Esposta per la prima volta la Bibbia carolingia

La mostra è ospitata dall’Abbazia di San Paolo fuori le Mura

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di Mirko Testa

ROMA, lunedì, 20 aprile 2008 (ZENIT.org).- Nel contesto delle celebrazioni per l’Anno paolino, i benedettini dell’Abbazia di San Paolo fuori le Mura hanno deciso di esporre, per la prima volta al grande pubblico, la Bibbia carolingia, un prezioso codice miniato risalente al IX secolo.

A inaugurare il 18 aprile l’esposizione a ingresso gratuito, che rimarrà aperta fino alla chiusura dell’anno giubilare, il prossimo 29 giugno, in concomitanza con la visita di Benedetto XVI alla tomba di San Paolo, è stato il Segretario di Stato vaticano, il Cardinale Tarcisio Bertone.

In questa occasione il porporato salesiano ha parlato di “un momento certamente importante a livello culturale e artistico, […] ma che vuole essere primariamente un momento di sosta, di riflessione davanti alla Parola di Dio, non solo intesa come libro e come oggetto, ma soprattutto come Parola viva, efficace, capace di vivificare le nostre stesse esistenze”.

Il prezioso manoscritto, aperto sulla pagina miniata che introduce alle Lettere di San Paolo, sarà in mostra nell’androne d’onore dell’abbazia, mentre su un monitor posizionato nella sala antistante sarà possibile conoscerlo più approfonditamente.

La Bibbia di San Paolo fuori le Mura è un manoscritto composto originariamente da 337 fogli membranacei e rilegato in marocchino rosso del sec. XVIII con cornici impresse in oro e fregi dorati sul dorso, con al centro una borchia raffigurante San Benedetto con bastone abbaziale e mitria, accompagnato dal corvo che gli allontana il pane avvelenato.

L’ autore della Bibbia andrebbe indentificato con quel monaco Ingolberto, che parla in prima persona nel “Prologus totius libri”. Anche se, dietro la varietà stilistica che permea le pagine decorate e miniate, sembra possibile scorgere la mano di più studiosi o l’influenza di diversi centri scrittorii legati ad ambienti monastici.

In questo senso, la Bibbia di San Paolo è un frutto autentico dell’epoca carolingia caratterizzata da un rinnovato interesse per la Sacra Scrittura e per la liturgia e da un vasto fermento di produzione libraria che portò scribi, amanuensi e copisti di provenienza diversa a lavorare fianco a fianco.

In essa, infatti, si contemperano in modo originale diversi stili artistici: dalle eleganti miniature che richiamano la scuola di Reims, all’ecletticità e varietà iconografica della “scuola di corte” legata in maniera particolare a Carlo il Calvo e attiva soprattutto nella Francia settentrionale.

La Bibbia fu commissionata da Carlo il Calvo nell’866 e poi donata probabilmente nell’875 dallo stesso imperatore, in occasione della sua incoronazione nella notte di Natale di quell’anno, a Papa Giovanni VIII, insieme al prezioso trono ligneo con i fregi in avorio, oggi custodito nella Basilica di San Pietro in Vaticano.

Nel catalogo della mostra curato da Marco Cardinali, si legge che “una delle ipotesi più suggestive che sfuma nella leggenda è il fatto che Roberto il Guiscardo abbia prestato giuramento su questa Bibbia. In una delle sue pagine, infatti, originariamente posta all’inizio, si legge la formula abbreviata del giuramento del Guiscardo a Gregorio VII, probabilmente scritta per perpetuare l’avvenimento solenne”.

Successivamente però in un periodo delicato per il Papato – con la minaccia di Enrico IV alle porte e l’elezione dell’antipapa Clemente III – Gregorio VII, che fu Provisor Apostolicus dell’Abbazia di San Paolo fuori le Mura, intervenendo con ampie opere di restauro, preferì affidarla alle cure dei benedettini.

Da allora, la Bibbia è stata sempre custodita dai monaci e, a parte piccoli trasferimenti dall’abbazia sulla via Ostiense alla residenza estiva del palazzo di San Calisto a Trastevere, non ha mai abbandonato le mura abbaziali, tranne nel gennaio del 1970, quando è stata sottoposta a interventi conservativi presso l’Istituto Centrale per la Patologia del Libro.

Nella prefazione al catalogo, l’Abate di San Paolo fuori le Mura, dom Edmund Power, scrive che “questa Bibbia concreta non sarà mai solo un mero oggetto da museo, da ammirare e conservare per la sua bellezza e da apprezzare per la cultura e la storia che l’hanno generata”.

“Quando l’occhio della fede si apre alla realtà – spiega – , comprendiamo che la bellezza, la cultura e la storia sono solo i contorni di una maschera. Guardandovi dietro, con il cuore dilatato, lo possiamo percepire. Per analogia possiamo dire che siamo, infatti, nel contesto del ‘sacramento’, che significa ‘segno esterno di una grazia interiore’”.

Tuttavia, avverte, “non basta valorizzare il segno: ci vuole anche l’abbraccio di ciò che vi sta dietro”.

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ZENIT Staff

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