Omelia del Patriarca latino di Gerusalemme nella Domenica di Pasqua

Nella basilica del Santo Sepolcro

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GERUSALEMME, domenica, 12 aprile 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata questa Domenica di Pasqua dal Patriarca latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Fouad Twal, nella Basilica del Santo Sepolcro.

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Hanno portato via il Signore dal suo sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!” Maria Maddalena è smarrita per aver perso il suo Signore.

Lei non è sola: folle e folle di giovani e meno giovani, oggi come ieri, cercano il Signore e non lo trovano, né nella politica né nell’economia, né nella giustizia internazionale, né nelle costituzioni dei paesi che si dicono cristiani e moderni. E come Maria Maddalena, noi diciamo: – Hanno portato via il Signore, e non sappiamo dove l’hanno messo!

Ma anche Dio cerca sempre di raggiungerci per trovare il suo posto nella nostra vita e salvarci da noi stessi. Per incontrarci e farci condividere la sua natura divina arriva fino ad incarnarsi. E’ entrato nella storia umana, nella storia della nostra Chiesa, entra nella nostra vita personale. E ogni volta che vi entra è Pasqua.

Ancor prima di accoglierlo festosamente in questi giorni nelle nostre celebrazioni e di proclamare la sua risurrezione, l’abbiamo incontrato nel cammino della nostra vita, nella famiglia, sul lavoro, in tutte le piccole battaglie che dobbiamo sostenere, e nei modesti sacrifici che ci siamo imposti durante questa quaresima.

La Galilea – dove Gesù ha dato appuntamento ai suoi apostoli dopo la sua risurrezione – rappresenta tutti i luoghi dove vive la gente: i poveri, i malati, gli esclusi, le vittime della violenza, i peccatori come noi e i potenti di questo mondo che hanno eliminato il Signore dalla società e non gli vogliono più far posto.

Ma Dio è ostinato nel suo amore: egli continua a venire, senza stancarsi, offrendo gratuitamente la sua misericordia, il suo perdono e il suo amore. Bisogna credergli, viverlo, celebrarlo e rendere le nostre vite gioiose nell’amore! Questo è ciò che chiamiamo Pasqua. La sua resurrezione è promessa e garanzia della nostra stessa resurrezione.

Noi cristiani siamo coraggiosi. Osiamo parlare di Pasqua, di gioia e di vittoria sulla morte, quando continuiamo a contare centinaia di migliaia di vittime di guerre, malattie e catastrofi naturali in tutto il mondo. Abbiamo il coraggio di credere nella vittoria sul male e sulla morte, mentre quotidianamente immagini di violenza e di guerra ci circondano. Abbiamo il coraggio di credere nella vittoria sul male e sulla morte, mentre la Terra Santa è appena stata insanguinata a Gaza.

Tuttavia noi crediamo e speriamo, perché Cristo, che ci ha promesso la vittoria e la pace, sa cosa vuol dire soffrire. Non ha fatto finta di soffrire: il dolore egli lo ha vissuto realmente nel suo cuore e nel suo corpo. È stato abbandonato, rifiutato dai suoi. Ha condiviso la nostra umanità fino alla fine, fino all’angoscia, fino alla solitudine, fino alla morte , ma da tutto ciò ne è uscito vincitore.

Nella vita quotidiana siamo tutti, in un modo o nell’altro, toccati dalla sconfitta: la sofferenza fisica o morale, i momenti di solitudine, di dubbio, di abbandono, di malattia o vecchiaia. Quotidianamente ci confrontiamo con piccole morti, per non parlare di quello che ci attende alla fine della nostra vita.

A questo punto veniamo raggiunti dall’inaudito annuncio della Resurrezione. È in tutto questo, e nonostante tutto questo, che abbiamo il coraggio di cantare il nostro Alleluia: l’abbiamo trovato, Egli è risorto e noi un giorno resusciteremo con Lui!

Nonostante ciò, Dio, che è più forte della morte, rinnova la vita ogni volta che scegliamo di servire e di amare; Dio fa opera di risurrezione nella nostra vita, quando preferiamo il perdono all’odio, ogni volta che lasciamo che l’amore e la pace crescano tra gli uomini.

È vita e resurrezione quando nascono figli di Dio mediante il battesimo, la notte del Sabato Santo. È vita e risurrezione ogni volta che ci sentiamo membra viventi di questa Chiesa: non membra morte o dormienti, ma membra vive, consapevoli, fedeli e responsabili, con gioia e ottimismo.Nel Vangelo di oggi abbiamo letto come i due apostoli sono andati al sepolcro. Pietro, il più vecchio entra per primo e non vede nulla. Giovanni, arrivato prima di lui, entra a sua volta nella tomba, e: “Vide e credette” per semplici segni, come il sudario e le bende al loro posto, ma ripiegate e vuote del corpo che avevano avvolto.

È l’amore che vive e si alimenta con piccoli gesti e piccoli segni. È l’amore che spesso si manifesta attraverso piccoli segnali, e non necessariamente con grande miracoli.

Per scoprire Dio nei piccoli gesti , nelle circostanze della vita e nelle persone, dobbiamo amare e lasciarci amare . Non c’è un altro modo. E inoltre sappiamo che non c’è amore senza ferite. Il Signore non può entrare nel cuore umano, senza ferirlo.

Così, anche se ci spaventa un po’, lasciamo che il Signore guardi le nostre ferite, come egli stesso ci ha mostrato le sue, “le sue piaghe per mezzo delle quali siamo stati guariti” (Is 53, 5).

In questo giorno di Pasqua, noi proclamiamo il nostro Alleluia. Noi lo cantiamo prima in famiglia e tra di noi. Ma non dobbiamo vergognarci di mostrare la nostra fede in Gesù risorto a tutti, con la testimonianza, la gioia e l’amore fraterno. Dobbiamo avere il coraggio di essere noi stessi, davanti a Dio e gli uomini!

Buona festa, buona strada e felice Pasqua a tutti!

+ Patriarca Fouad Twal

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ZENIT Staff

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