviato a ZENIT, il Governo della Bosnia-Erzegovina gli ha assicurato la propria volontà di prendere sul serio le proposte della Chiesa cattolica e di agire di conseguenza.
Monsignor Komarica chiede da anni aiuto per i rifugiati di guerra croati che desiderano ritornare nella propria terra, e lamenta il fatto che il Paese si sia “trasformato in una residenza per anziani”.
Le tre Diocesi insieme, ha spiegato, contano appena 11.600 cattolici. Prima della guerra erano ben 220.000. A tredici anni dalla fine del conflitto, osserva il Vescovo, pochissimo croati cattolici hanno fatto ritorno, e la maggior parte di quelli che sono rimasti è costituita da anziani.
Finora, ha denunciato il presule, non è emersa alcuna volontà politica, né all'interno del Paese né da parte della comunità internazionale, di sostenere il ritorno dei rifugiati cattolici, e i croati hanno beneficiato di appena il 2% degli aiuti totali.
“I rifugiati hanno perso le proprie case, e quando, nonostante questo, decidono di tornare spesso si vedono costretti a vivere senza acqua né elettricità – ha confessato –. Non trovano nemmeno lavoro, e non di rado la gente fa capire loro che sono persone non gradite”.
Dal canto suo, la Chiesa cattolica si sforza di contribuire alla prosperità della popolazione bosniaca, ad esempio attraverso le Scuole d'Europa, che accolgono allievi di ogni confessione ed etnia. ACS aiuta da anni questo progetto di riconciliazione, convinta che il sostegno alla Chiesa cattolica bosniaca sia fondamentale nell'Europa orientale.
La guerra nella Bosnia-Erzegovina, protrattasi dal 1992 al 1995 dopo lo smembramento dell'ex Yugoslavia, ha provocato 243.000 morti. Due milioni di persone sono stati espulsi a causa della redistribuzione territoriale dell'ex Repubblica.