ROMA, venerdì, 10 aprile 2009 (ZENIT.org).- “Passato il sabato, Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a ungere il corpo di Gesù. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levar del sole. Dicevano tra loro: ‘Chi farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?’” (Mc 16,1-3).
Queste tre donne sono sconvolgenti: nemmeno due giorni dopo la fine ignominiosa del Signore, impietrite nel dolore di quella pietra inesorabilmente rotolata sulla bocca del sepolcro e caduta come un macigno sopra il loro cuore ammutolito, eccole rialzarsi nella notte sospinte da una incontenibile energia, del tutto sconosciuta ai pur non lontani discepoli addormentati…
Lo dobbiamo ammettere: nella Passione del Signore, l’indole femminile si è dimostrata più forte, più forte degli uomini, più forte della morte (Ct 8,6). Lo dimostra esemplarmente la Mamma di Gesù, la quale, uccisa interiormente dal dolore, rimane in piedi presso la croce, più ferma del palo a cui è appeso il figlio “maledetto” (Dt 21,23): “Come ‘si abbandona a Dio’ senza riserve, ‘prestando il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà’ a colui le cui ‘vie sono inaccessibili’ (Rm 11,33). Ed insieme quanto potente è l’azione della grazia nella sua anima, come penetrante è l’influsso dello Spirito Santo, della sua luce e della sua virtù!” (cfr. n. 18, Giovanni Paolo II, Enciclica Redemptoris Mater).
E’ durante questo travaglio di parto, immensamente più lacerante e doloroso di quello fisico, che Maria ha generato, così, all’aperto, la Chiesa dei redenti dal suo Figlio, divenendo la nuova Eva, “madre dei viventi” (Lumen Gentium, 56).
Ecco la ragione congenita della fortezza della donna: l’indole materna del suo essere. Lo Spirito di Dio, che è essenzialmente materno, con il suo influsso la amplifica per intima risonanza, rendendola invincibile.
E’ Lui che, dopo aver sostenuto la Madre sotto la croce, il mattino di Pasqua le risuscita il Figlio, facendo vincere alla vita il duello apparentemente perduto con la morte e trasformando un cadavere (Gesù Crocifisso, e in Lui l’uomo vecchio) in un neonato (Gesù Risorto, e in Lui l’uomo nuovo).
Torniamo alle tre donne in corsa verso il sepolcro.
Irresistibilmente attratte e sospinte dall’Amore, esse intendono “ungere il corpo di Gesù” (Mc 16,1). Il loro gesto si prospetta doppiamente inutile, non tanto perché un’altra donna aveva già provveduto a tale unzione quattro giorni prima in casa di Simone il lebbroso (Mc 14,8), anticipando così la Sua sepoltura, ma soprattutto perché “egli è vivo” (Lc 24,23), come dimostra la tomba vuota.
Eppure tale gesto “inconsistente” per l’assenza del cadavere ci conduce proprio al Corpo di Gesù, dal momento che orienta verso quell’ “unzione” spirituale e divina (1Gv 2,27) che l’Umanità gloriosa del Signore dal mattino di Pasqua non cessa di effondere sul mondo intero: il dono del suo Spirito Santo.
La Risurrezione di Gesù ha nel grembo di Maria il proprio cordone ombelicale.
Lo fa intendere Benedetto XVI con queste parole: “La Risurrezione svela ciò che è l’articolo decisivo della nostra fede: “Si è fatto uomo”. Da qui sappiamo che è per sempre vero: egli è uomo. Lo resta per sempre. L’umanità è fatta entrare attraverso di lui nella natura stessa di Dio: questo è il frutto della sua morte. Noi siamo in Dio. Dio è l’interamente altro e nello stesso tempo il non-altro,- (il come-noi) –. Se insieme con Gesù diciamo “Abbà, Padre”, lo diciamo in Dio stesso. Questa è la speranza dell’uomo, la gioia cristiana, il Vangelo: ancor oggi egli è uomo. In lui Dio è veramente divenuto il non-altro. L’uomo, l’essere assurdo, non è più assurdo. L’uomo, l’essere sconsolato, non è più sconsolato: dobbiamo gioire. Egli ci ama, e Dio ci ama a tal punto che il suo amore si è fatto carne e rimane carne. Questa gioia dovrebbe essere il più forte di tutti gli impulsi, la più prorompente forza che ci spinge a comunicare la notizia agli altri uomini, affinchè essi pure gioiscano della luce che a noi si è dischiusa e che in mezzo alla notte del mondo annuncia il giorno.” (J. Ratzinger, Il cammino pasquale, 1985, p. 109-110).
Un giorno, dunque, che è iniziato con l’incarnazione del Figlio di Dio, quando il Cielo fu associato alla terra, e Dio si “abbreviò” nel grembo di un’umilissima vergine. Allora fu “concepita” per ogni credente quella Vita Nuova pasquale nella quale possiamo e dobbiamo camminare in forza del battesimo, come annuncia oggi Paolo: “per mezzo del battesimo dunque…affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti…anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4).
Come possiamo intendere questa vita nuova? Come viverla effettivamente? Esiste una parola “chiave” che ci aiuti a capire e approfondire tale mistero?
Sono domande essenziali per capire non solo la Pasqua, ma anche il significato e il valore della vita umana. Consideriamo la terza domanda.
Sì, questa parola-chiave esiste, ed è la parola “figlio”.
E’ questa una parola immensa, inscritta nel DNA di ogni essere umano, che significa: tramite i miei genitori ho ricevuto la vita da un Altro, un altro che si chiama “Abba’, Padre” (Rm 8,15-17); Gli somiglio profondamente e rimango in una relazione inscindibile e vitale di amore con Lui, appartenendogli per sempre: ecco l’origine e la ragione della mia dignità di persona; ecco, sin dal concepimento, il valore infinito della mia esistenza (Lc 1,31); ecco il dono e il compito per cui mi ha chiamato a vivere, mi ha giustificato e mi ha glorificato, al fine di farmi partecipare in eterno alla Sua paradisiaca beatitudine.
Tutto ciò grazie al suo figlio Gesù, crocifisso e risorto: “vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!” (1Gv 3,1).
La parola “figlio” non dice solo l’identità di Gesù e nostra, “figli di Dio”, ma dischiude anche il mistero stesso della Famiglia trinitaria, ove le relazioni di reciproca appartenenza nell’amore sono talmente “consistenti” da costituire le stesse Tre Persone divine, meravigliosamente legate tra loro per “figliolanza”. Infatti, il Padre è tale in quanto persona che genera maternamente il suo Figlio unigenito; il Figlio è tale in quanto persona “partorita” eternamente dal Padre; e lo Spirito Santo è la persona che li unisce, il loro legame “ombelicale”, che Gesù risorto innesta nel credente, realizzando così lo scopo dell’Incarnazione: “sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).
E perché comprendessimo come ciò possa realizzarsi fin da questa vita, ha plasmato nella donna il grembo materno, l’utero, come luogo di feconda “umiltà”. Comprendiamo subito tale singolare attributo se ricordiamo l’essenza di questa virtù, molto più divina che umana: l’umiltà consiste nell’atteggiamento che fa spazio all’altro, e lo fa sempre di più fino a non avere più spazio per sé dentro di sé, come l’utero al nono mese di gravidanza. E’ questo atteggiamento che manifesta il modo di essere e di agire dell’amore vero, poiché è questo il modo di essere e di operare di Dio.
Perciò, per vivere effettivamente e sperimentare concretamente la “VITA NUOVA” donata dal Signore risorto, è necessario acquisire tale atteggiamento interiore, questo materno fare spazio all’altro, anzitutto con il semplice ascolto di quello che l’altro dice. Chi ascolta veramente accoglie il fratello nel suo cuore, ed ognuno deve cercare di essere una “casa di accoglienza” alla vita del suo prossimo. E avendogli fatto spazio, speri
menterà “ex vacuo” la presenza in sé dello Spirito di Gesù risorto che ha detto “ogni volta lo avete fatto a me” (Mt 25,45), Spirito che è in Se stesso il Dono della Vita Nuova, veramente divinizzante, in grado di risuscitare moralmente, spiritualmente e corporalmente un uomo.
Così, “sapendo che Cristo risorto dai morti non muore più, perché la morte non ha più potere su di lui” (Rm 6,9), noi sperimentiamo fin d’ora che la vita terrena non è un sepolcro in cui si entra alla nascita e non si esce più dopo la morte, e possiamo comunicare la certezza di fede che accadrà ad ognuno quello che è accaduto a Gesù dopo tre giorni, somiglianza per somiglianza, come precisa Paolo: “Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua rissurezione” (Rm 6,5).
Perciò ogni essere umano, creato fin dal concepimento “a immagine e somiglianza di Dio” (Gen 1,27), redento fin dal concepimento dal sangue di Cristo, segnato sin dal battesimo dal sigillo del Suo Spirito, se invoca con fede la salvezza già ottenuta, dopo aver partecipato alle sofferenze di Gesù in questa terra parteciperà in eterno alla Sua gloria in Paradiso.
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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.